J.F Millet, Angelus |
Elogio dell'agricoltura in Senofonte e in altri autori
Nel quotidiano “la Repubblica” di oggi 16 aprile 2020
leggo un paio di titoli che trascrivo: a pagina 3 sta scritto: “Tra gli
italiani tornati nei campi “è l’ultima speranza’”.
Più avanti (p. 13): “Zaia ‘i tamponi a tutti una mia
invenzione. Io premier? Ma no, vengo dalla campagna’”.
C’è chi ci va sperando e chi ne proviene quasi
vantandosene.
Ho ricordato già più volte qualche cosa della mia
esperienza della vita nei campi al tempo delle battiture e delle vendemmie dei
primi anni Cinquanta. Ricordo con nostalgia quei giorni lontani passati a
Montegridolfo tra le zie, i mezzadri e i loro figlioli.
Osservavo, riflettevo e pure fantasticavo tante storie
immaginando al viver mio.
Ora però voglio riferire alcuni elogi della campagna e
dell’agricoltura letti nei miei, anzi nostri, autori - accrescitori.
Nell’Economico di Senofonte[1], Socrate maestro dell’autore e personaggio di molte
tra le sue opere, dice al giovane Critobulo che non bisogna vergognarsi di
imitare il re di Persia il quale considerava l'agricoltura e l'arte della
guerra tra le attività più belle e necessarie, e, quindi si dedicava a entrambe
(IV, 4).
Anzi una volta Ciro (il Vecchio) rivendicò a sé il
merito di essere il migliore a coltivare la terra e a difendere le colture (IV,
16). Il fondatore dell'impero persiano infatti non era meno orgoglioso di
rendere produttiva la terra e di coltivarla che di essere un guerriero (IV,
17). L'agricoltura dunque è la prima delle arti: intanto essa esercita il corpo
alla fatica ("Kai; dramei'n de kai; balei'n kai;
phdh'sai tiv" iJkanwtevrou" tevcnh gewrgiva" parevcetai;", V, 8, quale arte più dell'agricoltura rende
capaci di correre e lanciare il giavellotto e saltare?); inoltre la terra, che
è una divinità, insegna la giustizia a quelli capaci di apprenderla:"hJ
gh' qeo;" ou\sa dunamevnou" katamanqavnein kai; dikaiosuvnhn didavskei"(V, 12).
In definitiva per un gentiluomo (ajndri;
kalw'/ te kajgaqw'/), l’attività più utile e la conoscenza
migliore sono date dall’agricoltura: un lavoro dal quale gli uomini traggono il
necessario. Essa è facile da imparare, piacevole da svolgersi e, diversamente
dalle tecniche banausiche degli artigiani, rende il corpo bellissimo e molto
robusto, e lascia all’anima molto tempo libero da dedicare agli amici e
all’attività politica (VI, 8 - 9).
Un altro elogiatore dell’agricoltura è Catone il
Vecchio: l’usuraio è spregevole più del ladro, il mercante cerca di procurarsi
un patrimonio esponendosi a rischi e pericoli, “at ex agricolis et viri
fortissimi et milites strenuissimi gignuntur; maximeque pius quaestus
stabilissimusque consequitur, minimeque invidiosus; minimeque male cogitantes
sunt qui in eo studio occupati sunt ” (De agri cultura, praefatio,
I), mentre dagli agricoltori nascono uomini fortissimi e soldati valorosissimi,
e se ne trae un guadagno assolutamente santo e del tutto sicuro senza suscitare
invidia; e non concepiscono per niente cattivi pensieri quelli impegnati in
questa occupazione.
Cicerone nel Cato Maior, de
senectute attribuisce al personaggio eponimo del dialogo un caldo
elogio non solo della vecchiaia ma anche dell’agricoltura, non senza ricordare
l’Economico di Senofonte (XVII). In estrema sintesi: “hominum
generi universo cultura agrorum est salutaris ” (XVI),
l’agricoltura è la salvezza di tutto il genere umano.
Oggi più che mai.
Un elogio dell'agricoltura quale lavoro foriero di
forza morale si trova anche in Tolstoj il quale in Anna Karenina raffigura
la rigenerazione di Lèvin, una specie di alter ego dell'autore, attraverso
l'osservazione e la pratica del lavoro dei campi:"Dio ha dato il giorno,
Dio ha dato le forze. E il giorno e le forze sono consacrati al lavoro e in
esso stesso è la ricompensa. Ma per chi la fatica? Quali saranno i frutti della
fatica? Queste sono considerazioni secondarie e insignificanti.
Lèvin spesso ammirava quella vita, spesso provava un
sentimento di invidia per la gente che viveva quella vita, ma quel giorno, per
la prima volta (...) gli venne chiaro il pensiero che dipendeva da lui cambiare
la vita così penosa, vuota, artificiale e solitaria che viveva, in quella
incantevole e pura vita in comune fatta di lavoro (...) Tutta la lunga giornata
di lavoro non aveva lasciato in loro altra traccia che la gaiezza "[2].
Un lavoro fatto di mietiture, falciature e così
via:"Il vecchio (...) tagliava come giocando una falciata uniforme e alta.
Come se non lui, ma la falce tagliente trinciasse da sé l'erba sugosa. Dietro
Lèvin andava il giovane Mìska. Il suo viso gradevole, con i capelli tenuti a
posto da un laccio d'erba fresca, era tutto sudato per lo sforzo; ma, non
appena lo si guardava, egli sorrideva (...) Lèvin procedeva fra loro due. Nel
pieno della calura non gli sembrava poi molto faticoso falciare. Il sudore che
lo inondava gli dava frescura e il sole, che gli scottava la schiena, la testa
e il braccio rimboccato sino al gomito, gli dava vigore e tenacia nel
lavoro"[3].
