NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 1 febbraio 2023

POLIBIO IX. Il calo demografico in Grecia

POLIBIO IX
Il XXXII libro narra i rapporti fra i Romani e i popoli che vivevano sul loro lato orientale: dalla Dalmazia alla Cappadocia, a  Pergamo alla Bitinia i cui re, Attalo II e Prusia II, nel 156 si fanno guerra. Il primo fu sconfitto, ma l'intervento di Roma lo salvò determinando una coalizione asiatica contro Prusia.

 

Il XXXIII libro racconta di varie ambascerie greche a Roma, della mediazione romana nella guerra tra Prusia II di Bitinia e Attalo II di Pergamo, della guerra vinta da Roma sui Liguri e di altre vicende meno importanti.

 

Il XXXIV libro parla di geografia. Polibio ci è giunto citato dal "geografo" Strabone.  Interessanti sono alcune osservazioni su Omero. Se nei suoi poemi c'è qualche cosa di non vero questa va ascritta ai cambiamenti operati dal tempo o all'ignoranza del poeta o alla licenza poetica poiché la poesia è costituita di storia, elaborazione retorica e mito. Ebbene il fine della storia è la verità, come quando nel Catalogo delle Navi il poeta ci dà le particolarità geografiche di ciascun luogo ("th'" me;n ou\n iJstoriva" ajlhvqeian ei\nai tevlo", wJ" ejn New'n katalovgw/ ta; eJkavstoi" tovpoi" sumbebhkovta levgonto" tou' poihtou'", XXXIV 4, 2). Si tratta del secondo libro dell'Iliade  del quale abbiamo detto, citando Jaeger,  che viene osservato da Tucidide con l'occhio del politico imperialista, mentre Polibio lo guarda con quello del geografo attento e rileva che Omero ci dà le particolarità geografiche di ciascun luogo dicendo di una città che è rocciosa("th;n me;n petrhvessan"), per esempio, di un'altra che è ai confini estremi ("th;n de; ejscatovwsan povlin"), di un'altra che è ricca di colombe("a[llhn de; polutrhvrona"), di un'altra poi che è vicina al mare ("th;n d j ajgcivalon", XXXIV 4, 2). Il fine della elaborazione retorica poi è la vivacità descrittiva, come quando Omero rappresenta scene di battaglia, e il fine del mito è quello di piacere e di colpire.

 

Infatti Fellini, che tendeva a trasformare in miti i fatti anche piccoli della sua vita, ha dichiarato :"Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che estetico"[1].

 

  Inventare tutto però non è accettabile né proprio di Omero . L'incompetenza geografica è un grave difetto dello storico.

 Abbiamo visto che tale mancanza viene attribuita, con molte altre, a Timeo .

 

Il XXXV libro narrava avvenimenti compresi tra il 152 e il 150.

Tra questi ricordo la guerra tra Romani e Celtiberi che avevano la capitale a Numanzia. In seguito alle difficoltà dei Romani,

 Scipione si propose per essere mandato in Spagna.

 

Plutarco su Polibio, Catone e gli ostaggi achei

 Scipione per compiacere Polibio pregò Catone di sostenere la causa dei confinati achei chiedendo che venissero rilasciati.

Allora il Censore disse in senato che si discuteva inutilmente  se alcuni vecchietti greci  dovessero essere condotti alla tomba da becchini romani oppure achei, e, dopo che fu votato il loro rilascio, rispose a Polibio, il quale intendeva chiedere la restituzione degli onori di cui gli esuli godevano in Acaia,  che egli sarebbe stato  come Odisseo,  se avesse voluto tornare nell'antro del Ciclope per riprendere il berretto e la cintura dimenticati in quella caverna. Queste risposte  del Censore ci sono riferite dalla Vita di Catone Maggiore  di Plutarco (9).

 

I frammenti del XXXVI libro raccontano l'inizio della III guerra punica (149 a. C.). Il primo capitolo è relativo ai discorsi nelle opere di storia che non devono essere lunghi in quanto non si addice ai politici dilungarsi, ma limitarsi a dire quanto la situazione richiede. Gli storici da parte loro devono riferire con scrupolo attenendosi a quanto è stato effettivamente detto("ta; kat& ajlhvqeian rJhqevnta" XXXVI, 1, 7) dopo averlo ricercato con la massima diligenza possibile e avere scelto quanto vi è di essenziale ed efficace .

