Non ogni forma di audacia è buona.
Nella stessa monografia di Sallustio citata sopra,
Catone, parlando , in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di
punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli
prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore
delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus:
quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo
vocatur, eo res publica in extremo sita est " (Bellum Catilinae 52, 11), già da tempo
veramente abbiamo perduto la corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le
cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia
nel male coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.
Questa audacia attribuita a Catilina e ai suoi
seguaci è una forma di estremismo. Nella prima Catilinaria Cicerone
attacca il nemico attribuendogli piani e intenti eversivi:"quem ad
finem sese effrenata iactabit audacia?
" (I, 1, 1), fino a quale estremo si lancerà l'estremismo scatenato?
nella Storia di Tucidide si
legge che Pericle alla fine del suo primo discorso ricorda la gloria delle guerre persiane,
vinte dai loro padri con l'intelligenza più che con la fortuna ("gnwvmh/ te plevoni h] tuvch/ ", I, 144, 4) e con l'ardimento più che con la potenza ("tovlmh/
meivzoni h] dunavmei").
In questa affermazione notiamo il prevalere
dell'ardimento dove appare quell'irrazionale che nessun "loico" potrà
mai espellere del tutto dalle vicende umane.
Per osare di mettere a
repentaglio la vita è spesso necessaria la fiducia nell’aiuto degli dèi.
Il X libro di Polibio comprende vari avvenimenti degli anni 210-208.
Interessanti sono i capitoli sul carattere
di Scipione, il futuro Africano, che fu inviato in Spagna, ventiquattrenne
con imperium proconsolare. Questo comandante viene
assimilato al legislatore spartano Licurgo poiché entrambi autorizzarono i
propri atti con l'ispirazione divina. Ma
tutti e due lo fecero nella convinzione che la maggior parte degli uomini non
accetta facilmente le situazioni straordinarie né osa esporsi pericoli senza la fiducia nell'aiuto degli dèi
("oJrw'nte"
eJkavteroi tou;" pollou;" tw'n ajnqrwvpwn ou[te ta; paravdoxa
prosdecomevnou" rJa/divw" ou[te
toi'" deinoi'" tolmw'nta" parabavllesqai cwri;"
th'" ejk tw'n qew'n ejlpivdo"",
X, 2, 10.
Scipione voleva rendere i
soldati più coraggiosi facendo credere che i suoi piani fruissero di
un'ispirazione divina, ma dal racconto
seguente, avverte Polibio, risulterà chiaro che faceva tutto con calcolo e
preveggenza (" e{kasta meta; logismou' kai;
pronoiva" e[pratte", X 2, 13.
L’audacia di Alessandro Magno.
Elogio
leopardiano dell’eroismo difettoso.
Plutarco
racconta che Alessandro sosteneva che la
tuvch avversa poteva essere superata con l’audacia, tovlmh/, e la forza con la virtù: nulla infatti riteneva
imprendibile per chi ha coraggio né sicuro per chi non osa ( oujde;n w[/eto toi'~
qarrou'sin ajnavlwton oujd ojcuro;n toi'~
ajtovlmoi~, Vita, 58, 2).
Nell’osare c’è sempre qualche
cosa di inattuale.
Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno dell’ impotenza, può essere
Plutarco:"Se invece rivivrete
in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento
di diventare maturi e di sfuggire al
fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel
non lasciarvi maturare per dominare e
sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano
quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed
osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di
uomini educati in tal modo non moderno,
ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno
silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo".
Medea che osa ammazzare i propri figli- è una
madre criminale, e Alessandro perpetrò
massacri orrendi, eppure in
entrambi c’è qualche cosa di eroico. L’eroismo dunque non coincide con la
perfezione e talora nemmeno con la grandezza, bensì con l’audacia e con il non
cedere mai.
Lo segnala Leopardi :"Omero ha fatto Achille
infinitamente men bello di quello che poteva farlo...e noi proviamo che ci
piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia
maggior poema ec."( Zibaldone, 2).
"L'eroismo
e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali
erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli
antichi poeti ec. tale era l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al
contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti
sono i loro eroi, ed anche i loro poemi"
(Zibaldone, p.471) .
“La perfezione, infatti, non
consiste in un accumularsi unilaterale di vantaggi, mentre, se ci fossero solo
svantaggi, la vita diventerebbe impossibile. Essa consiste piuttosto nel
reciproco elidersi fino ad annullarsi di vantaggi e svantaggi, e questo nulla
si chiama contentezza”.
.
Antigone non vuole vivere un futuro con Emone.
