NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 25 febbraio 2023

Osare quinta parte.


   Non ogni forma di audacia è buona.

Nella stessa monografia di Sallustio citata sopra, Catone, parlando , in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (Bellum Catilinae 52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.

 

 

Questa audacia attribuita a Catilina e ai suoi seguaci è una forma di estremismo. Nella prima Catilinaria Cicerone attacca il nemico attribuendogli piani e intenti eversivi:"quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? " (I, 1, 1), fino a quale estremo si lancerà l'estremismo scatenato?   

 

 

 

nella Storia di Tucidide si legge che Pericle alla fine del suo primo discorso   ricorda la gloria delle guerre persiane, vinte dai loro padri con l'intelligenza più che con la fortuna ("gnwvmh/ te plevoni h] tuvch/ ", I, 144, 4) e con l'ardimento più che con la potenza ("tovlmh/ meivzoni h] dunavmei").

 In questa affermazione notiamo il prevalere dell'ardimento dove appare quell'irrazionale che nessun "loico" potrà mai espellere del tutto dalle vicende umane.

 

Per osare di mettere a repentaglio la vita è spesso necessaria la fiducia nell’aiuto degli dèi.

Il X libro di Polibio comprende vari avvenimenti degli anni 210-208. Interessanti sono i capitoli sul carattere di Scipione, il futuro Africano, che fu inviato in Spagna, ventiquattrenne con imperium  proconsolare. Questo comandante viene assimilato al legislatore spartano Licurgo poiché entrambi autorizzarono i propri atti con l'ispirazione divina. Ma tutti e due lo fecero nella convinzione che la maggior parte degli uomini non accetta facilmente le situazioni straordinarie né osa esporsi pericoli senza la fiducia nell'aiuto degli dèi ("oJrw'nte" eJkavteroi tou;" pollou;" tw'n ajnqrwvpwn ou[te ta; paravdoxa prosdecomevnou" rJa/divw" ou[te toi'" deinoi'" tolmw'nta" parabavllesqai cwri;" th'" ejk tw'n qew'n ejlpivdo"", X, 2, 10.

Scipione voleva rendere i soldati più coraggiosi facendo credere che i suoi piani fruissero di un'ispirazione divina, ma  dal racconto seguente, avverte Polibio, risulterà chiaro che faceva tutto con calcolo e preveggenza (" e{kasta meta; logismou' kai; pronoiva" e[pratte",  X 2, 13.

 

 

L’audacia  di Alessandro Magno.

Elogio leopardiano dell’eroismo difettoso.

 

 Plutarco racconta che Alessandro sosteneva che la tuvch avversa poteva essere superata con l’audacia, tovlmh/, e la forza con la virtù: nulla infatti riteneva imprendibile per chi ha coraggio né sicuro per chi non osa ( oujde;n w[/eto toi'~ qarrou'sin  ajnavlwton oujd  ojcuro;n toi'~ ajtovlmoi~, Vita,  58, 2).

 

Nell’osare c’è sempre qualche cosa di inattuale.

Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno dell’ impotenza, può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare  per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[1]. 

 

 Medea che osa ammazzare i propri figli- è una madre criminale, e  Alessandro perpetrò massacri orrendi[2], eppure in entrambi c’è qualche cosa di eroico. L’eroismo dunque non coincide con la perfezione e talora nemmeno con la grandezza, bensì con l’audacia e con il non cedere mai.

Lo segnala Leopardi :"Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo...e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec."( Zibaldone, 2).

 "L'eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i loro poemi"  (Zibaldone, p.471) .

“La perfezione, infatti, non consiste in un accumularsi unilaterale di vantaggi, mentre, se ci fossero solo svantaggi, la vita diventerebbe impossibile. Essa consiste piuttosto nel reciproco elidersi fino ad annullarsi di vantaggi e svantaggi, e questo nulla si chiama contentezza”[3]. 

 

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Antigone non vuole vivere un futuro con Emone.