 

Mazzarino ricorda che questo problema risale a Tucidide (I, 22), e, dopo avere tradotto alcuni paragrafi, li commenta, bene, scrivendo :"questa battaglia contro la retorica è dunque una battaglia per l'essenziale"[2].

 

Un altro capitolo interessante è quello nel quale Polibio spiega che egli fu coinvolto personalmente nelle vicende narrate, ma sa bene che la presenza dell'autore nell'opera suscita odiosità, quindi è stato costretto  a cambiare le espressioni che si riferivano direttamente a lui . La storia infatti non  deve essere autobiografica e nemmeno monografica.

Su questo secondo divieto si era espresso nella critica a Teopompo (400-320)  il quale aveva scritto la storia dei Greci partendo dal punto in cui l'aveva lasciata Tucidide, poi, arrivato all'epoca della battaglia di Leuttra, abbandonò la Grecia e decide di scrivere la storia di Filippo.

Per la verità, commenta Polibio, sarebbe stato più dignitoso e giusto inserire le imprese di Filippo nella storia della Grecia che le imprese dell'Ellade nella storia di Filippo.

Teopompo, nato a Chio verso il 378, era un seguace della scuola isocratea, e aveva scritto Storie Elleniche  che continuavano l'opera  di Tucidide  fino alla battaglia di Cnido (411-394) e Storie Filippiche  con le vicende della Macedonia sotto il regno di Filippo II (359-336). Polibio aveva già affrontato l'argomento nel XXIX libro  "dove-nota Canfora-attacca gli autori di monografie in generale, in quanto "indotti a gonfiare la materia che trattano" e persuasi "di guadagnarsi il nome di storici non per la materia che trattano ma per il numero di libri che riescono a mettere insieme"(12. 2)". Tali "digressioni polemiche" di Polibio tendono a "quell'abile e saccente demolizione degli altri storici" che contribuì a "costruire intorno alla propria opera una efficace immagine di autorevolezza". Del resto "vi contribuì certamente la cerchia influentissima, decisiva per gli sviluppi della cultura romana, di cui era saldamente entrato a far parte", ma la supponenza manifestata nei confronti dei colleghi storiografi ("nell'VIII libro contro Teopompo; nel XII contro Timeo; ma insoddisfatto è anche di Filarco, Filino, Fabio Pittore, Arato e così via"[3]) non fu ininfluente sul successo delle sue Storie.

 

Nel secondo anno (148 a. C.) della terza guerra punica  muore, novantenne Massinissa che viene elogiato per la sua vigoria, la sua fecondità (lasciò un figlio di quattro anni ed altri nove figli ) e rese fertile la sua terra, la Numidia, secondo il principio che le capacità di un re influenzano il suo popolo e perfino la produttività della sua regione.

L'ultimo frammento del XXXVI libro tratta ancora  della Fortuna e del suo potere . Quando non è possibile trovare la causa di certi fenomeni come epidemie o carestie dovute al mal tempo è necessario attribuirli all'azione di un Dio o della Fortuna. Allora è naturale cercare di placare l'ira divina.

Nello stesso modo non si capisce perché i Macedoni continuino a combattere contro i Romani sotto la guida di un uomo abominevole (Andrisco o Pseudofilippo che nel 149-148 si fece passare per figlio di Perseo) dopo essere stati sconfitti con i loro re Filippo e Perseo. In questo caso si tratta di divino accecamento  e di un'ira soprannaturale ("daimonoblavbeian...mh'nin ejk qew'n", XXXVI, 17, 15).

Quando invece si può individuare la causa terrena dei fatti, non è necessario ricorrere a tali spiegazioni. Viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie . In questo caso non si tratta di interrogare o supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

Calo demografico, matrone romane, donne germaniche e "dissolutezze inaudite" di Messalina.

