Polibio VIII.
Libro XXXI. Le tante virtù di Scipione Emiliano
Il XXXI libro racconta i rapporti tra i Romani e i regni ellenistici, quindi le provocazioni ai Cartaginesi di Massinissa, il re di Numidia alleato con i Romani. Segue un elogio di Emilio Paolo che, padrone di un intero regno, non volle nulla per sé.
Subito dopo Polibio racconta come fece a diventare amico dei figli di Lucio (Emilio Paolo), Fabio e Scipione. Ma questo l'ho già riferito. Si può aggiungere la richiesta di Scipione a Polibio di occuparsi della sua educazione non meno che di quella del fratello e la promessa del maestro greco di mettersi a disposizione del discepolo e di aiutarlo a parlare e ad agire in maniera degna dei suoi antenati (" ejgw; de; kaj;n aujto;" hJdevw" soi sunepidoivmhn ejmauto;n kai; sunergo;" genoivmhn eij" to; kai; levgein ti kai; pravttein a[xion tw'n progovnwn", XXXI 24, 5. Dopo questo approccio i due divennero intimi come padre e figlio o per lo meno come parenti stretti.
Scipione volle incamminarsi per la strada di una vita virtuosa onde acquistare una buona reputazione di moderazione, già rara in quel tempo in cui a Roma quando la maggior parte giovani si stava corrompendo: alcuni si davano alla pederastia, altri frequentavano le etere e molti si abbandonavano ai piaceri della musica e dei banchetti poiché si erano appropriati in fretta durante la guerra contro Perseo della facilità di costumi tipica dei Greci in questi campi ("tacevw" hJrpakovte" ejn tw'/ Persikw'/ polevmw/ th;n tw'n jEllhvnwn eij" tou'to to; mevro" eujcevreian", XXXI 25 ,4 ).
Sallustio sposta un poco più avanti la diffusione di questi costumi e ne attribuisce la causa alla scomparsa del deterrente costituito da Cartagine : "Sed ubi...Carthago aemula imperi Romani ab stirpe interiit, cuncta maria terraeque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverunt, iis otium divitiaeque, optanda alias, oneri miseriaeque fuere. Igitur primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere "[1]. Così Polibio sostiene che questo stile di vita andò in auge con la dissoluzione del regno di Macedonia che lasciò i Romani senza rivali e con il trasferimento a Roma delle ricchezze di Perseo.
Ma Scipione si sottrasse a tale decadimento e scelse uno stile di vita temperante e rigoroso. E' questa una difesa degli Scipioni dalle critiche degli avversari quali Catone, che li accusavano di corrompere Roma ellenizzandola introducendovi i costumi e la cultura greca.
Cfr. gli Adelphoe di Terenzio del 160 con Micio “scipionico” e Medea catoniano
Scipione, secondo Polibio, era generoso e disinteressato al denaro, per carattere, per l'educazione ricevuta dal padre naturale (Emilio Paolo, mentre quello adottivo era Publio Scipione, figlio del vincitore di Annibale a Zama) e per il contributo della Fortuna. Quando morì Emilia, la moglie del nonno adottivo, Scipione Africano Maggiore, questa lasciò al nipote grandi ricchezze che ella era solita sfoggiare nella magnificenza di cui circondava la sua persona. Scipione Emiliano quindi regalò lo splendido corredo ereditato a sua madre Papiria che era separata da suo padre ed era meno facoltosa di quanto si addicesse alla sua nobiltà.
Papiria allora si recò ad un solenne pubblico sacrificio con il fastoso abbigliamento e i sacri utensili di Emilia suscitando entusiasmo per la generosità del figlio, veramente eccezionale e stupefacente a Roma dove assolutamente nessuno dà niente di quanto possiede a nessuno senza fare dei conti (" aJplw'" ga;r oujdei;" oujdeni; divdwsi tw'n ijdivwn uJparcovntwn eJkw;n oujdevn", XXXI 26, 9.
Scipione dunque si distingue da quella mentalità tirchia e utilitaristica impersonata da Catone e codificata nel suo De agri cultura che rappresenta un mondo ristretto, quello della villa , e dominato dalla logica dell'utile. Del resto non si tratta solo di Catone. Tradizionalmente nemmeno con la divinità c'è relazione disinteressata: il romano sembra curarsi degli dei solo per averne favori; la prosperità terrena è il fine supremo della sua religione dove prevale lo spirito pratico e manca il mistico entusiasmo per ideali di bellezza e grandezza. Perfino il poeta novus Catullo chiede agli dèi un contraccambio della sua pietas :"O di, reddite mi hoc pro pietate mea " (76, 26).
