Nietzsche nel 1864 (a vent'anni) scrisse una Dissertatio de Theognide Megarensi [1] simpatizzando con le teorie reazionarie del poeta. Lo colpì fortemente il biasimo espresso per l'ingratitudine dell'animo plebeo:"Teognide ritiene che non c'è niente di più vano e di più inutile che fare bene ad un plebeo, dal momento che non ringrazia mai"[2]. Teognide stigmatizza anche la falsità dei plebei i quali si ingannano a vicenda ( ajllhvlou~ d jajpatw'sin) , e si deridono a vicenda- ejp j ajllhvloisi gelw`nte~, siccome non hanno criterio del bene né del male- ou[te kakw`n gnwvma~ eijdovte~ ou[t j jagaqw`n ( Silloge , vv. 59-60).
Cicerone scrive: “nullum enim officium referendā gratiā magis necessarium est (…) non reddere viro bono non licet ” (De officiis, I, 47), nessun dovere è più dovuto della gratitudine…all’uomo per bene non è consentito non contraccambiare
Quindi Nietzsche:“Noi veritieri”-è questo l’appellativo che si davano i nobili dell’antica Grecia”[3].
Che cosa è aristocratico?
In Ecce homo[4] Nietzsche scrive di Al di là del bene e del male: “Questo libro (1886) è nel suo essenziale una critica della modernità, non escluse le scienze moderne, le arti moderne, e neppure la politica moderna, con accenni a un tipo opposto, che è il meno moderno possibile, un tipo nobile, che dice sì. In quest’ultimo senso il libro è una scuola del gentilhomme, se si intende il concetto nel senso più spirituale e radicale che mai gli sia stato dato”[5].
“ I “bennati” sentivano se stessi come “felici”…poi essi, uomini superdotati di forza e perciò stesso necessariamente attivi, riuscivano a non separare l’agire dalla felicità-l’essere attivi era per loro considerato come qualcosa di attinente necessariamente alla felicità (da cui eu\ pravttein)-tutto ciò in netto contrasto con la “felicità” a livello degli impotenti, degli oppressi, dei piagati da sentimenti ostili e velenosi (…) mentre l’uomo aristocratico vive se stesso con fiducia e chiarezza (…) l’uomo del ressentiment non è onesto né ingenuo né vero con se stesso. La sua anima è strabica, il suo spirito ama i nascondigli, le vie oblique, le scappatoie” ”[6].
eu\ pravttein significa “fare bene” e “stare bene”. Le due cose coincidono.
La morale degli schiavi è “un sospetto pessimistico nei confronti della condizione umana nella sua totalità (…) Lo schiavo guarda con occhio torvo le virtù dei potenti. È scettico e diffidente, è sottile nella sua diffidenza verso tutto ciò che di “buono” viene onorato tra i potenti (…) Quella degli schiavi è sostanzialmente una morale utilitaria”[7].
Cfr. la cultura pragmatica di Giasone e il suo sumfevron nella Medea di Euripide.
La morale degli schiavi è il socratismo, quindi “ la moralità cristiana che viene smascherata come qualche cosa di assolutamente velenoso, pieno di rancori, nemico della vita. Ma la sua critica alla morale, è, in parte, impersonale, ha caratteri comuni a tutta l’epoca. E’ l’epoca sul finire del secolo, l’epoca in cui l’intelligenza europea lancia i primi attacchi contro l’ipocrita morale dell’età vittoriana e borghese; in questo quadro si inserisce la rabbiosa lotta di Nietzsche contro la morale”[8].
T. Mann associa Nietzsche a O. Wilde: “l’esteta inglese scandalizzava e divertiva il pubblico della sua patria. Quando Wilde dichiara:… “Every impulse that we strive to strangle broods in the mind, and poisons us…The only way to get rid of a temptation is to yield to it [9]”…tutto questo si potrebbe trovare benissimo in Nietzsche”[10].
“Naturalmente l’avvicinare Nietzsche a Wilde ha qualche cosa di sacrilego, perché quest’ultimo era un dandy e il filosofo tedesco invece una specie di santo dell’immoralismo. E tuttavia il dandismo di Wilde acquista attraverso il martirio più o meno involontario della sua fine, il carcere di Reading, quasi un riflesso di santità che gli avrebbe guadagnato tutta la simpatia di Nietzsche”[11].
