Nietzsche 116 Ecce homo. Così parlò Zarathustra 4.
Roma spiacente a Nietzsche e a Leopardi
Questo capitolo è interessante per il soggiorno di Nietzsche a Roma dal 4 maggio al 16 giugno 1883 e i suoi giudizi sulla città
Alla fine dell’inverno del 1883 “giacqui malato per due settimane a Genova.
Seguì poi una malinconica primavera a Roma, vi accettai una vita non facile. In fondo in questo luogo, il più indecente fra tutti sulla terra per il poeta di Zarathustra, luogo che non avevo scelto liberamente, mi infastidiva oltre misura; tentavo di evadere-volevo andare all’Aquila, l’antitesi di Roma, fondata in odio a Roma, come il luogo che un giorno io fonderò, in ricordo di un ateo e nemico della Chiesa come il faut, uno degli esseri a me più affini, il grande imperatore Federico II di Svevia. Ma in tutto questo c’era un destino: dovetti tornare indietro.
Stanco di sforzarmi a cercare una terra anticristiana, mi contentai alla fine della piazza Barberini.
Nei miei tentativi di sfuggire il più possibile ai cattivi odori, temo di aver chiesto una volta addirittura al palazzo del Quirinale se non avevano una camera tranquilla per un filosofo. In una loggia, che dà sulla piazza suddetta, da dove si domina Roma, e si sente, giù in fondo, il crosciare della fontana, fu composto il Canto della notte”.
Questo si trova nella seconda parte dello Zarathustra (ndr.)
Ecco la fontana. “E’ notte: ora parlano più forte tutte le fontane zampillanti. E anche l’anima mia è una zampillante fontana
In quei giorni mi circondava sempre una melodia indicibilmente malinconica, di cui ho trovato il refrain nelle parole “morto di immortalità”.
Roma non piacque nemmeno a Leopardi
In una lettera al fratello Carlo del 20 febbraio 1823 scrive: “Venerdì 15 febbraio fui a visitare il sepolcro del Tasso e piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato in Roma (…) Anche la strada che conduce a quel luogo prepara lo spirito alle impressioni del sentimento. E’ tutta costeggiata da case destinate alla manifattura, e risuona dello strepito dei telai e d’altri tali istrumenti, e del canto delle donne e degli operai occupati al lavoro. In una città oziosa, dissipata, senza metodo, come sono le capitali, è pur bello il considerare l’immagine della vita raccolta, ordinata e occupata in professioni utili. Anche le fisionomie e le maniere della gente che s’incontra per quella via, hanno un non so che di più semplice e di più umano che quelle degli altri; e dimostrano i costumi e i caratteri di persone, la cui vita si fonda sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travaglio e non d’intrigo, d’impostura e d’ inganno come la massima parte di questa popolazione. Lo spazio mi manca: t’abbraccio. Addio addio”
Nell’estate, tornato al luogo sacro dove aveva brillato per me il primo pensiero di Zarathustra (in Liguria facendo il giro della baia di Santa Margherita nel gennaio del 1883 nd.r), io trovai il secondo Zatathustra. Mi bastarono dieci giorni (agosto 1883) , non ce ne sono mai voluti di più, né per il primo, né per il terzo (gennaio 1884 ndr) né per l’ultimo (aprile 1885 quaranta esemplari stampati a proprie spese ndr)- e avevo finito.
La parte decisiva che porta il titolo “Di antiche tavole e nuove”(III parte) fu composta durante la faticosissima ascesa dalla stazione di Nizza al meraviglioso villaggio moresco di Eza, annidato fra le rocce, -avevo sempre la mia massima scioltezza muscolare quando la più ricca forza creativa scorreva in me. Il corpo è entusiasmato: lasciamo l’anima a parte. Spesso mi hanno visto ballare: ero capace, allora, di andare su per i monti per sette, otto ore, senza sentire mai un qualche senso di stanchezza. Dormivo bene, ridevo molto-il mio vigore e la mia pazienza erano perfetti”
Sono parole importanti perché testimoniano del nesso tra la salute dell’anima e quella del corpo e quanto sia importante per entrambe l’ascesi somatica cioè l’esercizio fisico.
Ora voglio citare alcune parole da Zarathustra III: “Questo l’ho imparato dal sole che di ricchezza sovrabbonda quando va giù: attingendo da tesori inesauribili ricolma d’oro il mare, così che anche il più povero dei pescatori rema con remi d’oro! Questo io vidi, infatti una volta, né mi saziai di lacrime al vederlo” (Di antiche tavole e nuove, 3).
Queste parole mi tornano in mente quando dal molo del porto di Pesaro vedo il sole che cala nel mare nei giorni di massima luce.
Bologna 9 febbraio 2023 ore 17, 38
p. s.
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