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giovedì 14 maggio 2020

Il relativismo di Papa Francesco e quello di Erodoto di Alicarnasso


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Papa Francesco ha menzionato il “relativismo religioso” come una possibile accusa nei suoi confronti. Se ne è difeso preventivamente dicendo che la devozione varia nei popoli secondo la cultura e le abitudini di ciascuna nazione. Credo che il relativismo sia una cosa buona in quanto negazione dell’assolutismo latore di intolleranza.

Già lo storiografo Erodoto nel V secolo a. C. presenta favorevolmente la diversità delle culture diverse. Questa accettazione non priva di approvazione fa parte della obiettività di gran parte storiografia antica.
Nel terzo libro dello storiografo di Alicarnasso troviamo un episodio che afferma il valore della tolleranza e costituisce uno dei più alti insegnamenti della cultura antica.
Il re Dario domandò ad alcuni Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al mondo.
Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati" oi{ tou;" goneva" katesqivousi"( 3, 38, 4) i quali mangiano i genitori, a quale prezzo avrebbero accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli, gridando forte, lo invitarono a non dire tali empietà. 
Così, conclude Erodoto, queste usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia affermato che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai").
Il frammento di Pindaro è citato nel Gorgia (484b) di Platone da Callicle, il quale invero dà alla parola novmo" il significato di legge naturale che giustifica la violenza, come quella di Eracle il quale portò via le vacche di Gerione senza averle pagate né ricevute in dono ("ou[te priavmeno" ou[te dovnto" tou' Ghruovnou hjlavsato ta;" bou'"").
"Pindaro infatti utilizzava questa massima per giustificare chi non aveva esitato a usare la violenza per affermare il novmo" ellenico sulla barbarie altrui (…) Al contrario, Erodoto non presenta affatto il novmo" ellenico come valore assoluto, ma (…) riconosce la parità del novmo" ellenico con quello indiano"[1].
Ebbene la parola novmo" può essere emblematica non solo del relativismo di Erodoto, ma, dato che assume differenti significati quando è usata da autori e finanche da personaggi diversi, essa può significare l'incomunicabilità tra gli uomini e l'ambiguità della condizione umana. A questo proposito sono illuminanti le parole di jean - Pierre Vernant sull’'Antigone di Sofocle, drammaturgo accostabile per tanti versi allo storico delle guerre persiane :" In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti e opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune. Così per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il termine significa "norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo dello Stato". E in realtà il campo semantico di novmo" è sufficientemente esteso per comprendere, con altri, ambedue i sensi (...) Le parole scambiate sullo spazio scenico, anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi, sottolineano viceversa l'impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che separano i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali. Ciascun eroe, chiuso nell'universo che gli è proprio, dà alla parola un senso ed uno solo (...) Ciò che il messaggio tragico trasmette, quando è compreso, è appunto che nelle parole scambiate fra gli uomini esistono zone d'opacità e d'incomunicabilità. Nel momento in cui vede sulla scena i protagonisti aderire esclusivamente a un senso e, così acciecati, perdere se stessi o dilaniarsi a vicenda, lo spettatore è portato a comprendere che esistono in realtà due sensi possibili, o più. Il messaggio tragico gli diviene intelligibile nella misura in cui, strappato alle sue certezze e alle sue limitazioni antiche, egli riconosce l'ambiguità dei termini, dei valori, della condizione umana. Riconoscendo l'universo come conflittuale, aprendosi a una visione problematica del mondo, egli stesso si fa, attraverso lo spettacolo, coscienza tragica"[2]
L'ambiguità del linguaggio e l' impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi: "Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! (…) come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!"[3].
Luogo simile si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno, nessuno e centomila [4]: "il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto" (p. 39).
Dal diverso valore che due persone danno alla stessa parola nasce allora l’incomprensione e può scoppiare l’intolleranza.
"Tutte queste usanze", commenta C. M. Bowra, "vengono considerate da Erodoto con ammirevole spirito di tolleranza e senza alcuno sdegno per ciò che molti Greci avrebbero considerato come pratiche disgustose e barbare. Egli cita in proposito le parole di Pindaro:"Il costume è re di ogni cosa"; e anche se Pindaro le aveva usate per provare che gli dei possono fare ciò che gli uomini non possono, Erodoto le applica per provare, con spirito assai più generoso, che gli uomini devono agire in base alla loro educazione e alle loro tradizioni"[5].
L’approvazione del relativismo si associa alla condanna dell’intolleranza. Erodoto ha iniziato questo capitolo affermando:" in ogni caso secondo me è evidente che molto matto era Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"" ); altrimenti non si sarebbe messo a schernire religioni e costumi (3, 38, 1). Infatti se uno invitasse gli uomini a scegliere le usanze migliori, ciascuno sceglierebbe le proprie, poiché ciascuno è convinto che le proprie siano di gran lunga le più belle. Egli era necessariamente un pazzo (mainovmenon a[ndra, 3, 38, 2) poiché
 solo un folle mette in ridicolo le tradizioni locali.

