Quel che ci manca. “Amiamo la grande natura e l’abbiamo scoperta: questo deriva dal fatto che nella nostra testa sono assenti i grandi uomini. Inversamente i Greci: il loro senso della natura è altra cosa dal nostro”[1].
Il rapporto con la natura si estende nella letteratura con la fine della politica, del polivth~ che vive nella polis come suo interesse e sua determinazione essenziale, insomma con la fine della democrazia.
Sentono la natura con maggiore forza e amore i solitari dai rapporti umani rarefatti, come Leopardi a Recanati o Nietzsche a Sils Maria.
Socrate si sente forestiero rispetto alla natura perché impara dagli uomini. Nel prologo del Fedro si scusa per questo scarso interesse nei confronti della natura dicendo che il suo apprendere dipende soltanto dai contatti umani :"Suggivgnwskev moi, w\ a[riste. filomaqh;" gavr eijmi: ta; me;n ou\n cwriva kai; ta; devndra oujdevn m j ejqevlei didavskein"(230d), perdonami carissimo! Io infatti sono uno che ama imparare: la campagna e gli alberi non vogliono insegnarmi niente. Fedro gli ha detto che gli sembra di condurre un forestiero e[xw teivcou", fuori dalle mura non uno del luogo. Questa volta Socrate è uscito dalle mura poiché Fedro lo ha attirato tendendogli davanti un discorso scritto da Lisia, figlio di Cefalo, così come si fa con le bestie affamate davanti alle quali si scuote un ramoscello verde o un frutto.
Sono molto interessanti gli aspetti della natura quando siano collegabili alla vita e alla morte degli uomini, come abbiamo visto del grano.
La sofiva di Socrate è, a detta di Platone, specialmente ajnqrwpivnh sofiva, sapienza relativa all’uomo.
Tw'/ o{nti ga;r kinduneuvw tauvthn ei\nai sofov~ (Apologia, 20d) in questa infatti io sono probabilmente saggio davvero.
La poesia del resto, prima quella epica di Omero poi la lirica, e successivamente, ancor più, quella ellenistica, in particolare la teocritea, non manca di descrivere il mondo naturale: "Non v'è giorno...che il poeta[2] dimentichi d'osservare come il sole sorge e tramonta"[3].
Anche negli ultimi drammi, gli Uccelli (414) di Aristofane, le Baccanti di Euripide e l’Edipo a Colono di Socrate, si sente la voce della natura che si avvia a diventare il paradiso perduto dell’uomo disgustato dalla civilizzazione ed escluso dalla politica.
Callimaco apprezza la felicità della misera capanna di Ecale, e il suo Aconzio cerca la solitudine in mezzo ai boschi. Nelle città si cercava l'avvicinamento alla natura con mezzi artificiali: i Tolomei fecero piantare giardini e boschetti ad Alessandria; ad Antiochia i Seleucidi fecero costruire passeggiate con giochi d'acqua.
Quando il Filadelfo, tormentato dalla podagra, vide sulla riva del Nilo alcuni fellah che consumavano il loro misero pasto, si rammaricò: “Ahimé, non essere venuto al mondo nella condizione di uno di costoro!”[4].
“Natura” divenne la parola di moda, e alla gioia istintiva che il cittadino, ormai straniato dalla campagna, prova al contatto con gli alberi e le sorgenti, con i frutti maturi e il canto delle cicale, si associò una forma di rimpianto romantico per la vita dell’uomo allo stato di natura”[5].
Nel II d. C. Adriano farà riprodurre a Tivoli la valle di Tempe attraversata dal fiume Peneo, sotto l’Olimpo. Ad Alessandria fu costruita una collina artificiale e i templi si costruivano a contatto con la natura in boschi o su promontori marini; del resto i templi di Dodona, di Delfi, di capo Sunio erano già tali molto tempo prima. Anche i privati si fanno costruire case con giardini e fontane, e si fanno affrescare le pareti delle case con paesaggi
Teocrito vuole attuare un ritorno alla sfera vitale della natura[6] cui si sente avvinto in maniera indissolubile. Egli vuole conseguire il ritiro dal mondo per raggiungere la felicità epicurea.
La più matura delle sue poesie è le Talisie ( VII Idillio) con la gara poetica tra Lìcida e Simichìda. Ci sono riferimenti colti, per cui i canti sono apprezzabili solo da chi possiede una solida cultura letteraria. Rimane comunque il sentimento della natura con le cicale che, ebbre di sole, strillano nel denso fogliame a non finire. Dafni morente nel Tirsi (I) saluta la natura con tutti gli animali.
Bologna 24 febbraio 2023 ore 18.09 giovanni ghiselli
p. s.
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