Le leggi colpiscono solo i deboli
Nietzsche: “Le leggi contro i ladri e gli assassini sono fatte a favore delle persone colte e ricche”[1].
Anacarsi, racconta Plutarco, derideva l'opera di Solone che pensava di frenare l'ingiustizia e l'avidità dei cittadini con parole scritte le quali non differiscono per niente dalle ragnatele ("a} mhde;n tw'n ajracnivwn diafevrein", Vita di Solone, 5, 4), ma, come quelle, tratterranno le deboli e le piccole tra le prede irretite, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi.
Il legislatore ateniese rispose che adattava il suo codice ai cittadini, in modo da mostrare a tutti che agire con giustizia è meglio che trasgredire le leggi. Ma, commenta Plutarco, le cose andarono a finire come supponeva Anacarsi il quale dopo avere assistito all'assemblea fece un'altra riflessione intelligente:"o{ti levgousi me;n oiJ sofoi; par j {Ellhsi, krivnousi d j oiJ ajmaqei'""(5, 6), che presso i Greci parlano i sapienti ma decidono gli ignoranti.
E, obietto a Nietzsche, non è facile che gli ignoranti abbiano riguardo per le “persone colte”
Tensione intellettuale ed eroismo dei Greci
“Il sentimento di resistere da soli come esseri superiori in mezzo a nemici di gran lunga più numerosi li costrinse a una continua ed estrema tensione intellettuale”[2].
I Greci, in numero inferiore, sconfissero i Persiani (cfr. il Temistocle di Erodoto)
Erodoto , come Foscolo, si sentiva chiamato dalle Muse "ad evocar gli eroi"[3], e dopo la battaglia di Salamina fa dire a Temistocle:"tavde ga;r oujk hJmei'" katergasavmeqa, ajlla; qeoiv te kai; h{rwe""[4], questa impresa infatti non l'abbiamo compiuta noi, ma gli dei e gli eroi.
Lo stile del ridere.
Nietzsche: “Come e quando una donna rida, ciò è segno della sua educazione: ma nel timbro del riso si rivela la sua natura…Perciò lo studioso degli uomini dirà come Orazio, ma per diverso motivo, ridete puellae”[5].
Ovidio. Chi lo crederebbe? Le ragazze imparano anche il modo di ridere, cercando pure con questo aspetto di accrescere la loro avvenenza:"Quis credat? Discunt etiam ridere puellae, /quaeritur atque illis hac quoque parte decor " ( Ars III, vv. 281-282).
Ovidio dà delle indicazioni che si riassumono nel v. 286:"sed leve nescioquid femineumque sonet ", comunque (il ridere) esprima un non so che di delicato e femminile. Quelle che si lasciano andare alla sghignazzata rischiano la sguaiataggine :"ut rudit a scabrā turpis asella molā " (Ars, III, v. 290), come la brutta asinella raglia dalla ruvida macina. Questo verso realmente ruvido rende fonicamente il riso sgraziato della ragazza asina.
Marziale commenta questa parte dell'Ars notando che il poeta di Sulmona ( precisamente Paelignus ) aveva consigliato di ridere:"ride si sapis, o puella, ride "(II, 41), ridi ragazza, se hai giudizio, ridi, ma non a tutte le ragazze:"sed non dixerat omnibus puellis " Infatti una tal Massimina che ha tre denti deve mettersi addosso espressioni tristi, frequentare donne in lutto e distrarsi solo con le Muse tragiche. Dunque:"plora, si sapis, o puella, plora ", piangi ragazza se hai giudizio, piangi.
Alcuni atti si confanno a certumi, atti del tutto diversi ad altri. Dobbiamo sempre chiederci cosa è che ci riesce bene e fare quello. Quanto ci riesce male ci rende anche brutti e non dobbiamo farlo anche se altri lo fanno.
I tiranni
Nietzsche: “quando decadono i costumi emergono innanzitutto quelle persone che sono dette tiranni… Quando la decadenza è pervenuta al suo apogeo e così pure la battaglia di tiranni d’ogni genere, allora viene sempre il Cesare, il tiranno risolutivo, che mette fine alla stanchezza della lotta per l’egemonia, sfruttando ai suoi fini quell’esaurimento di forze”[6].
Sofocle nell’Edipo re scrive che l’u{bri~ è la madre del tiranno. Tutta l'opera di Sofocle indica l' u{bri", la prepotenza, come madre e nutrice della tirannide[7] cui si associa ogni dismisura.
Non tutti si lasciano spaventare dalla prepotenza: c’è chi non abbassa la testa e reagisce.
