Leggo su “la
Repubblica” di oggi, 25 maggio 2020, che Matteo Ricci ha pubblicato un
libro: Vincere l’Odio. Prima e dopo il Coronavirus (edito
da All around). Liliana Segre ne ha scritto la prefazione. Il testo ha una
forma di dialogo “con la filosofa Lucrezia Ercoli”. Forse il dialogo è di
stampo platonico dato che c’è di mezzo una cosiddetta filosofa.
Io voto a
Pesaro ma non ho mai votato per Ricci, tanto per chiarire che questo mio pezzo
non è pubblicitario.
Non ho
letto il libro e non posso dirne male né bene. Voglio commentare però un paio
di frasi presenti nell’intervista che il sindaco ha rilasciato a Giovanna
Casadio del quotidiano menzionato sopra.
Ha detto
dunque il primo cittadino di Pesaro: “Ci siamo scoperti vulnerabili e questo ha
contribuito a smontare la propaganda dell’odio. Però ora abbiamo davanti una
parola d’ordine: velocità”.
La
velocità non è sempre una buona cosa. La ragione di fondo per cui Ricci non mi
piace è che le motociclette che passano sotto casa mia nel Viale della Vittoria
non trovano nessun ostacolo a nessuna ora del giorno e della notte nel saettare
anche ai 100 all’ora rombando con fragore assordante. Tutto il viale ne viene
disturbato, svegliato, talora perfino spaventato.
"le
madri/balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono/nude le braccia su l'amato
capo/del lor caro lattante" (Foscolo, Dei sepolcri, 109 - 112)
Questo
succede da anni, senza alcuna limitazione. Non credo che sfrecciare in quella
maniera di giorno e di notte mettendo a repentaglio perfino la stessa vita di
chi abita in quella strada centrale, o la frequenta, sia un segno di amore. Quando
ceno con gli amici nel giardino che pure risponde alla parte del mare, durante
le volate delle motociclette che a gara insieme per il libero viale fanno mille
giri pur disturbando il mio tempo migliore, non sento quello che dicono i
commensali. Il frastuono infernale si ode quindi fino alla marina duecento
metri verso nord, e quinci alla piazza principale duecento metri a sud.
L'aria del
centro della cittadina rimane infusa di un veleno d'inferno.
Sentiamo
alcune altre parole del sindaco. “Accanto a Segre poi, abbiamo condotto una
battaglia culturale contro le vergognose parole dell’odio di cui lei pure è
stata vittima, l’antisemitismo, il riemergere di neofascismi, il razzismo”.
Questa battaglia è santa ma per essere efficace, per combattere l’odio e
sconfiggerlo, bisogna eliminarne la matrice: l’ignoranza che genera questi
mali.
A Ricci
dunque suggerisco di leggere oltre a scrivere, se vuole ficcare lo sguardo
davvero a fondo, fino alla radice del male
Concludo
dunque con alcune dichiarazioni di amore umanistico tratte dai classici. Sono
piuttosto note ma non sono sicuro che il nostro autore le conosca tutte.
l' Antigone di
Sofocle dichiara il suo amore per l'umanità dicendo a Creonte: " ou[toi
sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), io non sono nata per condividere
l’odio ma l’amore.
Un’espressione
di umanesimo ancora più efficace e sintetica è quella che il vecchio
Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r
w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza
della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere
di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura ridotta a
un rudere come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e ascoltandolo: "kaiv s j
oijktivsa" - qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew"
ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio
domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei
fermato qui. Poi significa comprendere e aiutare con simpatia poiché siamo
tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice
il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato xevno" esule come te" (vv.562 - 563)."Dunque
so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv.
567 - 568).
E' una
dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età
ellenistica
e partorirà l'humanitas latina.
Una simile
dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad
ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: "Homo sum:
humani nil a me alienum puto "[1].
Enea
viene salvato dalla compassione, quella di Didone che pure non è in alcun modo
ricompensata dall’esule troiano.
La regina
che ha fondato Cartagine prima di decadere a donna abbandonata esprime
questo tw/' pavqei mavqo": "non ignara mali miseris succurrere disco", Eneide,
I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Cicerone nel
III libro del De Officiis dice che l'umanità è un unico corpo del
quale i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni
uomo è parte di noi stessi: "Etenim multo magis est secundum naturam
excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam
voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem contemnere et pro nihilo ducere
comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere autem
de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam dolor,
quam cetera generis eiusdem "(III, 24). Infatti è molto più secondo
natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e parimenti la cortesia, la
giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita stessa e le ricchezze;
quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla paragonandola con l'utilità
comune è proprio di un animo grande ed elevato. Sottrarre invece a un altro per
il tornaconto proprio, è più contro natura che la morte, il dolore e altre cose
del medesimo genere.
E più avanti
(III, 25):" ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini
nocere non posse ", da ciò deriva che l'uomo il quale obbedisce alla
natura non può nuocere all'uomo.
Una
splendida idea dell'humanitas del circolo scipionico che è stata e sarà
ripresa nei secoli dei secoli : in Devotions upon Emergent
Occasion di John Donne (1572
- 1631), per esempio, leggiamo:" Nessun
uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte
del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne
fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi
diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a
chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[2] );
suona per te.
"La
comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter,
un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso
con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione
è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di
inclusione"[3].
Infine un
uomo di potere il cui esempio può giovare al Matteo pesarese.
Marco Aurelio, imperatore
(161 - 180 d. C.) e filosofo, scrive (A se stesso , II, 1): noi
siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le
palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è
cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Marco
Aurelio quindi dice a se stesso: “ bada a non cesarizzarti: “ o{ra mh;
ajpokaisarwqh'/" "
( A se stesso, VI, 30)
Insomma: ama il prossimo tuo perché è te stesso.
Saluti
giovanni
ghiselli
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