NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 16 febbraio 2023

Nietzsche e i Greci 5 - Storia monumentale, antiquaria e critica.

La necessità

“Quelle mani d’acciaio della necessità, che scuotono il bossolo dei casi, giocano per un tempo infinito il loro gioco”.

Siamo forse noi stessi a scuotere il bossolo dei dadi e a fare il gioco della Necessità?

“Per venire a capo di questo forse , si dovrebbe già essere stati ospiti nell’oltretomba e aver giocato al tavolo di Persefone e scommesso ai dadi con lei stessa” [1]

Prometeo  si vanta di essere il padre delle tevcnai[2], ma sa che  la conoscenza pratica è molto più debole della necessità: “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/  (Prometeo Incatenato, v. 514).

 

Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C. 

Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

 

Il potere assoluto dell'  jjjjAnavgkh  verrà apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. 

Nel terzo Stasimo della tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute,  il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:

"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972). Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.

I “moltissimi ragionamenti” vengono denunciati da Nietzsche quale difetto della tragedia di Euripide:

“Socrate, l’eroe dialettico del dramma platonico, ci ricorda la natura affine dell’eroe euripideo, che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni, e che per questo rischia tanto spesso di non suscitare più la nostra compassione tragica”[3]. Ma su questo torneremo più avanti.

 

Del resto ogni persona secondo Nietzsche coincide con il suo destino: "Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate…In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato…Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[4].

Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[5] di Eraclito.

E' tanto tipicamente ellenico questo "amore del fato" che nel romanzo espressionista Berlin Alexanderplatz  di Alfred Döblin leggiamo:" Non si deve fare il grande con la propria sorte. Io sono nemico del fato. Non sono greco io; sono berlinese"[6].

L’ amor fati  è amore di se stessi.

“Bisogna imparare ad amare se stessi-questa è la mia dottrina-di un amore sano e salutare: tanto da sopportare di rimanere presso se stessi e non andare vagando in giro. Questo vagolare si battezza col nome di “amore del prossimo”: con queste parole finora si sono dette le maggiori menzogne e commesse le peggiori ipocrisie

E in verità, quello di imparare ad amare se stessi non è un comandamento per oggi e domani. Piuttosto è questa, di tutte le arti, la più sottile, ingegnosa, lontana e paziente.”[7].

Non dobbiamo accollarci some e fardelli che non sono i nostri: “E, se ci inzuppiamo di sudore, allora ci dicono: “Eh già, la vita è un grave fardello! Invece è l’uomo che è per se stesso un grave fardello! E questo perché si trascina  sulle spalle troppe cose estranee. Simile al cammello, egli piega le ginocchia e si lascia caricare ben bene”[8].

La cultura “Può essere ancora qualcosa d’altro che decorazione della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame…Così si svelerà il concetto greco della cultura-in contrapposizione a quello romano-il concetto della cultura come una nuova e migliorata physis…della cultura come una unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere”[9].

Abbiamo studiato a lungo per i voti o per la carriera e ci eravamo intristiti, imbruttiti e abbrutiti. Quelli che lo hanno capito-quorum ego- si sono messi a studiare per la vita.

“Nietzsche parla addirittura della malattia storica che paralizza la vita e la sua spontaneità…La storia, per puro amore di conoscenza, non esercitata ai fini della vita e senza il contrappeso della “dote plastica”  della spontaneità creatrice, è suicidio, è morte…La storia scaccia gli istinti. Formato o, meglio, deformato dalla storia, l’uomo non è più capace di “rilassare le briglie” e di agire spontaneamente, fidando nella “divina animalità”. La storia sottovaluta sempre ciò che è divenire e paralizza l’azione”[10].

Il puro amore della conoscenza che avevamo da studenti era in certe materie che non amavamo soltanto amore del voto. Quando si ama una materia, un argomento, un autore, è perché questo ci parla e parla di noi. Ho amato Leopardi prima ancora di capirne tutte le parole, come ho amato Sofocle, Euripide e Nietzsche e Dostoevskij prima di conoscerli bene. Ho studiato e conosciuto abbastanza bene Manzoni, però non l’ho mai amato.

 I poeti italiani incomprensibili addirittura non li sopporto. Se non li capisco io che leggo libri da una vita che cosa potrà ricavarne il villanello cui le letture mancano? I grandi autori a partire da Omero, li comprende anche un bambino. Amiamo il bello con semplicità e la cultura senza mollezza, senza falsità.  

Storia antiquaria

Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istantesolo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[11].

"Il benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza- è questo ciò che oggi si designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[12]. E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.

Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone nell'Orator [13]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?

 Maturità della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia[14].

Storia critica

La storia “hegelianamente intesa la si è chiamata  con scherno il cammino di Dio sulla terra…per Hegel il vertice e il punto terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua stessa esistenza berlinese…egli ha istillato nelle generazioni da lui lievitate quell’ammirazione di fronte alla “potenza della storia", che praticamente si trasforma a ogni istante in nuda ammirazione del successo e conduce all'idolatria del fatto…Se ogni successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni avvenimento è la vittoria di ciò che è logico o dell'"idea"-allora ci si metta subito giù in ginocchio e si percorra poi inginocchiati l'intera scala dei "successi! "[15].

La storia critica giudica[16] il passato e spesso lo condanna.

