giovedì 7 maggio 2020

Il conto dei morti nella peste di Tebe e nella nostra

Arnold Böcklin, Die Pest

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I titoli del tg3 delle 12 che ascolto dopo lo studio e prima della bicicletta non danno più il conto dei morti.
Sofocle nell’Edipo re descrive il loimov" di Tebe, una peste odiosissima originata da un mivasma, una contaminazione che contagia la polis per il nesso che lega la città al suo re che è il miavstwr, il contaminatore, appunto, della popolazione. Ma leggiamo alcuni versi della parodo di questa tragedia dove l’autore cerca la causa del flagello.
"Ahimé, innumerevoli - ajnavriqma - infatti sopporto/le pene e mi sta male tutto/lo stuolo, e non c'è arma della mente - frontivdo" e[gco"/con cui uno si difenderà; infatti non crescono i frutti/ della terra famosa, né con i figli/si alzano le donne/dai travagli che fanno gridare/ma uno sull'altro/potresti vederli, come uccelli dalle larghe ali/con più foga del fuoco che infuria, levarsi/verso la sponda del dio della sera./ E la città muore, senza tenere più conto di questi - w|n povli" ajnavriqmo" o[llutai /e progenie prive di compianto giacciono/ a terra portatrici di morte senza compassione;/e intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose./ E il peana lampeggia/ e la voce lamentosa del flauto concorde,/per cui, o aurea figlia di Zeus,/ manda un aiuto dal bel volto/E Ares, lo smodato, che/ ora senza bronzo di scudi/mi brucia tra le grida aggredendo/ prego che volga la schiena in una corsa retrograda, precipitosa/lontano dal confine della patria,sia verso il grande/talamo di Anfitrite/sia verso il tracio flutto/inospitale agli ormeggi/Infatti alla fine se qualche cosa la notte lascia fuggire,/ su questa si avventa il giorno:/ costui o tu che distribuisci/la potenza dei lampi infuocati/Zeus padre, annientalo sotto il tuo fulmine (vv.168 - 202).
Sofocle è poeta religioso e attribuisce questo canto al coro di vecchi Tebani che commentano la vicenda dando voce al poeta.
Ora io trovo delle analogie tra la peste di Tebe e quella portata dal virus che ancora infuria in Lombardia e in Piemonte.
La contaminazione che ha recato questo flagello a parer mio è l’empia teologia e teocrazia del dio mercato, l’andare e venire incontrollato delle merci che devono essere vendute e comprate incrementando il PIL, il profitto di pochi, la povertà di molti e la miseria tanto culturale quanto morale di tutti, quasi tutti.
Anche da noi i morti non si contanto più, e quelli sepolti, già privi compianto, vengono dimenticati senza pietà.
Ares che impersona la guerra nel nostro caso è quella commerciale che avviene tra Stati, tra lobbies, tra logge più o meno delinquenziali e ha dato un’impronta di competitività spesso malevola ai rapporti umani annichilendo simpatia e compassione. I duci di questa guerra sono i contaminatori del mondo.

Nel secondo stasimo della stessa tragedia Sofocle attraverso i vecchi del coro chiede che le sue parole vengano ascoltate e il nichilismo annientatore di tutti i valori religiosi e morali sia sconfessato
:"Se infatti tali azioni sono onorate,/ perché devo eseguire la danza sacra?/ Non mi recherò più all'intangibile/ombelico della terra a pregare/né al tempio di Abae/né a Olimpia/se queste parole indicate a dito/non andranno bene a tutti i mortali./Ma, o potente, se davvero è retta la tua fama,/Zeus signore del tutto, non sfugga questo a te/e al tuo potere sempre immortale./Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei". (Edipo re, vv. 895 - 910).
Gennaro Perrotta ebbe a scrivere con semplicità e chiarezza: “Qui non parla più il Coro, ma il poeta che si lamenta dell'empietà del suo popolo"(Sofocle, p.239).

Da più di quaranta anni nel mese di luglio vado a Olimpia e Delfi, in bicicletta, a pregare. Quest’anno temo di non poter sciogliere il voto antico. Ma pregherò sui passi tra le montagne alpine o appenniniche.
Ogni luogo conquistato con forza di volontà, gioia, devozione, è sacro, è l’ombelico del mondo. Riaprire le chiese e rinchiudervi la gente è la religio di Lucrezio, cioè superstizione, l’opposto della pietà religiosa di Sofocle che depreca il non tenere in nessun conto la vita umana quale fonte di peste odiosissima.

giovanni ghiselli

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