Altri due esempi di relativismo erodoteo
Nel primo libro delle Storie troviamo il racconto di un novmo" babilonese assai strano che Erodoto tuttavia considera sofwvtato", avvedutissimo (1, 196): lì le ragazze belle vengono messe in vendita per essere sposate. Con il denaro ricavato possono comprarsi il marito le brutte:"to; de; crusivon ejgivneto ajpo; tw'n eujeidevwn parqevnwn, kai; ou{tw" aiJ eu[morfoi ta;" ajmovrfou" kai; ejmphvrou" ejxedivdosan" (Storie, I, 196, 3), il denaro veniva dalle ragazze di bell'aspetto, e così le belle davano in matrimonio le brutte e le storpie.
Questo, commenta l’autore, era il loro costume antico più bello (kavllisto" novmo").
La seconda usanza per saggezza (novmoς deuvteroς sofivh/) è quella di trasportare i malati in piazza in quanto non fanno uso dei medici: “tou;ς kavmnontaς ejς th;n ajgorh;n ejkforevousi: ouj ga;r dh; crevwntai ijhtroĩsi” (I, 197). I malati scampati a una malattia danno consigli esortando a fare quello che hanno fatto loro stessi per guarire.
Lo storiografo condanna invece la prostituzione sacra nel tempio di Militta: oJ de; dh; ai[scistoς tw`n novmwn (I, 199). Anche al relativismo vanno posti dei limiti.

 Erodoto insomma permea le sue storie con una religiosità non dogmatica, secondo la quale aleggia nel cosmo un numinoso che viene interpretato in vari modi dai singoli popoli. Il che non toglie che si verifichino coincidenze di usi tra genti lontane e culture per molti altri aspetti diverse: in 6, 58, 2 per esempio egli nota che "gli Spartani per le morti dei re hanno la stessa usanza che i barbari d'Asia (novmo" ejsti; (...) wJuto;" kai; toi'si barbavroisi toi'si ejn th'/ jAsivh/), e, in 6, 60 che in un altro uso i Lacedemoni concordano con gli Egiziani: araldi, flautisti e cuochi ereditano il mestiere dal padre.
Di tale relativismo culturale Erodoto è stato maestro ad altri autori.
 Apollonio Rodio nelle Argonautiche registra le singolarità di un mondo altro, di culture diverse: i Colchi per esempio depongono sottoterra i cadaveri delle donne, ma appendono agli alberi quelli degli uomini; in tal modo l'aria ha parte uguale alla terra (III, 207 - 210).

Nella letteratura latina troviamo un’affermazione di relativismo culturale in Cornelio Nepote il quale nel Proemio al Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium afferma che dalla sua opera si può imparare:"non eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis iudicari " (Praefatio, 3), che non sono uguali per tutti gli atti onorevoli e turpi e che tutte le azioni vanno giudicate secondo le tradizioni degli antenati.
Quando i lettori del liber avranno imparato questo, non si meraviglieranno che l’autore nel trattare le virtù dei Greci, ha seguito le loro usanze.

giovanni ghiselli





[1] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 246 n. 14.
[2] J. P. Vernant, Ambiguità E Rovesciamento , in Mito e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89 - 90.
[3] Sei personaggi in cerca d'autore ( parte prima). Parla il personaggio del Padre. La commedia andò in scena la prima volta il 10 maggio 1921 al teatro Valle di Roma.
[4] Pubblicato a puntate sul settimanale "La fiera letteraria" nel 1926.
[5] Mito e Modernità Della Letteratura Greca, p.162.

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