Nel De ira (I, 19, 7) Seneca traduce rielaborandola una sentenza delle Leggi di Platone: “nemo prudens punit quia peccatum est, sed ne peccetur”, nessuna persona avveduta punisce perché si è sbagliato, ma affinché non si sbagli.
Un'anima grande è in grado di disprezzare le offese e le minacce: “Magni animi est iniurias despicere; ultionis contumeliosissimum genus est non esse visum dignum ex quo peteretur ultio…ille magnus et nobilis qui more magnae ferae latratus minutorum canum securus exaudit” ( De ira, II, 32), è proprio di un animo grande disprezzare le offese; il tipo di vendetta più oltraggioso è non essere apparso degno nemmeno di ritorsione… grande e nobile è quello che, come fa una grande fiera, presta ascolto tranquillo ai latrati dei cagnolini.
La morte da commedia di Augusto e di Nerone, e quella tragica di Tiberio. Zelenkj: dalla commedia alla tragedia.
Nietzsche: “Si rammenterà che l’imperatore Augusto, quell’uomo tremendo che sapeva ugualmente esercitare il dominio di sé come serbare il silenzio al pari di un qualunque saggio Socrate, commise un’indiscrezione verso se stesso con le sue ultime parole: per la prima volta si lasciò cadere la maschera, quando fece intendere che aveva portato una maschera e aveva recitato sul trono la parte di padre della patria e quella della saggezza, così bene da darne l’illusione! Plaudite amici, comoedia finita est!
Il pensiero di Nerone morente: qualis artifex pereo! Era anche il pensiero del morente Augusto. Vanità d’istrioni! Loquacità d’istrioni! E proprio l’antitesi di Socrate morente! Ma Tiberio, questo tormentatissimo fra tutti i tormentatori di se stessi, morì senza una parola-egli era autentico e non un commediante!...Quando, dopo una lunga agonia, parve che li ritornassero le forze, si ritenne opportuno soffocarlo coi cuscini-ebbe doppia morte”[8].
Zelenskj è passato dal ruolo dell’istrione a quello del presidente che vuole apparire eroico. Dalla commedia alla tragedia.
Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite. La “corta buffa”[9] era giunta al termine.
L’inganno dell’amore e i rimedi
Nietzsche: “Se amiamo una donna, finiamo facilmente per odiare la natura al pensiero di tutte le ripugnanti circostanze naturali cui ogni donna è sottoposta: in generale preferiamo sorvolare su questo pensiero (…) “L’uomo sottocutaneo” è per tutti gli amanti una cosa esecrabile e inconcepibile, una bestemmia contro Dio e l’amore”[10].
Si tende dunque a idealizzare la figura dell’amata: "Nigra melǐchrus est, immunda et foetida acosmos " (Lucrezio, De rerum natura, IV, v. 1160), la nera ha l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.
Questo travisamento ricorda l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio[11] di Teocrito:"Suvran kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del miele
compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo di Moliere che aveva tradotto il De rerum natura prima del 1660 :"La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"[12].
Viceversa uno dei Rimedi dell’amore, un modo per liberarsi di un amore che ci fa soffrire è pensare ai difetti della donna e accentuarli, come suggerisce Ovidio.
Nei Remedia Amoris il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.
"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./"Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae" (nec tamen, ut vere confiteamur, erant); "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae" (et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat), "quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in gracili "macies" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est " (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è scura "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa
Bologna 24 febbraio 2023 ore 17, 42 giovanni ghiselli
p. s.
Sempre1326918
[1] Nietzsche, Frammenti postumi, 1876, 14
[2] Nietzsche, Frammenti postumi, settembre 1876. (46)
[3]Dei Sepolcri , v.228. Del resto nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis Foscolo, attraverso un discorso attribuito al vecchio Parini dà un'interpretazione pessimistica e riduttiva dell'eroe:"Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma-credimi-la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro quarto a' loro delitti"(Milano, 4 dicembre).
[4]Erodoto, storie, VIII, 109, 3.
[5] Umano, troppo umano II, Opinioni e sentenze diverse, 276.
Orazio invero menziona il “gratus puellae risus ab angulo” (Carmina, I, 9, 22) il gradito riso che rivela al giovane la fanciulla nascosta in un angolo.
[6] La gaia scienza (del 1882), Libro primo, 23
[7] u{bri" futeuvei tuvrannon, (Edipo re , v. 873), la prepotenza fa crescere il tiranno.
[8] La Gaia scienza, I, 36
[9] Dante, Inferno, VII, 61.
[10] La gaia scienza, II, 59
[11] Quello dei mietitori-Qeristaiv-
[12] Molière, Il misantropo , II, 4.
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