Papa Francesco ha
menzionato il “relativismo religioso” come una possibile accusa nei suoi
confronti. Se ne è difeso preventivamente dicendo che la devozione varia nei
popoli secondo la cultura e le abitudini di ciascuna nazione. Credo che il
relativismo sia una cosa buona in quanto negazione dell’assolutismo latore di
intolleranza.
Già lo
storiografo Erodoto nel
V secolo a. C. presenta favorevolmente la diversità delle culture diverse.
Questa accettazione non priva di approvazione fa parte della obiettività di
gran parte storiografia antica.
Nel terzo libro dello storiografo di Alicarnasso
troviamo un episodio che afferma il valore della tolleranza e costituisce uno
dei più alti insegnamenti della cultura antica.
Il re Dario domandò ad alcuni Greci se sarebbero stati
disposti a cibarsi dei loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero
fatto per niente al mondo.
Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati
Callati" oi{ tou;" goneva" katesqivousi"( 3, 38, 4) i quali mangiano i genitori, a quale prezzo avrebbero
accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli, gridando forte, lo invitarono a non
dire tali empietà.
Così, conclude Erodoto, queste usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che
giustamente Pindaro abbia affermato che la consuetudine è regina di tutte le
cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai").
Il frammento di Pindaro è citato nel Gorgia (484b)
di Platone da Callicle, il quale invero dà alla parola novmo" il significato di legge naturale che giustifica la violenza, come quella di
Eracle il quale portò via le vacche di Gerione senza averle pagate né ricevute
in dono ("ou[te priavmeno" ou[te dovnto" tou'
Ghruovnou hjlavsato ta;" bou'"").
"Pindaro infatti utilizzava questa massima per
giustificare chi non aveva esitato a usare la violenza per affermare il novmo" ellenico sulla barbarie altrui (…) Al contrario, Erodoto non presenta
affatto il novmo" ellenico
come valore assoluto, ma (…) riconosce la parità del novmo" ellenico con quello indiano"[1].
Ebbene la parola novmo" può essere emblematica non solo del relativismo di Erodoto, ma, dato
che assume differenti significati quando è usata da autori e finanche da
personaggi diversi, essa può significare l'incomunicabilità tra gli uomini e
l'ambiguità della condizione umana. A questo proposito sono illuminanti le
parole di jean - Pierre Vernant sull’'Antigone di Sofocle, drammaturgo accostabile per
tanti versi allo storico delle guerre persiane :" In bocca ai diversi
personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti e opposti,
perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa,
giuridica, politica, comune. Così per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui è posto,
chiama anche lui novmo". Per la
fanciulla il termine significa "norma religiosa"; per Creonte,
"editto promulgato dal capo dello Stato". E in realtà il campo
semantico di novmo" è
sufficientemente esteso per comprendere, con altri, ambedue i sensi (...) Le
parole scambiate sullo spazio scenico, anziché stabilire la comunicazione e
l'accordo fra i personaggi, sottolineano viceversa l'impermeabilità degli
spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che separano i
protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali. Ciascun eroe, chiuso nell'universo
che gli è proprio, dà alla parola un senso ed uno solo (...) Ciò che il
messaggio tragico trasmette, quando è compreso, è appunto che nelle parole
scambiate fra gli uomini esistono zone d'opacità e d'incomunicabilità. Nel
momento in cui vede sulla scena i protagonisti aderire esclusivamente a un
senso e, così acciecati, perdere se stessi o dilaniarsi a vicenda, lo
spettatore è portato a comprendere che esistono in realtà due sensi possibili,
o più. Il messaggio tragico gli diviene intelligibile nella misura in cui,
strappato alle sue certezze e alle sue limitazioni antiche, egli riconosce
l'ambiguità dei termini, dei valori, della condizione umana. Riconoscendo
l'universo come conflittuale, aprendosi a una visione problematica del mondo,
egli stesso si fa, attraverso lo spettacolo, coscienza tragica"[2].
L'ambiguità
del linguaggio e l' impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi:
"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! (…) come possiamo intenderci,
signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come
sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col
senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo
d'intenderci; non ci intendiamo mai!"[3].
Luogo simile
si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno, nessuno e
centomila [4]:
"il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare
come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no.
Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa
abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le
riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente,
le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi
affatto" (p. 39).
Dal diverso
valore che due persone danno alla stessa parola nasce allora l’incomprensione e
può scoppiare l’intolleranza.
