NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 3 maggio 2020

Il giovane ministro Roberto Speranza e l'imperatore Marco Aurelio. Si parva licet...


Oggi domenica 3 maggio il primo ospite della trasmissione televisiva della Nunziata era il ministro della sanità Roberto Speranza.
E’ un giovane serio e capace. Parla in maniera razionale e chiara di quello che fa e che sa,  mentre con onesta e signorile  modestia attribuisce agli esperti delle varie discipline consultati il sapere di cui non è esperto e che vuole imparare. Mi ricorda i miei studenti migliori. Lo stimo, non solo da oggi: l’ho perfino votato nonostante non sia un comunista. Comunque contribuisce non poco a formare e delineare la facies progressista del governo. Bella è  la naturalezza e l’efficacia del suo eloquio, pregevole il fatto che parli con scioltezza senza leggere una parola. E’ del tutto diverso dai tanti fanfaroni troppo spesso presenti in televisione dove il più delle volte ciarlano a vanvera per farsi notare e votare da quelli che riescono a incantare. 
Questo giovane dunque promette bene. Oggi ho ravvisato in lui un potenziale statista. Non vorrei però che, data appunto l’età ancora verde, si lasciasse traviare. Il potere è un luogo che facilmente fuorvia.
Allora aggiungo a questo elogio una sintesi che ho appena compilato su uno statista antico i cui scritti mi sono sempre piaciuti.
Prova a leggerlo ministro Speranza e non sentirti sminuito se ti tratto da alunno.
Potresti essere mio figlio
Del resto dagli allievi, i miei figli spirituali, ho sempre imparato e imparo tuttora.
Saluti
giovanni ghiselli


Con Marco Aurelio la  filosofia  stoica entrò nel palazzo imperiale. Nacque nel 121 d. C., da giovane seguì l’oratore Cornelio Frontone
A 25 anni però si diede alla filosofia arrecando un grosso dispiacere al retore arcaista.
Sarà imperatore romano dal 161 al 180
Seguì le lezioni, tra gli altri, di Giunio Rusico figlio di Aureliano Rustico fatto ammazzare da Domiziano. I suoi modelli erano Trasea Peto, Catone e Bruto. Portava con sé i testi di Epitteto trascritti da Arriano.
Ne apprese che ognuno deve svolgere bene il compito e recitare nel modo migliore la parte assegnatagli dal destino:“ricorda che sei attore di un dramma (mevmnhso o{ti upokrith;ς ei\ dravmatoς ), ma il regista è un altro, e il tuo compito è recitare bene (uJpokrivnasqai kalw'ς) il ruolo che ti è stato assegnato (to; doqe;n provswpon) (Epitteto, Manuale, 17)
Marco Aurelio si impegnò a recitare la parte del filosofo che il destino aveva insediato in una posizione di enorme responsabilità.


Nel 161 l’utopia platonica divenne reale: un filosofo divenne re.
Ma questo imperatore doveva fronteggiare barbari, pestilenze e altro. La Provvidenza gli aveva imposto un enorme fardello.
Scrisse Ta; eij" eJautovn, riflessioni a se stesso.
 Sotto il suo impulso la filosofia da li professata  dvenne di moda e molti si scoprirono stoici. Nel 176 l’imperatore creò ad Atene due cattedre di filosofia a spese dello Stato. Ma dalla II metà de III secolo, la Stoà un poco alla volta muore.

Marco Aurelio
L’imperatore dunque è stato influenzato dallo schiavo Epitteto. Il destino dell’uomo non risiede nel corpo che abbiamo in comune con gli animali ma nel suo spirito che è il vero uomo in ciascuno di noi. Il sentimento innato della dignità umana dovrebbe vietarci di insudiciare il demone che abita nel nostro petto.
L’imperatore che non ha nessuno sopra di sé deve guardarsi dall’abusare della propria potenza. 
La sua libertà è l’indipendenza dello spirito da tutti gli influssi esterni ed interni che potrebbero ostacolarlo nell’adempimento del grave compito affidatogli dalla Provvidenza.
Marco Aurelio metteva in guardia se stesso anche dai peccati di omissione: “ajdikei' pollavki" oJ mh; poiw'n ti, ouj movnon oJ poiw'n ti (IX, 5)
Del resto chi commette una colpa, la commette contro se stesso, chi compie un’ingiustizia la compie contro se stesso, facendo del male a se stesso- eJauto;n kako;n poiw'n (IX, 4)
Ogni spirito ha parte della noera; oujsiva, sostanza spirituale alla quale desidera tornare. Per noi è bene solo ciò che ci rende migliori interiormente, mentre è male ciò che ci peggiora. Il nous che abbiamo è più forte delle passioni che cercano di muoverci come burattini.

