Oggi domenica 3 maggio il
primo ospite della trasmissione televisiva della Nunziata era il ministro della
sanità Roberto Speranza.
E’ un giovane serio e capace.
Parla in maniera razionale e chiara di quello che fa e che sa, mentre con onesta e signorile modestia attribuisce agli esperti delle varie
discipline consultati il sapere di cui non è esperto e che vuole imparare. Mi
ricorda i miei studenti migliori. Lo stimo, non solo da oggi: l’ho perfino
votato nonostante non sia un comunista. Comunque contribuisce non poco a
formare e delineare la facies progressista del governo. Bella è la naturalezza e l’efficacia del suo eloquio,
pregevole il fatto che parli con scioltezza senza leggere una parola. E’ del
tutto diverso dai tanti fanfaroni troppo spesso presenti in televisione dove il
più delle volte ciarlano a vanvera per farsi notare e votare da quelli che riescono
a incantare.
Questo giovane dunque
promette bene. Oggi ho ravvisato in lui un potenziale statista. Non vorrei però
che, data appunto l’età ancora verde, si lasciasse traviare. Il potere è un
luogo che facilmente fuorvia.
Allora aggiungo a questo
elogio una sintesi che ho appena compilato su uno statista antico i cui scritti
mi sono sempre piaciuti.
Prova a leggerlo ministro
Speranza e non sentirti sminuito se ti tratto da alunno.
Potresti essere mio figlio
Del resto dagli allievi, i
miei figli spirituali, ho sempre imparato e imparo tuttora.
Saluti
giovanni ghiselli
Con Marco Aurelio la filosofia stoica entrò nel palazzo imperiale. Nacque nel
121 d. C., da giovane seguì l’oratore Cornelio Frontone
A 25 anni però si diede alla filosofia arrecando un
grosso dispiacere al retore arcaista.
Sarà imperatore romano dal 161 al 180
Seguì le lezioni, tra gli altri, di Giunio Rusico
figlio di Aureliano Rustico fatto ammazzare da Domiziano. I suoi modelli erano
Trasea Peto, Catone e Bruto. Portava con sé i testi di Epitteto trascritti da
Arriano.
Ne apprese che ognuno deve
svolgere bene il compito e recitare nel modo migliore la parte assegnatagli dal
destino:“ricorda che sei attore di un dramma (mevmnhso o{ti upokrith;ς ei\ dravmatoς ), ma il regista è un altro, e il tuo compito è recitare bene (uJpokrivnasqai kalw'ς) il ruolo che ti è stato
assegnato (to; doqe;n provswpon) (Epitteto, Manuale, 17)
Marco Aurelio si impegnò a
recitare la parte del filosofo che il destino aveva insediato in una posizione
di enorme responsabilità.
Nel 161 l’utopia platonica divenne reale: un filosofo
divenne re.
Ma questo imperatore doveva fronteggiare barbari,
pestilenze e altro. La
Provvidenza gli aveva imposto un enorme fardello.
Scrisse Ta; eij" eJautovn, riflessioni a se stesso.
Sotto il suo
impulso la filosofia da li professata dvenne di moda e molti si scoprirono stoici.
Nel 176 l’imperatore creò ad Atene due cattedre di filosofia a spese dello
Stato. Ma dalla II metà de III secolo, la Stoà un poco alla volta muore.
Marco Aurelio
L’imperatore dunque è stato
influenzato dallo schiavo Epitteto. Il destino dell’uomo non risiede nel corpo
che abbiamo in comune con gli animali ma nel suo spirito che è il vero uomo in
ciascuno di noi. Il sentimento innato della dignità umana dovrebbe vietarci di
insudiciare il demone che abita nel nostro petto.
L’imperatore che non ha
nessuno sopra di sé deve guardarsi dall’abusare della propria potenza.
La sua libertà è
l’indipendenza dello spirito da tutti gli influssi esterni ed interni che
potrebbero ostacolarlo nell’adempimento del grave compito affidatogli dalla
Provvidenza.
Marco Aurelio metteva in
guardia se stesso anche dai peccati di omissione: “ajdikei' pollavki" oJ mh;
poiw'n ti, ouj movnon oJ poiw'n ti (IX,
5)
Del resto chi commette una
colpa, la commette contro se stesso, chi compie un’ingiustizia la compie contro
se stesso, facendo del male a se stesso- eJauto;n kako;n poiw'n (IX, 4)
Ogni spirito ha parte della noera; oujsiva, sostanza spirituale alla quale desidera tornare. Per
noi è bene solo ciò che ci rende migliori interiormente, mentre è male ciò che
ci peggiora. Il nous che abbiamo è più forte delle passioni che cercano di
muoverci come burattini.
