Munch, Malinconia |
Non volli
che la tristezza prevalesse con voluttà depravata.
Mi venne in
mente di nuovo Tacito: “Feminis lugere honestum est, viris meminisse "[1]
Mentre i
fumi dell’alcol esalati svanivano a poco a poco, rivolsi una preghiera alle
persone care le cui immagini aleggiavano lievi nel cielo sopra di me. Ora so
che erano diventati gli exemplaria aeterna di amici, amiche e
amanti che avrei incontrato nel seguito della mia vita e forse nelle prossime
esistenze terrene. Elena l’ oujsiva[2] dell’amore, l’ijdeva di Afrodite, Danilo quella di Dioniso, Fulvio l’exemplar dell’amico e così via.
Mi
sentivo plenus his figuris quas Plato ideas appellat immortales,
immutabiles, infaticabiles[3].
“Il ricordo
di voi, la memoria del tempo felice passato insieme, rimarrà un bene prezioso,
un tesoro conservato per costruire la felicità futura, la mia e quella delle
persone cui vorrò bene nei prossimi anni.
Voi, donne
della mia vita, mi avete nobilitato e potenziato rendendomi sempre meno debole
e meno incapace di amare; poi, quando siete dileguate, mi avete comunque
lasciato una forza che non è andata via. Avevi ragione tu Päivi: io rimango ottimista
in ogni caso, amantissimo e curioso assai della vita.
E non
smetterò di cercare la felicità, come quella che ho provato nell’amore con te.
E tu Bruno,
non eri un amico, anzi, eri un rivale nell’agone meglio premiato, comunque un
antagonista degno di me. Ci siamo battuti in maniera cavalleresca per ottenere
il favore delle femmine umane più belle. Devo ammettere che da vivo mi eri
antipatico soprattutto perché anche tu piacevi alle donne. Proprio per questo
te la sei goduta la breve vita che hai avuto in sorte, troppo breve ma per
niente triste. A Roma vivevi in un appartamento con vista sul Pantheon. Una
sera ci siamo fatti una bevuta lì dentro, con Ezio e Alfredo. Ricordi?
Siete ombre
oramai, amici del tempo migliore, ma non sono un vecchio stanco delle ombre che
vivono dentro di me, un lassatus senex in me viventibus umbris, non
lo sarò mai. Continuerò a ricordarvi sempre con affetto e con la gioia della
nostra gioventù.
Non
lamentarti, povero Bruno, non lamentarti.
Non
lamentarti neanche tu gianni ghiselli, e soprattutto, non disperare: tu adesso
sei Odisseo o Ulisse che dire si voglia, non sei più Ettore, l’eroe perdente
con il quale ti identificavi quando eri bambino, né l’infelice Leopardi dalla
vita annegata nel dolore. Nel frattempo hai imparato a non affogare nel mare in
tempesta. A tratti sei stato sommerso dai flutti, ma sei riaffiorato sempre,
come l’uomo maturo di Omero.
L’eroe della
pazienza, dell’intelligenza e della conoscenza.
Presto
tornerà il tempo bello e meritamente potrai gioire della luce del sole.
Non
avvilirti: hai sofferto dolori più grandi di questo, e da poluvtla~[4] li hai sopportati, da poluvmhti~[5] e polumhvcano~[6], li hai superati, anzi, ne hai tratto sempre motivi di crescita.
Quando in casa, o in parrocchia, tra gli scout, o in caserma, perfino a scuola,
volevano mangiarti il cervello per assimilarti al conformismo di ognuno di
quegli ambienti, hai sempre saputo difenderti con la tua sensibilità, il tuo
amor proprio, la tua intelligenza, la tua volontà di ferro.
E ce l’hai
fatta. Non sei diventato un morto vivente come volevano loro, i conformisti.
Luoghi
comuni incarnati, cumulo di fetide banalità.
Ce l’hai
fatta perché non hai mai disperato: sei sempre rimasto deciso a trovare la
felicità che ti spetta, magari con l’aiuto di Atena che pur senza essersi
manifestata del tutto, ti ha dato una mano ogni volta, perché ti assomiglia e
un giorno si lascerà incontrare da te”.
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