Torniamo al novembre del 1978. Avevo dunque deciso di lasciare intanto Esculapia. Le telefonai verso l’ora di cena dicendole direttamente: “vediamoci domani, se puoi: ti devo parlare”. Usai un tono serio, quasi severo perché questa donna tendeva a ridicolizzare la mia volontà di fare chiarezza tra noi, ossia di liberarmi. Ma non si lasciò impressionare.
Rispose: “Va bene Ghiso, divina creatura!”. Era più attempata di me e tendeva a vezzeggiare giovanilmente.
Quindi aggiunse la generosità della nutrice: “Ti aspetto domani sera a cena. Cucinerò per te”. Per giunta viveva con i suoi genitori. Diceva di essere divorziata. Con una cena semiufficiale voleva rendermi più problematico il congedo che sentiva nell’aria. La sera dell’addio dunque, suonato il campanello con un tocco leggero, aspettavo davanti alla porta con aria stanca e un poco preoccupata.
Venne ad aprire la madre, una donna non vecchia, dai biondi capelli avvelenati e loquace. Trattava la figlia oramai quarantenne come una bambina prodigio siccome, sì giovane ancora, era già diventata direttrice di banca.
“Buona sera professore, venga avanti”, disse in piena contraddizione con il mio proposito retrogrado.
Quindi mi guidò nella sala da pranzo dove mi fece sedere e mi domandò come stessi.
“Non c’è male, grazie. E lei?
“Io benissimo, ma lei perché dice solo non c’è male? Mi sembra in ottima forma” In effetti lo ero, grazie a Ifigenia però, non ad altro.
“Sono un poco stanco di alcune cose” dissi per prepararla alla novità che volevo annunciare.
“Come può essere stanco-replicò renitente ad accogliere l’annuncio dell’evento che sospettava-dopo appena due mesi di scuola? Poi lei ha quasi tutti i pomeriggi liberi per riposarsi. Pensi alla figlia mia che lavora dall’alba al tramonto in questa stagione e quando torna a casa mi aiuta: tra poco, per fare un esempio, mangeremo delle tagliatelle fatte da me e condite con un sugo cui ha messo mano Esculapia: farebbe risuscitare i morti. Tra poco lo sentirà: c’è dentro tutto l’estro della sua ragazza”
Queste ultime parole mi fecero male.
La osservavo accentuando la tristezza che tutta la situazione spiacevole mi stampava in faccia ma non riuscivo a bloccare la compiaciuta retorica gastronomica tipica delle casalinghe della grassa Bologna. L’aspirante suocera mi squadernava l’elenco degli ingredienti.
Cercai di smontare questa allegrezza fasulla: “No, non è della scuola che sono stanco e annoiato. Anzi, insegnare mi piace”
“Oh bella! Allora di cosa? Non sarà mica stanco di vivere?” domandò con una sfumatura aggressiva sperando di dissuadermi dall’intento che oramai aveva capito.
“Sono stanco di deludere persone migliori di me. Mi sopravvalutano, si aspettano troppo e mi danno sensi di colpa”.
Appena ebbi detto queste parole cui non era facile rispondere con una banalità elusiva, mentre la madre dava segni di imbarazzo, entrò la figlia arzilla come una cutrettola, e fervente di una contentezza ostentata, chiaramente in autentica. Si aspettava anche lei la fine di tutto.
“ciao Ghiso-trillò- Oggi ho chiuso i conti di un reparto. Quei cassieri vanno tenuti d’occhio. Tu che cosa hai fatto di inutile e bello nel pomeriggio, estetica, aerea, divina cratura? Hai corso, pedalato o studiato?”
“Tutte e tre queste cose che devo ogni giorno a me stesso”
“E a me non devi niente?”
“Sì certo. Ti devo gratitudine per quanto c’è stato tra noi e la verità sulle mie intenzioni”
Bologna 5 febbraio 2023 ore 11, 21 giovanni ghiselli
Sempre1319862
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