 I versi  più citati per identificare la  scelta coraggiosa di Antigone sono quelli della tragedia di Sofocle ( Antigone 904-915) nei quali la ragazza si rivolge al fratello onorato da lei con la sepoltura nonostante i divieti del tiranno. Vediamoli insieme con altri attraverso i quali la sorella dichiara la rinuncia alla propria vita per amore dei suoi consanguinei morti.

 (vv. 891-921)

" O tomba, o talamo, o dimora/scavata nella terra che mi custodirà per sempre, dove vado/dai miei cari, un grandissimo numero dei quali/, Persefone ha preso tra i morti/  tra loro ultima io e di gran lunga nel più cattivo dei modi/discendo, prima che sia giunta al termine la mia porzione di vita/ Però, arrivata tra voi, nutro con forza tra le mie speranze/quella che giungerò cara al padre e gradita a te,/madre, e cara a te, capo fraterno/ Poiché di mia mano io vi lavai/quando siete caduti e vi composi e vi offrii/le libagioni funebri; e ora, Polinice, per avere/coperto il tuo corpo, ricevo tali ricompense/ Eppure io ti ho reso onore giustamente secondo chi ha senno./Mai infatti se avessi avuto natura di madre di figli/né se fosse andato in putrefazione il mio sposo morto,/mi sarei caricata di questa penosa fatica contro la volontà dei cittadini/ In forza di quale principio dico questo?/ Lo sposo, morto uno, ce ne sarebbe stato un altro per me,/e un figlio, da un altro uomo, se avessi perduto questo,/ma siccome il padre e la madre sono racchiusi nell'Ade,/non c'è fratello che possa sbocciare mai più/.Secondo tale norma certo, io ho onorato sopra tutti te,/e a Creonte sembrai errare in questo/e osare spaventosi delitti kai; deina; tolma`n, o capo fraterno./ Ed ora mi trascina dopo avermi afferrata con le mani/priva di talamo, di imeneo, senza che abbia ricevuto/destino di nozze di qualsiasi sorta, né di allattamento di figli,/ma così deserta di amici io la sventurata/scendo viva nelle fosse dei morti/Per avere trasgredito quale legge degli dei? " .

Attuale è ancora il potere di Creonte e Antigone ha usato l’inattuale.

 

Ora sentiamo Medea

Kaivtoi tiv pavscw; bouvlomai gevlwt j ojflei'n-ejcqrou;" meqei'sa ajzhmivou";-tolmhtevon tavd&" (vv. 1049-1051), ma che cosa mi succede? voglio dare motivo di scherno ai miei nemici lasciandoli impuniti? Bisogna osare questo.-tolmhtevon: aggettivo verbale di tolmavw, oso, ho l'ardire (tovlma). Medea proclama la necessità dell'audacia più folle e criminale.

 

 

Il fr.2 D.  di Saffo è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo Sul sublime del I secolo d. C. E' forse la poesia più nota di Saffo  poiché è stata tradotta in latino da Catullo nel carme 51.

Cominciamo con il darne una traduzione italiana :

" Quello mi sembra pari agli dei/essere l'uomo che davanti a te/ sta seduto e da vicino ti ascolta/dolcemente parlare/e sorridere amabilmente, cosa che a me certo/sconvolge il cuore nel petto:/ appena infatti ti guardo per un momento, allora non/è possibile più che io dica niente/ma la lingua mi rimane spezzata,/un fuoco sottile subito corre sotto la pelle,/e con gli occhi non vedo nulla e mi/rombano le orecchie/e un sudore freddo mi cola addosso, e un tremore/mi prende tutta, e sono più verde/dell'erba, poco lontana dall'essere morta/appaio a me stessa/ma bisogna sopportare tutto poiché...". Se traduciamo pa;n tovlmaton (= attico tolmhtovn) " tutto si può osare" possiamo trovare in queste ultime parole del frammento saffico un'anticipazione del  tolmhtevon tavd j della Medea di Euripide (v.1051).

Carlo Del Grande il mio docente di greco all’università diceva che la traduzione osare “ha maggiori probabilità di colpire nel segno” (Formigx, Loffredo, Napoli, 1959, p. 117). Seguo dunque il suo suggerimento.

