“Se ora faccio un paragone fra me e quelli che finora sono stati onorati come i primi fra gli uomini , la differenza è tangibile. Questi presunti “primi” io non li annovero neppure fra gli uominii genere- per me essi sono i rifiuti dell’umanità, sinistre creature della malattia e degli istinti di vendetta: sono tutti mostri funesti e fondamentalmente inguaribili, che si vendicano della vita…Io voglio essere il loro opposto: è mio privilegio avere una finezza estrema per tutti i segni degli istinti sani. Manca in me qualsiasi tratto morboso. Il pathos dell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; in genere chi ha bisogno di atteggiamenti è falso”
Replico a questo scrivendo che gli atteggiamenti possono essere interiorizzati talmente bene da diventare atti, o per lo meno di apparire come tali. Credo addirittura che le persone intelligenti si rendano presto conto che la vita di noi tutti mortali è una farsa nella quale dobbiamo recitare una parte.
Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato bene questo scherzo applaudite.
Tale idea che la vita umana è "una parte" da recitare è contenuta nel vocabolo greco che indica il destino: movro" infatti è il mevro" , la parte che tocca ad ogni uomo. Queste due parole, come moi'ra (sorte) derivano dalla radice mer-/mor-/mar-. Imparentato con questi termini è il verbo latino mereo , guadagno, merito, poiché ciascuno recitando la sua parte vorrebbe meritare gli applausi.
Torniamo a Nietzsche. “Non conosco altra maniera di trattare i grandi compiti che non sia il gioco: fra i segni della grandezza, questo è un presupposto essenziale”.
Il gioco dunque: non per niente Augusto ha tradotto mimum con paivgnion, “gioco” e “giocattolo”, sostantivo neutro che ha la stessa radice del verbo paivzw, “gioco”. Il gioco può essere una cosa seria, comica o tragica, divertente o dolorosa.
nel Macbeth la tragedia dell'assassinio del re diviene parte del grande gioco tragico del potere:"There's nothing serious in mortality, All is but toys", (II, 3), non c'è più niente di serio nella vita mortale, tutto è un giocattolo.
Nella tragedia subito precedente, Re Lear [1], Gloucester cui sono stati strappati gli occhi come vile gelatina (III, 7) attribuisce con sarcasmo tale atteggiamento ludico agli dèi monelli:"As flies to wanton boys, are we to the gods, They kill us for their sport " , come mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro passatempo.
Di nuovo Nietzsche: “Una minima costrizione, l’aspetto cupo, una certa durezza nella voce, sono tutti argomenti contro un uomo, e tanto più contro la sua opera! C’è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e solamente sofferto per la “moltitudine” (…) La mia formula per la grandezza dell’uomo è amor fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé per tutta l’eternità. Non solo sopportare, e tanto meno dissimulare il necessario-tutto l’idealismo è una continua menzogna di fronte al necessario- ma amarlo”.
Chi mi legge sa che in un passato assai remoto sono stato molto scontento di me stesso: ho sofferto assai per determinati accidenti. Allora non avevo una visione panoramica degli eventi della mia vita né una prospettiva lunga come la Nevski di Leningrado, oggi San Pietroburgo che lascia vedere l’Ermitage per chilometri. Ora ce l’ho e vedo i tesori di amori, affetti, cultura, bellezza riposti dentro di me. E riabilito anche i dolori sofferti perché ho voluto attraversarli fino in fondo per capirli, superarli e ho saputo utilizzarli per meritare gli applausi che allietano la mia colorata senectus
Bologna 6 febbraio 2023 ore 17, 46
p. s.
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