La mente che si mantiene libera dalle passioni è un’acropoli (ajkropoliv"  ejstin hJ ejleuqevra paqw``n VIII, 48)

Con la volontà Marco Aurelio temprò il suo corpo debole: diceva a se stesso che il corpo deve sottostare alla disciplina dello spirito. Dio  ha collocato l’imperatore davanti all’umanità come un toro davanti all’armento (11, 18)
Eppure l’incontro con il prossimo è difficoltoso: “ anche la persona più gradevole è difficile da sopportare (V, 10).  L’imperatore vuole mantenere la sua superiorità non per vana iattanza ma per adempiere la missione che dio gli ha assegnato. Ripete spesso l’esortazione di Epitteto: “ ajnevcou kai; ajpevcou, sopporta e rinuncia
“Non ti stancare mai di giovare a te stesso, facendo del bene agli altri: “wjfevleia de; pra'xi" kata; fuvsin” (VII, 74), l’aiuto è secondo natura.
[ Idion ajnqrwvpou filei'n kai; tou;" ptaivonta" (VII, 22), è proprio dell’uomo amare anche i traviati.
Faivdruvnon seauto;n aJplovthti, sii lieto per la tua semplicità, fivlhson to; ajnqrwvpinon gevno", (VII, 31), ama il genere umano.
JAkolouvqhson qew'/, segui dio. Il sentimento morale è legato con quello religioso.
 [ Htoi provnoia h} a[tomoi (IV, 3) l’alternativa è la provvidenza o gli atomi. In ogni caso dobbiamo inserirci nel tutto e compiere il dovere che abbiamo verso i nostri simili. E il nostro spirito non può non derivare da uno spirito universale. Se gli dei non esistono, che significato ha la mia vita?
Volontà di Dio è che l’uomo diventi simile a lui. Già Platone nel Teeteto aveva raccomandato l’assimoilazione a Dio ((oJmoivwsiς qew' , 176b). 
Marco Aurelio secondo Cassio Dione (71, 31, 3) si fece anche iniziare ai misteri. L’imperatore crede in un dio presente nelle cose che sono tutte intrecciate tra loro pavnta ajllhvloi" ejpipevplektai (VII, 9) e il loro legame è sacro hj suvndesi" ijerav.
Già Platone  aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d).
Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore"[1]. Bisogna dunque cogliere i nessi intrecciati dalla Provnoia.
Aggiungo quanto dice l’Amleto di Shakespeare: There is special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2)


Tutte le vicende dunque  dunque sono collegate con un reciproco nesso di causalità. Il cosmo è l’essere vivente perfetto.
La provvidenza divina crea in maniera ottima, non senza però effetti collaterali: dalla materia necessaria per la creazione possono cadere come da ogni officina limature e ritagli
La morte serve alla conservazione del tutto.Swv/zousi to;n kovsmon aiJ tw'n sugkrimavtwn metabolaiv, salvano il cosmo i cambiamenti dei composti, Tutto avviene per necessità e  a vantaggio dell’intero universo (II, 3)

Cfr. Seneca Ep. 74, 20
Nihil indignetur  sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad  conservationem universi pertinere (…) placeat homini quid quid deo placuit ( 20), l’uomo non si indigni  (l’uomo) qualunque cosa gli accada e sappia che quegli eventi dai quali sembra venire danneggiato, tendono alla conservazione dell’universo (…) piaccia all’uomo quello che è piaciuto a Dio.

L’uomo può afferrare il senso di questo accadere e morire grato a questa provvidenza. Chi commette ingiustizia non segue dio , è empio e fa peccato oJ ajdikw'n ajsebei' (IX, 1)
Chi vive con gli dèi mostra loro un’anima contenta della sorte che gli è stata assegnata- deiknu;" aujtoi'" th;n eJautou' yuch;n ajreskomevnhn me;n toi'" ajponemomevnoi" (V, 27) e segue il demone che Zeus gli ha assegnato come difensore e guida, ajpovspasma eJautou', frammento di Dio stesso. Obbedire al proprio demone è lo stesso che servire dio. C’è la legge universale dell’eterno rinnovarsi.
Il concetto eracliteo del fluire delle cose dominava le menti dell’età imperiale. Tutto ciò che è terreno è fugace. Non si deve sacrificare la pace attaccando al nostro cuore apparizioni fugaci. Che senso ha cercare di afferrare il passero?

Cfr. Eschilo Nel primo stasimo dell'Agamennone (vv.387 e sgg.) il coro canta:"Non rimane celata la colpa, ma diviene evidente, abbagliata da luce terribile. Il colpevole è come moneta falsa che,sfregata, appare quale pezzo di ferro nero; è come un fanciullo che insegue un uccello che vola-“diwvkei pai'" potano;n o[rnin, 394-").