La cultura storica non deve essere passiva e retrospettiva

“In questo senso noi viviamo ancora nel Medioevo, la storia è ancora sempre una teologia camuffata e del pari la venerazione con la quale il profano estraneo alla scienza tratta la casta scientifica, è una generazione ereditata dal clero ”[17]. Ogni atto di venerazione nei confronti del successo è un atto clericale. Avrebbe avuto tanto successo Gesù Cristo se i suoi seguaci poi il clero non lo avessero imposto?

 

“Nel primitivo mondo greco antico del grande, del naturale, dell’umano…troviamo anche la realtà di una cultura essenzialmente antistorica e di una cultura nonostante ciò o  piuttosto a causa di ciò indicibilmente ricca e piena di vita”[18].

Noi siamo gli eredi e i discendenti di forze classiche che debbono spronarci a non essere “frutti tardivi impalliditi e intristiti di forti generazioni, che stentino una vita rabbrividente da antiquari e becchini di quelle generazioni. Tali frutti tardivi vivono certo un’esistenza ironica”[19].

 

La storia va giudicata negativamente quando è scritta “dal punto di vista delle masse[20]. Le masse meritano uno sguardo  “innanzitutto come copie evanescenti dei grandi uomini, fatte su carta cattiva e con lastre logore, poi come ostacolo contro i grandi, e infine come strumento dei grandi; per il resto, che se le prenda il diavolo e la statistica!”[21].

C’è da dire che le masse vengono spesso sottovalutate o nente affatto valutate dal potere: si può pensare ai partiti che cantano vittoria dopo un’elezione in cui il 60% degli aventi diritto non ha votato, oppure  a un governo che per servilismo verso un altro governo vuole inserire l’Italia in una guerra che la maggioranza del popolo italiano non vuole.

 

Ma l’uomo “ovunque egli è virtuoso… si ribella alla cieca forza dei fatti, alla tirannia del reale…Egli nuota sempre contro le onde della storia…mentre la menzogna intesse tutto intorno a lui le sue reti scintillanti…Fortunatamente essa serba però anche la memoria dei grandi che lottarono contro la storia, cioè contro la cieca forza del reale”[22]

La grandezza non può dipendere dal successo, e Demostene ebbe grandezza, benché non avesse successo"[23].

Ci sono stati uomini che hanno avuto successo pur nuotando contro le oonde della storia o contro le mode. Sofocle già in vita opponendosi alla sofistica di moda, Euripide e Leopardi dopo la fine della vita mortale ne hanno una ancora vigente.

A Demostene viene accostato Wagner nella IV inattuale per “la terribile serietà verso il suo oggetto e il piglio possennte nell’afferrarlo ogni volta; in un istante la sua mano lo circonda e lo tiene saldamente nella sua ferrea stretta”[24].

Leopardi che in vita non ebbe successo nella lettera a Pietro Giordani del 16 gennaio 1818,  scrive: “né io sarò meno virtuoso né meno magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalista parlarne”.

 

A Nietzsche lo storicismoappare la consolatoria patina ottimista sovrapposta alla reale irrazionalità e alle reali contraddizioni della vita, una mistificazione della verità operata dall’ideologia al potere”[25].

“Una storia che rifiuta i –se- e i –ma- è quella che si è scritta sempre prevalentemente finora, cioè è una storia “dal punto di vista del successo”, che suppone che il successo riveli anche un diritto, una ragione”[26].

La storiografia monumentale, antiquaria e critica…vengono dichiarate modi legittimi di conoscenza del passato, purché subordinate all’elemento non storico, cioè messe al servizio della vita…La vera ragione per cui l’erudito non può comprendere adeguatamente il fatto storico è che il fatto è qualcosa di vivente, nella sua attualità, mentre l’erudito lo mummifica e lo esaurisce, lo intende come qualcosa di morto”[27].

Bologna 16 febbraio 2023

giovanni ghiselli

Il catalogo è questo

Sempre1324186

 

 

 

 



[1] Aurora, libro secondo, 130.

[2] pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw~  (v. 506), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo.

 

 

[3] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 14.

[4]Nietzsche, Umano troppo umano  II, Il viandante e la sua ombra, 61

. Uscito nel 1878. “Fu concepito come una quinta “considerazione inattuale”, intitolata Il vomere,, ma poi fu trasformato nel libro di aforismo che conosciamo” (S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 236).

[5] Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo).

 

[6] Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz  (del 1929) p. 63.

[7] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, parte terza (1884)  Dello spirito di gravità, 2

[8] Nietzsche, Op. cit.

[9] Considerazioni inattuali, II,  Utilità e danno della storia, capitolo 10

[10] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 817.

[11] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II,   capitolo 1.

[12] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, capitolo 3.

[13] Del 46 a. C.

[14] T. S. Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944)  In T. S. Eliot, Opere, p. 965.

[15] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, capitolo 8.

[16] Cfr. krivvnw, “giudico”.

[17] Op. cit. capitolo 8.

[18] Op. cit capitolo 8

[19] Op. c. capitolo 8.

[20] Cfr. i giornali ndr.

[21] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, capitolo 9.

[22] Op. cit. Capitolo 8

[23] F. Nietzsche,  utilità e il danno della storia per la vita,  capitolo 9.

[24] Richard Wagner a Bayreuth, (del 1876) cap. 9.

[25] C. Magris, Dietro le parole, p. 90.

[26] G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche , p. 78.

[27] G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche, p. 24 e p. 73.

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