"Tutte queste usanze", commenta C. M. Bowra,
"vengono considerate da Erodoto con ammirevole spirito di tolleranza e
senza alcuno sdegno per ciò che molti Greci avrebbero considerato come pratiche
disgustose e barbare. Egli cita in proposito le parole di Pindaro:"Il
costume è re di ogni cosa"; e anche se Pindaro le aveva usate per provare
che gli dei possono fare ciò che gli uomini non possono, Erodoto le applica per
provare, con spirito assai più generoso, che gli uomini devono agire in base
alla loro educazione e alle loro tradizioni"[5].
L’approvazione del relativismo si associa alla
condanna dell’intolleranza. Erodoto ha iniziato questo capitolo
affermando:" in ogni caso secondo me è evidente che molto matto era
Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"" ); altrimenti non si sarebbe messo a schernire religioni e costumi
(3, 38, 1). Infatti se
uno invitasse gli uomini a scegliere le usanze migliori, ciascuno sceglierebbe
le proprie, poiché ciascuno è convinto che le proprie siano di gran lunga le
più belle. Egli era necessariamente un pazzo (mainovmenon
a[ndra, 3, 38, 2) poiché
solo un folle mette in ridicolo le tradizioni
locali.
Altri due esempi di relativismo erodoteo
Nel primo
libro delle Storie troviamo il racconto di un novmo" babilonese assai strano che
Erodoto tuttavia considera sofwvtato", avvedutissimo (1, 196): lì le
ragazze belle vengono messe in vendita per essere sposate. Con il denaro
ricavato possono comprarsi il marito le brutte:"to; de;
crusivon ejgivneto ajpo; tw'n eujeidevwn parqevnwn, kai; ou{tw" aiJ
eu[morfoi ta;" ajmovrfou" kai; ejmphvrou" ejxedivdosan" (Storie, I, 196, 3),
il denaro veniva dalle ragazze di bell'aspetto, e così le belle davano in
matrimonio le brutte e le storpie.
Questo,
commenta l’autore, era il loro costume antico più bello (kavllisto"
novmo").
La seconda
usanza per saggezza (novmoς deuvteroς sofivh/) è quella di trasportare i malati in
piazza in quanto non fanno uso dei medici: “tou;ς kavmnontaς ejς th;n ajgorh;n ejkforevousi: ouj
ga;r dh; crevwntai ijhtroĩsi” (I, 197).
I malati scampati a una malattia danno consigli esortando a fare quello che
hanno fatto loro stessi per guarire.
Lo
storiografo condanna invece la prostituzione sacra nel tempio di Militta: “oJ de; dh; ai[scistoς tw`n novmwn” (I, 199). Anche al relativismo
vanno posti dei limiti.
Erodoto
insomma permea le sue storie con una religiosità non dogmatica, secondo la
quale aleggia nel cosmo un numinoso che viene interpretato in vari modi dai
singoli popoli. Il che non toglie che si verifichino coincidenze di usi tra
genti lontane e culture per molti altri aspetti diverse: in 6, 58, 2 per
esempio egli nota che "gli Spartani per le morti dei re hanno la stessa
usanza che i barbari d'Asia (novmo" ejsti; (...) wJuto;" kai; toi'si
barbavroisi toi'si ejn th'/ jAsivh/), e, in 6, 60 che in un altro uso i Lacedemoni
concordano con gli Egiziani: araldi, flautisti e cuochi ereditano il mestiere
dal padre.
Di tale relativismo culturale Erodoto è stato maestro
ad altri autori.
Apollonio Rodio nelle Argonautiche registra
le singolarità di un mondo altro, di culture diverse: i Colchi per esempio
depongono sottoterra i cadaveri delle donne, ma appendono agli alberi quelli
degli uomini; in tal modo l'aria ha parte uguale alla terra (III, 207 - 210).
Nella letteratura latina troviamo un’affermazione di
relativismo culturale in Cornelio
Nepote il quale nel Proemio al Liber de excellentibus ducibus
exterarum gentium afferma che dalla sua opera si può imparare:"non
eadem omnibus esse honesta atque turpia, sed omnia maiorum institutis
iudicari " (Praefatio, 3), che non sono uguali per tutti
gli atti onorevoli e turpi e che tutte le azioni vanno giudicate secondo le
tradizioni degli antenati.
Quando i lettori del liber avranno
imparato questo, non si meraviglieranno che l’autore nel trattare le virtù dei
Greci, ha seguito le loro usanze.
giovanni ghiselli
[3] Sei personaggi in cerca d'autore ( parte prima). Parla il
personaggio del Padre. La commedia andò in scena la prima volta il 10 maggio
1921 al teatro Valle di Roma.
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