 

Nel Filottete di Sofocle, il protagonista eponimo della tragedia biasima Odisseo dicendo: “ajll j e[st j ejkeivnw/ pavnta lektav, panta de;-tolmhtav- 633-634, ma a quello è possibile dire tutto, osare tutto.

Marzullo succeduto a Del Grande osservava che la struttura ajlla; pa;n tovlmaton “ha dalla sua la tradizione, se non anche una imitazione sofoclea”

 

 

 

Il rischio di osare  la propria diversità.

 

Teognide ,Euripide, Sofocle, Tucidide, , Ovidio, Tacito, Pascoli, Nietzsche.

 

 

Osare l’inattuale, l’illecito, l’inaudito è talvolta reso necessario e attuale dalla passione, la parte emotiva -qumov~-  che prevale sui propositi razionali-bouleuvmata- come afferma la Medea di Euripide

 

 

“Perché dovrei  procurarmi io stessa  mali due volte tanto

per affliggere il padre con i mali di questi?

No certo, non io : addio propositi!- cairevtw bouleuvmata

ma che cosa mi succede? voglio espormi alla derisione

lasciando i miei nemici impuniti?

 Bisogna osare questo; che debolezza però la mia,  tolmhtevon tavd j

anche solo l’ammettere nell'anima parole tenere!

Entrate, figli, in casa. Quello cui non

è lecito assistere al mio sacrificio,

ci pensi lui : la mano io non me la taglierò (vv. 1046- 1055)

 

E capisco- kai; manqavnw- quale abominio sto per compiere,

ma più forte dei miei proponimenti è la passione

qumo;~ de; kreivsswn tw`n ejmw`n bouleumavtwn-

 che è causa dei mali più grandi per i mortali (vv. 1078-1080).

 

 

La consapevolezza  kai; manqavnw- dunque non basta a evitare la catastrofe.

 Anche la Medea di Ovidio alla fine della sua Epistula Iasoni  dichiara:"Quo feret ira sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII, 211), andrò dove mi porterà la collera. Forse mi pentirò del misfatto.

 Teognide stabiliva una graduatoria tra qumov" e novo" affermando che quello la cui mente non è più forte della passione (w'/tini mh; qumou' krevsswn novo") , si trova sempre nelle disgrazie e in gravi difficoltà (Silloge, vv. 631-632).

 

 

Messalina

 Messalina, l'imperatrice moglie di Claudio, oramai volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite  secondo Tacito :"iam facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "[4].

 

L'incognita ed estrema libido di Messalina fu quella di osare prendere come marito  l'amante  Silio, e non a Claudio morto. L'uomo la incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis subsidium ab audacia petendum ", negli scandali scoppiati bisogna chiedere soccorso all'audacia.

Questa moglie di Claudio è stata "consegnata ai posteri da Giovenale (6, 115-132) come prostituta di fatto (meretrix Augusta). Dalle fonti è ritratta, pressoché unanimemente, come massima esponente al femminile dei tria vitia tirannici (Questa 1995): avaritia, saevitia e libido, avidità di denaro, crudeltà, ed eccessi sessuali. Perde la vita quando si vota alla trasgressione suprema, cioè quando vuole sposarsi con C. Silio, descritto come il più bell'uomo della Roma del tempo, appartenente a un circolo aristocratico ostile all'imperatore, mentre è ancora la moglie di Claudio"[5]. 

 

Non sempre l'osare è inconciliabile con il calcolare.

Sentiamo Tucidide sul rapporto osare tolma`n-calcolare ejklogivzesqai-

 

Tucidide II, 40, 3.

Difatti ci distinguiamo diaferovntwς e[comen anche in questo: che siamo gli stessi a osare tolma`n e a fare calcoli ejklogivzesqai molto precisi sulle azioni che vogliamo intraprendere;  riguardo a questo argomento  l’ignoranza negli altri provoca temerarietà, il calcolo esitazione. Ma fortissimi d’animo a buon diritto si devono giudicare quelli che conoscono assai lucidamente gli aspetti terribili e quelli piacevoli, né per questo  si tirano indietro dai pericoli

 

L’affermazione della propria diversità è un osare che comporta spesso dei rischi. Molti non osano manifestare l’originalità di cui sono dotati.