Polibio conclude il XXXI capitolo mettendo in rilievo che la fama della nobiltà morale dell'Emiliano andò crescendo grazie alle donne che chiacchierano fino alla nausea su qualsiasi argomento nel quale si siano gettate ("a{te tou' tw'n gunaikw'n gevnou" kai; lavlou kai; katakorou'" o[nto", ef j o{ ti a]n oJrmhvsh/", XXXI, 26, 10).
Le chiacchiere delle donne pertanto sono uno degli strumenti della buona Fortuna che assecondò la sua indole ottima.
Polibio prosegue raccontando altri gesti di generosità di Scipione. Quando morì suo padre naturale, egli rinunciò alla sua parte di eredità in favore del fratello Fabio, eppure in occasione dei funerali pagò metà dello spettacolo di gladiatori che il fratello volle dare. Non si può negare che tale offerta al popolo sia un tantino ignobile ( "avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior, immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", Lettere a Lucilio ,7 ,3, torno più ambizioso, più dissoluto, anzi addirittura più crudele e disumano poiché sono stato in mezzo agli uomini. affermava Seneca dopo avere assistito ad uno spettacolo circense), ma abbiamo altresì ricordato che nella medesima circostanza vennero rappresentati gli Adelphoe di Terenzio.
Generoso Scipione fu anche con le sorelle, cui cedette i beni della madre, e quindi conseguì la fama di uomo dai nobili sentimenti. Inoltre aveva acquistato la reputazione di moderato astenendosi da molti e variegati piaceri ("pollw'n de; kai; poikivlwn hJdonw'n ajposcovmeno"", XXXI 28 12), guadagnandoci per giunta quella salute fisica e quel vigore che lo accompagnarono per tutta la vita che gli procurarono piaceri più soddisfacenti di quelli facili cui aveva rinunciato. Era anche dotato di coraggio e per esprimere questa qualità del carattere fu aiutato dalla Fortuna. Infatti dopo la guerra macedonica Lucio Emilio Paolo, il vincitore, ritenendo che la caccia fosse per i giovani il più bell'esercizio e divertimento ("oJ Leuvkio" kallivsthn uJpolambavnwn kai; th;n a[skhsin kai; th;n yucagwgivan uJpavrcein toi'" nevoi" th;n peri; ta; kunhgevsia", XXXI 29, 5) mise a disposizione di Scipione le riserve e i cacciatori della casa reale di Macedonia i cui membri erano appassionati di caccia. Il giovane Scipione dunque, dopo la battaglia di Pidna, si diede all'arte venatoria, e, quasi fosse un giovane cane di razza ("kaqavper eujgenou'" skuvlako"", 7) se ne appassionò per sempre. L' incontro e l' amicizia con Polibio che aveva la stessa passione portò i due giovani a tale attività, allontandoli invece dal foro, dalle questioni giuridiche e dagli intrallazzi politici. Con le imprese venatorie l'Emiliano si procurò una fama più alta e schietta che brigando nel foro.
Francamente mi sembra spropositato questo elogio della caccia ma l'ho riferito per ampliare la scheda messa insieme studiando Senofonte.
Polibio conclude l'elogio di Scipione affermando che i suoi successi vanno attribuiti in massima parte alla sua virtù, in minima ai casi della Fortuna
Bologna 1 febbraio 2023 ore 10, 44 giovanni ghiselli
[1]De coniuratione Catilinae , 1O, ma quando Cartagine, rivale dell'impero romano fu distrutta dalle fondamenta, tutti i mari e le terre erano aperti, la sorte cominciò a incrudelire e a sconvolgere tutto. Quelli che avevano sopportato con facilità fatiche, pericoli, situazioni incerte e difficili, per costoro l'ozio e le ricchezze, beni desiderabili in altre circostanze, furono motivo di peso e di miseria. Pertanto prima crebbe il desiderio di denaro, poi di potere: quelle passioni furono, per così dire, fondamento di tutti i mali.
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