Cfr. Il De profundis e La ballata del carcere di Reading del 1898.
Per la guerra all’ipocrisia borghese, Nietzsche è accostabile anche a Huysmans, a Walter Pater, a Ruskin e ai Preraffaelliti. Ma cfr. anche La sesquiplebe satira di Alfieri e il borghese di Pasolini.
Sentiamo un anatema di Pasolini contro la cultura pragmatica che è poi quella borghese: “io per borghesia non intendo tanto una classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia molto contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo spiritosamente – è un vampiro, che non sta in pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale gusto di vederla diventar pallida, triste, brutta, devitalizzata, contorta, corrotta, inquieta, piena di senso di colpa, calcolatrice, aggressiva, terroristica, come lui”.[12]
Nietzsche fa una distinzione tra il lavoro libero e il lavoro degli schiavi. Questo “è un lavoro che non viene fatto per noi stessi e che non ha in sé alcun appagamento”[13], Un lavoro alienante che ci rende alienati.
Il risentimento degli emarginati trionfò su Roma. Secondo Nietzsche.
Sentiamo anche Carducci.
“Roma/più non trionfa.// più non trionfa, poi che un galileo/di rosse chiome il Campidoglio ascese,/gittolle in braccio una sua croce, e disse-Portala e servi-[14]”.
Un mio amico e collega sosteneva che Cristo era mezzo romano citando Celso: “ Di essere nato da una vergine, te lo sei inventato tu. Tu sei nato in un villaggio della Giudea da una donna del posto, una povera filatrice a giornata. Questa fu scacciata dal marito, di professione carpentiere, per comprovato adulterio. Ripudiata dal marito e ridotta a un ignominioso vagabondaggio, clandestinamente ti partorì da un soldato di nome Pantera”[15].
“Il Rinascimento rappresentò il risveglio grandiosamente inquietante dell’ideale classico, della maniera aristocratica di giudicare le cose (…) ma immediatamente Giudea tornò a trionfare, grazie a quel movimento di ressentiment essenzialmente plebeo (tedesco e inglese) cui si dà il nome di Riforma (…) Con la Rivoluzione Francese, Giudea tornò ancora a sconfiggere l’ideale classico, in un senso ancora più decisivo e profondo: l’ultima aristocrazia politica esistente in Europa, quella del XVII e XVIII secolo francese, crollò sotto gli istinti popolari del ressentiment…come ultima indicazione dell’altra strada apparve Napoleone…sintesi di non uomo e di super uomo”[16].
“Il superuomo era l’uomo quintessenziale che non gli dava disgusto neanche coi suoi difetti, perché splendidi (rapacità e astuzia, simboleggiati dall’aquila e dal serpente)”[17].
“La riforma tedesca appare come un’energica protesta di spiriti arretrati, che non s’erano ancora saziati della visione medievale del mondo”[18].
Sentiamo anche Pasolini: “Il movimento protestante nell’Europa settentrionale fu la prima rivoluzione borghese. Lutero fu il primo grande eroe della borghesia…Mentre nell’Europa settentrionale il protestantesimo diventò la religione della nuova borghesia, in Italia la borghesia non emerse allo stesso modo: la borghesia italiana è nata per forza d’inerzia, diciamo, attraverso l’imitazione passiva delle borghesie europee…in Italia nacque nel mondo della Controriforma, un mondo di contadini. E quindi da noi si notano profonde contraddizioni. In realtà la borghesia italiana è stranissima: è simultaneamente laica e cattolica, liberale e controriformistica, ossia non è niente. Il qualunquismo è in sostanza la conseguenza di queste contraddizioni, insieme con la degenerazione dell’umanesimo che ne è il principale ingrediente”[19].
Secondo me la borghesia e il proletariato e il sottoproletariato e la mafia e il sistema delle raccomandazioni è una permanenza del clientelismo romano codificato già a metà del V secolo a. C. dal codice delle XII tavole: Patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto”, il patrono, se ha ordito una frode al cliente, sia maledetto, prescriveva
“Il rapporto clientelare si configura come un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei disonesti” ha scritto l’illustre latinista Luciano Perelli in un libro intitolato La corruzione politica nell’antica Roma. La I Bucolica di Virgilio , per esempio è la storia di una raccomandazione.