La mente che si mantiene libera dalle passioni è un’acropoli (ajkropoliv" ejstin hJ ejleuqevra paqw``n VIII, 48)
Con la volontà Marco Aurelio
temprò il suo corpo debole: diceva a se stesso che il corpo deve sottostare
alla disciplina dello spirito. Dio ha
collocato l’imperatore davanti all’umanità come un toro davanti all’armento
(11, 18)
Eppure l’incontro con il
prossimo è difficoltoso: “ anche la persona più gradevole è difficile da
sopportare (V, 10). L’imperatore vuole
mantenere la sua superiorità non per vana iattanza ma per adempiere la missione
che dio gli ha assegnato. Ripete spesso l’esortazione di Epitteto: “ ajnevcou kai; ajpevcou, sopporta e rinuncia
“Non ti stancare mai di
giovare a te stesso, facendo del bene agli altri: “wjfevleia de; pra'xi" kata;
fuvsin” (VII, 74), l’aiuto è secondo
natura.
[ Idion
ajnqrwvpou filei'n kai; tou;" ptaivonta" (VII, 22), è proprio dell’uomo amare anche i
traviati.
Faivdruvnon
seauto;n aJplovthti, sii lieto per la tua
semplicità,
fivlhson to; ajnqrwvpinon gevno",
(VII, 31), ama il genere umano.
JAkolouvqhson
qew'/, segui dio. Il sentimento morale è
legato con quello religioso.
[ Htoi provnoia h} a[tomoi (IV, 3) l’alternativa è la provvidenza o gli atomi.
In ogni caso dobbiamo inserirci nel tutto e compiere il dovere che abbiamo
verso i nostri simili. E il nostro spirito non può non derivare da uno spirito
universale. Se gli dei non esistono, che significato ha la mia vita?
Volontà di Dio è che l’uomo
diventi simile a lui. Già Platone nel Teeteto
aveva raccomandato l’assimoilazione a Dio ((oJmoivwsiς qew' , 176b).
Marco Aurelio secondo Cassio
Dione (71, 31, 3) si fece anche iniziare ai misteri. L’imperatore crede in un
dio presente nelle cose che sono tutte intrecciate tra loro pavnta ajllhvloi"
ejpipevplektai (VII, 9) e il loro legame
è sacro hj suvndesi"
ijerav.
Già Platone
aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'"
fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d).
Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima
che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di
modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari
all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli
uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu
fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe
certo migliore"[1].
Bisogna dunque cogliere i nessi intrecciati dalla Provnoia.
Aggiungo quanto dice l’Amleto di Shakespeare: There is special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2)
Tutte le vicende dunque dunque sono collegate con un reciproco nesso
di causalità. Il cosmo è l’essere vivente perfetto.
La provvidenza divina crea in
maniera ottima, non senza però effetti collaterali: dalla materia necessaria
per la creazione possono cadere come da ogni officina limature e ritagli
La morte serve alla
conservazione del tutto.Swv/zousi
to;n kovsmon aiJ tw'n sugkrimavtwn metabolaiv, salvano il cosmo i cambiamenti dei composti, Tutto avviene per
necessità e a vantaggio dell’intero
universo (II, 3)
Cfr. Seneca Ep. 74, 20
Nihil indignetur
sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur ad conservationem universi pertinere (…) placeat
homini quid quid deo placuit ( 20),
l’uomo non si indigni (l’uomo) qualunque
cosa gli accada e sappia che quegli eventi dai quali sembra venire danneggiato,
tendono alla conservazione dell’universo (…) piaccia all’uomo quello che è
piaciuto a Dio.
L’uomo può afferrare il senso
di questo accadere e morire grato a questa provvidenza. Chi commette
ingiustizia non segue dio , è empio e fa peccato oJ ajdikw'n ajsebei' (IX, 1)
Chi vive con gli dèi mostra
loro un’anima contenta della sorte che gli è stata assegnata- deiknu;" aujtoi'" th;n
eJautou' yuch;n ajreskomevnhn me;n toi'" ajponemomevnoi" (V, 27) e segue il demone che Zeus gli ha assegnato
come difensore e guida, ajpovspasma
eJautou', frammento di Dio stesso.
Obbedire al proprio demone è lo stesso che servire dio. C’è la legge universale
dell’eterno rinnovarsi.
Il concetto eracliteo del
fluire delle cose dominava le menti dell’età imperiale. Tutto ciò che è terreno
è fugace. Non si deve sacrificare la pace attaccando al nostro cuore
apparizioni fugaci. Che senso ha cercare di afferrare il passero?
Cfr. Eschilo Nel primo stasimo dell'Agamennone (vv.387 e sgg.) il coro canta:"Non
rimane celata la colpa, ma diviene evidente, abbagliata da luce terribile. Il
colpevole è come moneta falsa che,sfregata, appare quale pezzo di ferro nero; è
come un fanciullo che insegue un uccello che vola-“diwvkei pai'" potano;n
o[rnin, 394-").