Ma torniamo
all’Economico di Senofonte.
Nel primo capitolo, Socrate e Critobulo
stabiliscono una distinzione tra averi reali in quanto utili, e averi presunti,
ossia falsi, insomma non averi siccome dannosi. Critobulo riassume Socrate: “a[ra
wJ" e[oike, ta; me;n wjfelou`nta crhvmata hjgei`, ta; de; blavptonta ouj
crhvmata (I, 9 ), tu dunque, a quanto pare, consideri averi
le cose utili, le dannose invece non averi.
Socrate conferma - ou{tw" - è così, e aggiunge: “ le medesime cose per chi sa servirsene sono averi ,
per chi invece non sa servirsene non sono averi ”:"Taujta;
a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav
ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"
(Economico, I, 10); così i flauti sono utili
per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi
inservibili ("oujde;n ma'llon hj; a[crhstoi livqoi"). E’ un monito contro lo spreco e lo sfoggio
vano[4].
Nella seconda parte dell'opera (capp. VII sgg.)
Socrate riferisce un dialogo tenuto con Iscomaco che è un gentiluomo (kalo;"
kai; ajgaqov" ) di campagna. Anch'egli considera
l'agricoltura come la più nobile tra le attività economiche perché produce
ricchezza e pure uomini pronti a difendere la patria.
L'attività fisica viene raccomandata come salutare,
particolarmente quella impiegata nell'agricoltura la quale è una tevcnh talmente amica degli uomini e mite ("filavnqrwpov"
ejsti kai; praei'a ", XIX, 17) che si impara con
facilità. La grande madre di noi tutti poi è generosa, giusta e grata a chi si
impegna con lei:"gh'n pavnte" oi[dasin o{ti eu\
pavscousa eu\ poiei'"(Economico , XX, 14),
della terra tutti sanno che se riceve bene, fa bene.
Quando Senofonte scrive, a conclusione della sua vita,
Povroi (Le entrate,
databili intorno al 355), propriamente non un peri;
oijkonomiva", ma un trattatello sulle dissestate
finanze ateniesi, egli cercherà di riproporre, almeno in parte, le regole della
buona amministrazione della casa messe alla prova nell'Economico.
La lode della fertilità della terra attica (12 sgg.) -
più ideologica che reale - è un invito trasparente al ritorno all'agricoltura
dopo gli abbandoni della campagna durante la guerra del Peloponneso. Anche i
provvedimenti proposti a favore dei meteci (21 sgg.) e per l'utilizzazione
statale delle miniere (41 sgg.) - l'argomento più diffusamente trattato - sono
dettati dall'ideale di una città autarchica, capace di mantenersi senza più gli
aiuti esterni degli alleati, appunto come la casa di Iscomaco che, avendo quale
pernio la dispensa e facendo a meno del mercato, suggerisce l'ideale
dell'autosufficienza. E' proprio il capitolo finale dei Povroi che mostra la continuità ideologica con l'Economico.
Gli Ateniesi devono instaurare la pace e raggiungere
lo scopo di essere più graditi (prosfilevsteroi 6, 1) alle altre città; di fatto la Grecia è
vista da Senofonte come un grande oi\ko" dove il padrone è Atene che deve sapersi servire
delle altre povlei" quali
amiche, non dimenticando di promuoverne l'onore. E' in altre parole
l'insegnamento di Iscomaco trasportato nell'ambito statale e non è un caso che
anche qui ricompaia la periousiva,
l’eccedenza. Solo infatti se si seguiranno le indicazioni di Senofonte le molte
eccedenze offriranno la possibilità "di celebrare feste con più splendore
di ora, di restaurare i templi, di riparare le mura e gli arsenali, di
restituire ai sacerdoti, alla Boulè , ai magistrati e ai
cavalieri le antiche tradizioni". Come dire, una città in ordine allo
stesso modo di una casa ben amministrata: il lovgo"
oijkonomikov" mostra così tutta la sua stretta
relazione con il discorso politico"[5].
giovanni ghiselli
[4] Mi interessa notare una considerazione analoga a
proposito degli averi negli avvertimenti A Demonico di Isocrate, o
comunque della cerchia isocratea. Qui l'autore consiglia al giovane di
disprezzare quelli che si affannano per la ricchezza ma non sanno utilizzare le
cose che hanno: infatti uomini del genere si trovano in una condizione simile a
uno che avesse acquistato un bel cavallo, ma sapesse cavalcare male:" w{sper
aj;n ei[ ti" i{ppon kthvsaito kalo;n kakw'" iJppeuvein
ejpistavmeno""(27). L'esortazione conseguente
è:"Peirw' to;n plou'ton crhvmata kai; kthvmata
kataskeuavzein : e[sti de; crhvmata me;n toi'" ajpolauvein
ejpistamevnoi", kthvmata de; toi'" kta'sqai dunamevnoi""(28), cerca di rendere la ricchezza utile oltre
che acquisita, sono utili le cose per chi sa fruirne, sono possessi per chi può
acquistarle.
[5] Fabio
Roscalla, La Letteratura Economica in Lo Spazio Letterario
Della Grecia Antica , Volume I, Tomo I, pp. 486 - 487.
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