Anche l’uscita di Dante dalla selva oscura dipende da una raccomandazione che parte da Maria passa attraverso Lucia e arriva a Virgilio: “Or ha bisogno il tuo fedele –di te, ed io a te lo raccomando” (Dante, Inferno, II, 99-100). Ecco il motivo per cui tanti giovani devono emigrare per lavorare. Qui in Italia, come si dice, servono “santi in Paradiso”. Dante lo conferma.
“Lutero, questo monaco fatale, ha restaurato la Chiesa, e, quel che è mille volte peggiore, il cristianesimo, nel momento in cui questo soccombeva. Il cristianesimo, questa negazione della volontà di vita divenuta religione!”[20]
“L’avversione reazionaria tedesca alla Rivoluzione francese porta al tempo stesso a una visione pseudorealistica del mondo greco. La Penthesilea [21] di Kleist è il primo preludio artistico: una esplosione della moderna vita dell’istinto decadente-inibita, dell’odio spontaneo contro la misura e la ragione, in veste classica. L’immane impeto poetico di Kleist penetra a poco a poco nella nuova concezione dell’antichità classica…Bachofen…è in realtà lo scopritore della rivoluzione sociale penetrante in profondità, che rischiara la vera storia dell’antichità: del tramonto del comunismo primitivo, del trapasso dal matriarcato al patriarcato”[22].
Pentesilea è la regina delle Amazzoni che vive un amore con Achille, poi lo divora.
G.Lukács vede in Dioniso, nel Dioniso interpretato da Nietzsche il paradigma mitico della classe dominante che si è trasformata da decadente in attivista. “Dioniso è il simbolo mitico di questa conversione della classe dominante…il predominio dell’istinto sull’intelletto e sulla ragione (perciò nell’opera giovanile la figura di Socrate è contrapposta a Dioniso…Dioniso appare come il simbolo della decadenza gravida dell’avvenire e degna di approvazione, della decadenza dei forti, in opposizione al fiacco e deprimente pessimismo (Schopenhauer) e alla liberazione degli istinti con accenti plebei (Wagner)…Il dio di questa decadenza “riscattata” e convertita in attività è Dioniso; sue caratteristiche sono crudeltà e sensualità”[23].
Torno a Nietzsche
“Ma prima o poi, in un’età più forte di questo presente marcio e dubbioso di sé, dovrà pur giungere fino a noi l’uomo del riscatto, l’uomo del grande amore e disprezzo, lo spirito creatore”[24].
“Quando voglio “sondare” un uomo, per prima cosa osservo se ha in corpo un qualche senso della distanza, se ovunque vede il rango, il grado, l’ordine fra uomo e uomo, se sa distinguere: è questo che fa il gentilhomme: in tutti gli altri casi si appartiene senza scampo alla categoria cordiale, ah! così bonaria della canaille”[25].
Teognide biasima la mescolanza incongrua dei matrimoni tra aristocratici decaduti e plebei arricchiti: “plou'to~ e[meixe gevno~ (v. 190), la ricchezza ha mescolato la specie.
Dante nel Paradiso , XVI, 67-68, scrive: "Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade".
Nello Zarathustra, Nietzsche identifica la plebe con la confusione e l’intruglio: “Intruglio plebeo: lì è tutto mescolato alla rinfusa, santo e ladrone e nobiluomo e giudeo e ogni sorta di bestie dell’arca di Noè”[26].
Poche righe prima Nietzsche scrive: “Davvero, è meglio vivere in mezzo a eremiti e caprai che insieme alla nostra plebe dorata, falsa imbellettata, anche se si chiama buona società, anche se si chiama “nobiltà”. Ma in essa tutto è falso e marcio”.
Alla plebe imbellettata Zarathustra preferisce il contadino.
Più avanti “un uomo pacifico, un predicatore della montagna dai cui occhi parlava la bontà in persona” parla a Zarathustra della sua nausea per i più ricchi: “per questa plebe dorata e falsificata, i cui padri furono ladruncoli o mangiacarogne o rigattieri, e le cui donne sono condiscendenti, lascive, volubili: tra loro e una prostituta la differenza, infatti, è poca”[27].