 Pericle manifesta l’orgoglio dell’essere diversi.

 

Similmente Antigone cui Creonte domanda :"E tu non ti vergogni se la pensi in maniera diversa da questi?-tw`nde cwri;~ eij fronei`";- E la ragazza risponde: “No perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere”[6].

 

“Ma ecco, non bisogna essere come gli altri”. suggerisce Alioscia Karamazov allo studente Kolia. “Continuate, dunque, a essere diverso dagli altri;  anche se doveste rimanere solo, continuate lo stesso”[7].

Nel capitolo 5 Kolia aveva detto: “le lingue classiche come si insegnano da noi sono pura follia. (…) Le lingue classiche, se volete che vi dica tutta la mia opinione, non sono che una misura di polizia, ecco l’unica ragione del loro insegnamento. Esse sono state introdotte nell’insegnamento per rintuzzare e spegnere ogni potere dell’intelligenza”.

 

Concordo che l’insegnamento del greco e del latino non deve fermarsi ai tecnicismi delle lingue. Grammatica, sintassi e metrica sono necessarie ma non ci si deve fermare lì.  L’ho sempre detto e fatto contro la maggioranza dei colleghi per diversi anni.

Lo scrisse anche Giovanni Pascoli nel 1893

"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"[8].

Inoltre: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"[9].

Quando iniziai a sostenerlo osando dire che i testi e gli autori andavano commentati confrontandoli tra loro,  con la storia, con la storia dell'arte,  e con  la filosofia, mi furono mandati contro due ispettori in due anni. Però la moda della polizia mentale attraverso i tecnicismi fine a se stessi stava cambiando e gli inquisitori non solo mi assolsero  ma mi elogiarono e mi favorirono. In questo caso osare fu cosa buona per me.

 

 

"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero. Essa richiede una certa temerità e un certo azzardo (…) E' così provinciale obbligarsi a delle opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già cessano di obbligare. Oriente e Occidente sono tratti di gesso che qualcuno disegna davanti ai nostri occhi per beffarsi della nostra pavidità (  …) Al mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può fare: dove porta? Non domandare, seguila"[10].

 

Bologna 25 febbraio 2023 ore 17, 44 giovanni ghiselli

Sempre1327236

Oggi204

Ieri269

Questo mese8833

Il mese scorso11301

 

 

 

 

 



[1] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II, capitolo 6.

[2] Lucano scrive che Alessandro, venuto dalle spelonche della Macedonia, disprezzò Atene vinta dal padre, e si precipitò tra i popoli d'Asia humana cum strage (Pharsalia, X , 31)

 

[3] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, vol. III, p. 120

[4] Annales , XI, 26.

[5] Francesca Cenerini, La donna romana, il Mulino, Bologna, 2002, p. 84.

[6] Sofocle, Antigone, vv. 510-511).

[7] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov,  Parte quarta, libro X, capitolo 6 .  Cito spesso questo romanzo, quasi tante volte quante l’Odissea, o quasi. Mi conforta in questa scelta l’amico Piero Boitani: “Per il mio compleanno, sul finire di quell’anno 1’anno 1968…mi feci regalare da una coppia di amici l’Odissea greca nell’edizione oxoniense dell’Allen: la conservo ancora, naturalmente, con il loro biglietto di auguri per segnalibro. Da allora, e per almeno dieci anni, ho riletto il poema, nell’originale e in traduzione italiana o inglese, ogni anno: insieme ai Fratelli Karamazov, era il mio libro-e lo è rimasto” (P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 45).

[8]  A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000. Dalla didattica alla didassi, Pàtron, Bologna, 1999.

p. 49.

[9] G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.

[10] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III (1874), Schopenhauer come educatore,  1.

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