F. Gonin, La peste a Milano |
La peste che ci affligge da tre mesi mi ha fatto
tornare sull’Edipo re di Sofocle, su Tucidide e Lucrezio; fino ad
ora avevo tralasciato Manzoni come già molto noto e ricordato, ma l’episodio
dei navigli affollati per l’aperitivo mi ha indotto riaprire I promessi
sposi, e in particolare il capitolo XXXIV quando Renzo torna a Milano e si
dirige verso il Lazzaretto dove viene a sapere che si trova Lucia. Ma poi la
donna che “con un viso ombroso” gli aveva dato l’informazione da una finestra
della casa di don Ferrante, in seguito all’insistenza del giovane che voleva
sapere dell’altro, si ritira e Renzo si rimette a picchiare sul portone finché
un’altra donna per strada, distante da lui venti passi, “con un viso
ch’esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia” dà voce al proprio spavento “l’untore!
dagli! dagli! dagli! dagli all’untore!”. Comincia ad accorrere gente, poi si
riapre la finestra “e quella medesima sgarbata di prima ci s’affacciò questa
volta, e gridava anche lei: “pigliatelo, pigliatelo; che dev’essere uno di que’
birboni che vanno in giro a unger le porte de’ galantuomini”.
Attualizzando questa parte posso dire che quando vado
a fare la spesa per non soffrire la fame, ogni avventore che mi si avvicina
troppo mi dà un enorme fastidio e talora arrivo a intimargli di scostarsi da
me.
Quando corro a piedi, di sera, evito di incrociare chi
mi viene incontro nel marciapiede saltando in un prato o in mezzo alla strada.
Non mi pare che la cordialità e la simpatia tra noi umani sia cresciuta in
generale, sebbene non manchino esempi belli di solidarietà, generosità e
perfino abnegazione.
Ma torniamo a seguire le orme di Manzoni. Renzo
“svignò”. Respinge due che cercavano di sbarrargli la strada e procede “col
pugno in aria, stretto, nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto
tra’ piedi.
Lo inseguivano in tanti. Allora il promesso sposo “si
fermò su due piedi, voltò indietro il viso più torvo e più cagnesco che avesse
fatto a’ suoi giorni ; e, col braccio teso, brandendo in aria la lama
luccicante, gridò: “chi ha cuore, venga avanti, canaglia, che l’ungerò io
davvero con questo”. Ecco come un buon ragazzo, esasperato dalla cecità mentale
degli idioti infuriati, può avvicinarsi alla violenza.
Poi Renzo però vede avanzare un carro “anzi una fila
di que’ soliti carri funebri, col solito accompagnamento”. Seguiva altra gentaglia
che voleva prendere in mezzo il presunto untore ma “eran trattenuti
dall’impedimento medesimo”. Renzo “pensò che non era tempo di far lo
schizzinoso” e saltò su uno dei carri.
I
monatti lì seduti o camminando al seguito del convoglio “bravo! Bravo!”
esclamarono “trincando da un gran fiasco che andava in giro. Bravo, bel
colpo!”.
Ecco, costoro mi fanno pensare ai giovani per lo meno spensierati che
vanno a bere l’aperitivo in gruppo. Se invece pensano, presumono che la morte
non li riguardi:
“lieti
ognun, femmine e maschi;
ogni
tristo pensier caschi:
facciam
festa tuttavia”.
Non
mi sembra il momento opportuno per fare festa. Ma a loro sì come ai monatti.
Uno di questi fece il gesto di lanciare un laido cencio “strappato d’addosso a
un cadavere” e la canaglia avida di linciare Renzo fuggì. Lo scampato “non vide
più che schiene di nemici. E calcagni che ballavano rapidamente per aria”. I
monatti bevevano e urlavano. Uno gridò”viva la moria”, poi dietro queste parole
intonò una loro canzonaccia; e subito alla sua voce s’accompagnarono tutte
l’altre di quel turpe coro. La cantilena infernale, mista al tintinnio de’
campanelli, al cigolio de’ carri, al calpestio de’ cavalli, risonava nel voto
silenzioso delle strade, e, rimbombando nelle case, stringeva amaramente il
cuore de’ pochi che ancor le abitavano”
La
canzonaccia che festeggia la moria ovviamente non riguarda quelli degli
aperitivi ma gli speculatori che, se non l’hanno già fatto, presto metteranno i
loro artigli da avvoltoi e i denti da iene su diverse attività economiche.
Piuttosto
i giovani dalle teste svigorite che si radunano a frotte per la cosiddetta happy
hour, sono al massimo dei poveri untorelli che non sanno quello che fanno.
Si possono dunque perdonare ma solo dopo aver loro impedito di fare altri danni
con altri morti.
Ne
abbiamo avuti già troppi.
giovanni
ghiselli
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