“Un contadino sano, rozzo, astuto, testardo, tenace, rimane, oggi, per me ancora il migliore e il preferito degli uomini: questa è, oggi, la specie più nobile. Il contadino, oggi, è il migliore; e la specie contadina dovrebbe dominare!”[28].
Nell’Oreste[29] Euripide “vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[30]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[31].
Il piccolo proprietario terriero è uno che lavora la terra da sé ed è non attraente di aspetto ma è coraggioso e intelligente (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o" d j ajnhvr", v.918; xunetov" , Oreste, v. 921).
A Roma furono i Gracchi nipoti di Scipione Africano e figli di sua figlia Cornelia a cercare di salvare la piccola proprietà terriera opponendosi ai latifondisti ma vebbero entrambi ammazzati dalla reazione del senato, Tiberio nel 133 e Caio nel 122.
La teoria della classe media.
All'elogio della medietà sociale si può collegare la teoria della classe media propugnata da Teseo nelle Supplici [32] di Euripide.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e ingannati dalle lingue dei capi malvagi lanciano strali contro i possidenti. In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin a[n tavxh/ povli"", (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
T. Mann mette in rilievo la presenza di questa teoria in Nietzsche: “si impedisca il facile e improvviso arricchimento, si tolgano tutti i vari mezzi di comunicazione e di commercio che favoriscono l’ammassamento di grandi capitali, dunque specialmente il commercio di denari, dalle mani dei privati e delle società private, e si considerino sia coloro che troppo, sia coloro che nulla posseggono, esseri pericolosi alla comunità. Il nullatenente come un animale pericoloso: questo deriva da Schopenhauer. Nietzsche ha inoltre appreso che esiste un altro animale pericoloso: quello che troppo possiede”[33].
Nella Politeiva di Platone, Socrate dice che i guardiani-fuvlake~- non devono avere una oujsiva ijdiva, sostanza propria (416d) se non strettamente necessaria. Alla loro oi[khsiς kai; tamiei'on, abitazione e dispensa, deve potere accedere chiunque voglia (cfr. Cimone).
Abbiano il necessario sostentamento, solo quanto abbisogni ad ajqlhtai; polevmou temperanti e coraggiosi (416 e). Devono vivere in comune, frequentando pasti comuni sussivtia, oro e argento l’hanno nell’anima e non hanno bisogno di quello umano per il quale sono accadute molte empie cose (polla; kai; ajnovsia), mentre il metallo che hanno nell’anima è puro.
This yellow slave-will knit and break religion- lo schiavo giallo unirà e spezzerà religioni, bless the accursed, benedirà I maledetti, make the hoar leprosy adored, farà adorare la lebbra canuta, place thieves, darà posti ai ladri and give them title, knee and approbation with senators on the bench (Timone di Atene, IV, 3, 35-38) e titoli genuflessioni e approvazioni con i senatori nei banchi del senato
Dunque l’oro è " the common whore-allied to polish kurwa lat. carus loving diletto e costoso- of mankind, comune bagascia del genere umano"; l'universale mezzana " (IV, 3, 43) che semina discordia tra la marmaglia delle nazioni.
Se i guardiani e i filosofi diventeranno proprietari, saranno oijkovnomoi me;n kai; gewrgoi; ajnti; fulavkwn amministratori della loro roba e contadini invece che custodi, e odiosi padroni invece che alleati degli altri cittadini despovtai d’ ejcqroi; ajnti; summavcwn tw'n a[llwn politw'n (417 b)
Ogni deviazione da questa educazione e da questo Stato sarebbe degenerazione e decadenza.
La maggiore felicità possibile dei guardiani e dei reggitori deve ridondare su tutta la città. Noi fondiamo la città non perché sia straordinariamente felice una sola classe- ma perché lo sia al massimo possibile tutta la città ( all j o{pw~ o{ti mavlista o{lh hJ povli~ 420b).
