lunedì 25 maggio 2020

Il sindaco di Pesaro ha scritto un libro


Leggo su “la Repubblica” di oggi, 25 maggio 2020, che Matteo Ricci ha pubblicato un libro: Vincere l’Odio. Prima e dopo il Coronavirus (edito da All around). Liliana Segre ne ha scritto la prefazione. Il testo ha una forma di dialogo “con la filosofa Lucrezia Ercoli”. Forse il dialogo è di stampo platonico dato che c’è di mezzo una cosiddetta filosofa.
Io voto a Pesaro ma non ho mai votato per Ricci, tanto per chiarire che questo mio pezzo non è pubblicitario.
 Non ho letto il libro e non posso dirne male né bene. Voglio commentare però un paio di frasi presenti nell’intervista che il sindaco ha rilasciato a Giovanna Casadio del quotidiano menzionato sopra.
Ha detto dunque il primo cittadino di Pesaro: “Ci siamo scoperti vulnerabili e questo ha contribuito a smontare la propaganda dell’odio. Però ora abbiamo davanti una parola d’ordine: velocità”.
 La velocità non è sempre una buona cosa. La ragione di fondo per cui Ricci non mi piace è che le motociclette che passano sotto casa mia nel Viale della Vittoria non trovano nessun ostacolo a nessuna ora del giorno e della notte nel saettare anche ai 100 all’ora rombando con fragore assordante. Tutto il viale ne viene disturbato, svegliato, talora perfino spaventato.
"le madri/balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono/nude le braccia su l'amato capo/del lor caro lattante" (Foscolo, Dei sepolcri, 109 - 112)
 Questo succede da anni, senza alcuna limitazione. Non credo che sfrecciare in quella maniera di giorno e di notte mettendo a repentaglio perfino la stessa vita di chi abita in quella strada centrale, o la frequenta, sia un segno di amore. Quando ceno con gli amici nel giardino che pure risponde alla parte del mare, durante le volate delle motociclette che a gara insieme per il libero viale fanno mille giri pur disturbando il mio tempo migliore, non sento quello che dicono i commensali. Il frastuono infernale si ode quindi fino alla marina duecento metri verso nord, e quinci alla piazza principale duecento metri a sud. 
L'aria del centro della cittadina rimane infusa di un veleno d'inferno.

Sentiamo alcune altre parole del sindaco. “Accanto a Segre poi, abbiamo condotto una battaglia culturale contro le vergognose parole dell’odio di cui lei pure è stata vittima, l’antisemitismo, il riemergere di neofascismi, il razzismo”. Questa battaglia è santa ma per essere efficace, per combattere l’odio e sconfiggerlo, bisogna eliminarne la matrice: l’ignoranza che genera questi mali.
A Ricci dunque suggerisco di leggere oltre a scrivere, se vuole ficcare lo sguardo davvero a fondo, fino alla radice del male
Concludo dunque con alcune dichiarazioni di amore umanistico tratte dai classici. Sono piuttosto note ma non sono sicuro che il nostro autore le conosca tutte.
l' Antigone di Sofocle dichiara il suo amore per l'umanità dicendo a Creonte: " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), io non sono nata per condividere l’odio ma l’amore.
Un’espressione di umanesimo ancora più efficace e sintetica è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura ridotta a un rudere come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e ascoltandolo: "kaiv s j oijktivsa" - qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa comprendere e aiutare con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato xevno" esule come te" (vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567 - 568).
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età
ellenistica e partorirà l'humanitas latina.
Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: "Homo sum: humani nil a me alienum puto "[1].
 Enea viene salvato dalla compassione, quella di Didone che pure non è in alcun modo ricompensata dall’esule troiano.
La regina che ha fondato Cartagine prima di decadere a donna abbandonata esprime questo tw/' pavqei mavqo": "non ignara mali miseris succurrere disco", Eneide, I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Cicerone nel III libro del De Officiis dice che l'umanità è un unico corpo del quale i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni uomo è parte di noi stessi: "Etenim multo magis est secundum naturam excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem contemnere et pro nihilo ducere comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere autem de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam dolor, quam cetera generis eiusdem "(III, 24). Infatti è molto più secondo natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e parimenti la cortesia, la giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita stessa e le ricchezze; quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla paragonandola con l'utilità comune è proprio di un animo grande ed elevato. Sottrarre invece a un altro per il tornaconto proprio, è più contro natura che la morte, il dolore e altre cose del medesimo genere.
E più avanti (III, 25):" ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini nocere non posse ", da ciò deriva che l'uomo il quale obbedisce alla natura non può nuocere all'uomo.
Una splendida idea dell'humanitas del circolo scipionico che è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli : in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572 - 1631), per esempio, leggiamo:" Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[2] ); suona per te.
"La comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[3].

Infine un uomo di potere il cui esempio può giovare al Matteo pesarese.
Marco Aurelio, imperatore (161 - 180 d. C.) e filosofo, scrive (A se stesso , II, 1): noi siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Marco Aurelio quindi dice a se stesso: “ bada a non cesarizzarti: “ o{ra mh; ajpokaisarwqh'/" " ( A se stesso, VI, 30)

Insomma: ama il prossimo tuo perché è te stesso.

Saluti
giovanni ghiselli




[1]Heautontimorumenos ,77.
[2] E', notoriamente, il titolo di un romanzo di Hemingway, 1940
[3] E. Morin, La testa ben fatta, p. 132.

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