Al tema del calo matrimoniale e demografico, che metto in rilievo in quanto è molto attuale, Santo Mazzarino dedica alcune pagine de Il Pensiero Storico Classico [4] affermando che "Polibio non può intendersi senza la speculazione filosofica del suo tempo. Innanzi tutto, la speculazione pitagorica: egli si connette, per il problema della crisi della vita matrimoniale ellenica, ad Ocello lucano...sarebbe erroneo pensare che Polibio derivasse esclusivamente da Panezio, lo stoico amico di Scipione Emiliano, la sua interpretazione della costituzione romana e della vicenda per cui le grandi città nascono e muoiono. Si può dire che quelle dottrine si respiravano nell'aria. Nell'incontro fra Roma, la dominante, e la decadente grecità, il problema storico aveva un duplice aspetto: da una parte, la potenza dei Romani, dall'altra la crisi delle città greche. Questo dramma è la vera ragione, e ispirazione, dell'opera di Polibio. In un'accorata pagina delle Storie , egli polemizza, "per quanto ciò conviene alla maniera della storia pragmatica", contro coloro che attribuiscono agli dèi le cause di vicende umane intelligibili razionalmente. Non esclude senz'altro l'intervento degli dèi: è disposto a riconoscere che carestia e peste sono fenomeni di difficile spiegazione, ed attribuisce agli dèi l'irrazionale follia che ha condotto i Macedoni alla rovina. Ma dichiara recisamente che è possibile, viceversa, spiegare in termini razionali la decadenza demografica dei Greci...Le cause della decadenza demografica sono, infatti, secondo Polibio, l'amore delle ricchezze e il fasto che inducono i Greci ad evitare i matrimoni o a limitare le nascite. Questi concetti, che a prima vista sembrano polibiani, sono in realtà un dominio comune della problematica pitagorica, assai diffusa...nell'ambiente degli Scipioni. L'opera di "Ocello lucano" che è un caratteristico prodotto del pitagorismo, databile forse ai primi decenni del II secolo a. C., dà un grande rilievo al problema demografico. L'autore si volge contro "coloro che non si uniscono allo scopo di procreare figli"...Polibio adattò questi concetti a quel disfacimento del mondo greco, ch'egli trattava come storico "pragmatico". Innanzi a lui si svolgeva la vita quotidiana di Roma con le sue matrone virtuose; Polibio  ne esaltava la sobrietà e l'amore per i figli".

Oltre due secoli più tardi Tacito elogerà i costumi delle donne dei Germani in antitesi a quelli oramai corrotti di Roma:"severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris ", i matrimoni là sono una cosa seria e non si potrebbe approvare di più alcuna parte dei loro costumi, afferma all'inizio del XVIII capitolo della Germania . E nel XIX:"Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa ", pochissimi, pur tra gente tanto numerosa, sono gli adultèri, la cui punizione è immediata e affidata ai mariti. Questi a loro volta "singulis uxoribus contenti sunt "[5], si accontentano di una sola moglie e la limitazione delle nascite o l'aborto non sono ammessi:"numerum liberorum finire aut quemquam ex agnatis necare flagitium habetur "[6], limitare il numero dei figli o sopprimerne uno dei successivi al primogenito è considerata un'infamia. Là infatti nessuno si prende gioco dei vizi né corrompere ed essere corrotti è chiamato moda:"nemo enim illic vitia ridet nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur ".

Possiamo notare che come "Ocello lucano intendeva protestare contro la società ellenistica del suo tempo"[7], così Tacito polemizzava con le sfacciate donne romane del suo, suddite e, probabilmente[8], allieve dell'imperatrice Messalina  la quale "facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "[9], volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite. 


Del XXXVII libro rimane solo un frammento topografico.

 

Bologna 1 febbraio 2023 ore 17, 32  giovanni ghiselli

Sempre1318634

 

 NOTE

 




[1]Fellini, Intervista sul cinema , p. 114.

[2]S. Mazzarino, op. cit., II, 1, p. 147.

[3]Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 529.

[4]II volume, I tomo, 127-129

[5]Tacito, Germania , 18.

[6]Tacito,   Germania , 19.

 

 Espressione simile si trova in Historiae  V, 5 a proposito degli Ebrei:"necare quemquam ex agnatis nefas  ", non in un contesto elogiativo questa volta, bensì dicendo che in questo popolo non si prova amore per i familiari ma si tende all'incremento demografico:"Augendae tamen multitudini consulitur ".

 

[7]S. Mazzarino, op. cit, p. 129.

 

[8]Se è vero che, come sostiene Dante, che "la mala condotta/ è la cagion che il mondo ha fatto reo" (Purgatorio , XVI, vv. 103-104). In effetti Giovenale afferma che una donna romana del suo tempo si sarebbe accontentata più facilmente di un occhio che di un maschio solo:"unus Hiberinae vir sufficit? ocius illud/extorquebis, ut haec oculo contenta sit uno", VI, vv. 53-54 a Iberina   basta un maschio solo? Più in fretta otterrai con la forza che si accontenti di un occhio solo.

[9]Tacito, Annales , XI, 26.

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