Questo avviene quando ogni persona e ogni classe svolge il suo compito realizzando la giustizia che significa ta; aujtou' pravttein kai; mh; polupragmonei'n, fare il proprio compito e non impicciarsi di altre faccende (433 c)
“Nell’anima esistono le stesse parti che nello Stato; alla sapienza dei reggitori corrisponde la ragione, alla fortezza dei guerrieri l’elemento coraggioso dell’animo, e alla terza classe tendente a guadagni e godimenti, corrisponde la parte istintiva che deve sottoporsi al giudizio supremo della ragione (435b-c)” (p. 413)
Ci vogliono dunque sofiva, swfrosuvnh ajndreiva e il ta; auJtou' pravttein-
Dannoso per la città sarebbe che un artigiano dhmiourgov~ o un altro crhmatisth;~ fuvsei (434b) un affarista per natura, entrasse in una classe superiore dopo la selezione fatta con la scuola. Lo scambio tra loro delle tre classi cittadine sarebbe megivsth blavbh sarebbe il danno più grande e sarebbe ingiustizia.
Le classi sono chiamate quella degli affaristi-commercianti crhmatistikovn, quella di guerrieri- tw`n polemikw`n, e quella dei consiglieri e guardiani- to; tou` bouleutikou` kai; fuvlako~ (434b).
Qui Sembra che Guardiani e Consiglieri in un primo momento formino una sola classe che si differenzia in base al tempo dell’educazione ricevuta.
L’educazione dei reggitori-filosofi- deve procedere oltre quella dei guerrieri
L’uomo è una micropoli, una città in piccolo. Un uomo giusto è come una città giusta. La sua anima è tripartita, come la popolazione di una città.
L’elemento irascibile to; qumoeidev~ deve schierarsi con il logistikovn.
Sembra che gli ausiliari siano una sottospecie dei guardiani ma non è del tutto chiaro, non a me.
Pare che fuvlake~ - polemikoiv, ejpivkouroi siano sinonimi. O magari si riferiscono a un esercito e a una polizia interna
I filosofi devono essere anche i più alti educatori.
I reggitori filosofi ricevono dalla comunità lo stretto necessario per vivere
Questi della prima classe sono caratterizzati dalla sapienza (428be)
Bologna 16 febbraio 2023 ore 18, 16
giovanni ghiselli
p. s.
il catalogo è questo. il blog talora mi dà il conto dei lettori presentandolo con parole inglesi, a volte con parole italiane. Non so perché
All time 1324391
[1] In latino anche il testo.
[2] Dissertazione su Teognide di Megara, p. 167.
[3] Al di là del bene e del male , Che cosa è aristocratico, 260 (del 1886)
[4] Del 1888.
[5] Ecce homo, Di là dal bene e dal male, 2
[6] Genealogia della morale, “Buono e malvagio”, buono e cattivo”, 10. (1887)
[7] Di là dal bene e dal male, Che cosa è aristocratico, 260
[8] T. Mann, Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche, p. 820
[9] Ogni impulso che ci sforziamo di soffocare rimugina nella mente e ci avvelena…l’unico modo di liberarci di una tentazione è cederle.
[10] Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche, p. 820.
[11] T. Mann, Op. cit., p. 821.
[12] P- P. Pasolini, Il caos, p. 39.
[13] Frammenti postumi 1881, 285.
[14] Carducci, Odi barbare, Alle fonti del Clitumno.
[15] Celso, Il discorso vero (II sec.d. C.) I, 33, trad. it. Adelphi, Milano, 1987. In nota si legge: “Panthera” è attestato da iscrizioni latine come soprannome di soldati romani stanziati in Palestina.
[16] Genealogia della morale (1887)“Buono e malvagio”, “buono e cattivo”, 16.
[17] Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 373.
[18] Umano troppo umano I, sintomi di cultura superiore e inferiore, parte quarta, 237
[19] Pasolini, Tutte le Opere, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1296-1297.
[20] Ecce homo (1888), Il caso Wagner, 2.
[21] Del 1808 di Bernd Heinrich Wilhelm von Kleist 1777-1811.
[22] György Lukács (1885-1971), Contributi alla storia dell’estetica, p. 357.
[23] La distruzione della ragione, pp. 399-400.
[24] Genealogia della morale, “Colpa”, “Cattiva Coscienza” e simili, 24
[25] Ecce homo, Il caso Wagner, 4
[26] Così parlò Zarathustra parte IV, Colloquio con i re, 1
[27]Così parlò Zarathustra parte IV, Il mendicante volontario.
[28] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte quarta, Colloquio con i re, 1.
[29] Del 408.
[30]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[31]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[32] Del 422 ca.
[33] Nobiltà dello spirito, La filosofia di Nietzsche, p. 835.
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