L’imperatore e lo schiavo Epitteto sanno che
tutto passa e tutto torna –h{ te ga;r oujsiva oi|on
potamov" (V, 23) . Le cose più
apprezzate (polutivmhta) sono vuote, putride, meschine (kena; kai; sapra; kai; mikrav) e quelli che lottano per averle sono come dei
cagnolini che si mordono a vicenda kunivdia diadaknovmena (V, 33), e fanciulli litigiosi (kai; paivdia filovneika) che prima ridono poi piangono.
Tutto ciò che riguarda il
corpo è come un fiume pavnta
ta; me;n tou' swvmato" potamov", ciò
che riguarda l’anima è sogno e illusione (o[neiro" kai; tu'fo"), la vita è guerra e viaggio in terra straniera, hj de; ujsterofhmiva lhvqh- la fama dopo la morte,
oblio (II, 17).
Tuttavia l’uomo ha qualcosa
da gettare sulla bilancia, qualcosa che pesa più del resto: la sua personalità
morale, la sua parte divina. Bisogna approfittare del tempo non nel senso
edonistico del carpe diem , ma per
compiere la missione di uomo. Dobbiamo collaborare al buon andamento del tutto.
Così il pessimismo è superato. Marco Aurelio non dimenticava gli antichi ideali
romani della virtus, della gravitas, della iustitia. Né il verso di
Ennio moribus antiquis res stat Romana
virisque.
Come imperatore la sua patria
era Roma, come uomo il cosmo. L’essere animato dotato per natura di logos è nello tempo logiko;n kai; politikovn (X, 2). Marco Aurelio, come l’antico civis romanus, sentiva il dovere di mettere tutte le sue
energie al servizio dello Stato.
Questo imperatore dava poca
importanza ai suoi successi militari: “il ragno è fiero di avere catturato la
mosca, un uomo quando cattura una lepre, un altro un’acciuga nella rete o dei
cinghiali o degli orsi, uno quando cattura dei Sarmati. Ma in fin dei conti
sono tutti dei predoni (lh/staiv, X, 10). Avrebbe preferito dedicarsi alla filosofia
ma la provvidenza volle altrimenti ed egli obbedì senza mormorazioni. Il posto
che la Roma
moderna gli ha assegnato sul Campidoglio è meritato.
Sa che pochi gli saranno
grati, anzi molti trarranno sollievo dalla sua morte. Ma provava ugualmente
affetto per loro.
La mattina, alzandosi, si
diceva che non era stato creato per stare al caldo sotto le coperte. Alberi,
uccelli, formiche, ragni api, ciascun essere vivente contribuisce a fare
funzionare il cosmo.
Diceva anche a se stesso:
bada di non cesarizzarti, resta l’uomo semplice e buono che la filosofia ha
plasmato- {ora mh; ajpokaisarwqh'"- (VI, 30). Vivi semplicemente e piamente. Suggerisce a
se stesso di essere i[lew",
benevolo.
La sorgente del bene è dentro l’anima e
bisogna farla zampillare.
Bisogna investigare se stesso, come aveva già
detto Eraclito.
Marco Aurelio cercava il lato
buono anche nel fratello adottivo Lucio Vero che era uno scioperato e divise il
potere con lui dal 161 al 169 quando morì: funzionava quale contromodello.
Ebbe tante difficoltà: una
moglie infedele, un figlio- Commodo- che era il suo opposto, guerre ai cofini,
la peste. Nei suoi Ricordi aleggia
una stanchezza che è anche quella di una civiltà ormai senescente, tuttavia
scrive: “eJgw; to;
ejmautou' kaqh'kon poiw' , io faccio il
mio dovere e il resto non me distoglie: ta; a[lla me ouj perispa'/ (VI, 22), infatti sono cose inanimate o esseri privi di ragione o
erranti per ignoranza della retta via.
Che cosa è la felicità? Eujdaimoniva ejsti; daivmwn
ajgaqov" (VII, 17), è un demone
buono.
L’imperatore suggerisce di
congedarsi dalla vita con gratitudine come un’oliva che una volta matura ( ejlaiva pevpeiroς genomevnh ) cade al suolo
benedicendo la terra che l’ha prodotta e ringraziando l’albero che l’ha
generata (IV, 48).
E quando verrà la tua ora,
vai via sereno siccome è sereno chi ti congeda
(XII, 36). Sono le ultime parole dei ricordi-a[piqi ou\n i{lew": kai;
ga;r oj ajpoluvwn i{lew".
Bologna, 3 maggio 2020
giovanni ghiselli
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