 L’imperatore e lo schiavo Epitteto sanno che tutto passa e tutto torna –h{ te ga;r  oujsiva oi|on potamov" (V, 23) . Le cose più apprezzate (polutivmhta) sono vuote, putride, meschine (kena; kai; sapra; kai; mikrav) e quelli che lottano per averle sono come dei cagnolini che si mordono a vicenda kunivdia diadaknovmena (V, 33), e fanciulli litigiosi (kai; paivdia filovneika) che prima ridono poi piangono.
Tutto ciò che riguarda il corpo è come un fiume pavnta ta; me;n tou' swvmato" potamov", ciò che riguarda l’anima è sogno e illusione (o[neiro" kai; tu'fo"), la vita è guerra e viaggio in terra straniera, hj de; ujsterofhmiva lhvqh- la fama dopo la morte, oblio (II, 17).
Tuttavia l’uomo ha qualcosa da gettare sulla bilancia, qualcosa che pesa più del resto: la sua personalità morale, la sua parte divina. Bisogna approfittare del tempo non nel senso edonistico del carpe diem , ma per compiere la missione di uomo. Dobbiamo collaborare al buon andamento del tutto. Così il pessimismo è superato. Marco Aurelio non dimenticava gli antichi ideali romani della virtus, della gravitas, della iustitia.  Né il verso di Ennio moribus antiquis res stat Romana virisque.
Come imperatore la sua patria era Roma, come uomo il cosmo. L’essere animato dotato per natura  di logos è nello tempo logiko;n kai; politikovn (X, 2). Marco Aurelio, come l’antico civis romanus,  sentiva il dovere di mettere tutte le sue energie al servizio dello Stato.
Questo imperatore dava poca importanza ai suoi successi militari: “il ragno è fiero di avere catturato la mosca, un uomo quando cattura una lepre, un altro un’acciuga nella rete o dei cinghiali o degli orsi, uno quando cattura dei Sarmati. Ma in fin dei conti sono tutti dei predoni (lh/staiv, X, 10). Avrebbe preferito dedicarsi alla filosofia ma la provvidenza volle altrimenti ed egli obbedì senza mormorazioni. Il posto che la Roma moderna gli ha assegnato sul Campidoglio è meritato.
Sa che pochi gli saranno grati, anzi molti trarranno sollievo dalla sua morte. Ma provava ugualmente affetto per loro.
La mattina, alzandosi, si diceva che non era stato creato per stare al caldo sotto le coperte. Alberi, uccelli, formiche, ragni api, ciascun essere vivente contribuisce a fare funzionare il cosmo.
Diceva anche a se stesso: bada di non cesarizzarti, resta l’uomo semplice e buono che la filosofia ha plasmato-  {ora mh; ajpokaisarwqh'"- (VI, 30). Vivi semplicemente e piamente. Suggerisce a se stesso di essere i[lew", benevolo.
 La sorgente del bene è dentro l’anima e bisogna farla zampillare.
 Bisogna investigare se stesso, come aveva già detto Eraclito.
Marco Aurelio cercava il lato buono anche nel fratello adottivo Lucio Vero che era uno scioperato e divise il potere con lui dal 161 al 169 quando morì: funzionava quale contromodello.
Ebbe tante difficoltà: una moglie infedele, un figlio- Commodo- che era il suo opposto, guerre ai cofini, la peste. Nei suoi Ricordi aleggia una stanchezza che è anche quella di una civiltà ormai senescente, tuttavia scrive: “eJgw; to; ejmautou' kaqh'kon poiw' , io faccio il mio dovere e il resto non me distoglie: ta; a[lla me ouj perispa'/ (VI, 22), infatti sono cose inanimate o esseri privi di ragione o erranti per ignoranza della retta via.
Che cosa è la felicità? Eujdaimoniva ejsti; daivmwn ajgaqov" (VII, 17), è un demone buono.
L’imperatore suggerisce di congedarsi dalla vita con gratitudine come un’oliva che una volta matura ( ejlaiva pevpeiroς genomevnh ) cade al suolo benedicendo la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha generata (IV, 48).
E quando verrà la tua ora, vai via sereno siccome è sereno chi ti congeda  (XII, 36). Sono le ultime parole dei ricordi-a[piqi ou\n i{lew": kai; ga;r oj ajpoluvwn i{lew".
Bologna, 3 maggio 2020 giovanni ghiselli


       

     

 




[1]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , del 1880,. Libro sesto, capitolo terzo.

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