I versi più citati per identificare la scelta coraggiosa di Antigone sono quelli
della tragedia di Sofocle ( Antigone 904-915)
nei quali la ragazza si rivolge al fratello onorato da lei con la sepoltura
nonostante i divieti del tiranno. Vediamoli insieme con altri attraverso i
quali la sorella dichiara la rinuncia alla propria vita per amore dei suoi
consanguinei morti.
(vv. 891-921)
"
O tomba, o talamo, o dimora/scavata nella terra che mi custodirà per sempre,
dove vado/dai miei cari, un grandissimo numero dei quali/, Persefone ha preso
tra i morti/ tra loro ultima io e di
gran lunga nel più cattivo dei modi/discendo, prima che sia giunta al termine
la mia porzione di vita/ Però, arrivata tra voi, nutro con forza tra le mie
speranze/quella che giungerò cara al padre e gradita a te,/madre, e cara a te,
capo fraterno/ Poiché di mia mano io vi lavai/quando siete caduti e vi composi
e vi offrii/le libagioni funebri; e ora, Polinice, per avere/coperto il tuo
corpo, ricevo tali ricompense/ Eppure io ti ho reso onore
giustamente secondo chi ha senno./Mai infatti se avessi avuto natura di madre
di figli/né se fosse andato in putrefazione il mio sposo morto,/mi sarei
caricata di questa penosa fatica contro la volontà dei cittadini/ In forza di
quale principio dico questo?/ Lo sposo, morto uno, ce ne sarebbe stato un altro
per me,/e un figlio, da un altro uomo, se avessi perduto questo,/ma siccome il
padre e la madre sono racchiusi nell'Ade,/non c'è fratello che possa sbocciare
mai più/.Secondo tale norma certo, io ho onorato sopra tutti
te,/e a Creonte sembrai errare in questo/e osare
spaventosi delitti kai; deina; tolma`n, o capo
fraterno./ Ed ora mi trascina dopo avermi afferrata con le mani/priva di
talamo, di imeneo, senza che abbia ricevuto/destino di nozze di qualsiasi
sorta, né di allattamento di figli,/ma così deserta di amici io la
sventurata/scendo viva nelle fosse dei morti/Per avere trasgredito quale legge
degli dei? " .
Attuale
è ancora il potere di Creonte e Antigone ha usato l’inattuale.
Ora
sentiamo Medea
Kaivtoi tiv pavscw; bouvlomai
gevlwt j ojflei'n-ejcqrou;" meqei'sa ajzhmivou";-tolmhtevon
tavd&" (vv.
1049-1051), ma che cosa mi succede? voglio dare motivo di scherno ai miei
nemici lasciandoli impuniti? Bisogna osare questo.-tolmhtevon: aggettivo verbale di tolmavw,
oso, ho l'ardire (tovlma). Medea proclama la necessità dell'audacia più folle
e criminale.
Il fr.2 D. di Saffo è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo Sul sublime del I secolo d. C. E' forse la poesia più nota di
Saffo poiché è stata tradotta in latino
da Catullo nel carme 51.
Cominciamo con il darne una
traduzione italiana :
" Quello mi sembra pari agli
dei/essere l'uomo che davanti a te/ sta seduto e da vicino ti
ascolta/dolcemente parlare/e sorridere amabilmente, cosa che a me
certo/sconvolge il cuore nel petto:/ appena infatti ti guardo per un momento,
allora non/è possibile più che io dica niente/ma la lingua mi rimane
spezzata,/un fuoco sottile subito corre sotto la pelle,/e con gli occhi non
vedo nulla e mi/rombano le orecchie/e un sudore freddo mi cola addosso, e un
tremore/mi prende tutta, e sono più verde/dell'erba, poco lontana dall'essere
morta/appaio a me stessa/ma bisogna sopportare
tutto poiché...". Se traduciamo pa;n tovlmaton (= attico tolmhtovn) "
tutto si può osare" possiamo trovare in queste ultime parole del frammento
saffico un'anticipazione del tolmhtevon tavd j della Medea di Euripide (v.1051).
Carlo Del Grande il mio docente di greco all’università
diceva che la traduzione osare “ha maggiori probabilità di colpire nel segno” (Formigx, Loffredo, Napoli, 1959, p. 117). Seguo dunque il suo
suggerimento.
Nel Filottete di
Sofocle, il protagonista eponimo della tragedia biasima Odisseo dicendo: “ajll j e[st j ejkeivnw/ pavnta
lektav, panta de;-tolmhtav- 633-634, ma a quello è possibile dire tutto, osare tutto.
Marzullo succeduto a Del Grande osservava che la
struttura ajlla;
pa;n tovlmaton “ha dalla sua la
tradizione, se non anche una imitazione sofoclea”
Il rischio di osare
la propria diversità.
Teognide ,Euripide,
Sofocle, Tucidide, , Ovidio, Tacito, Pascoli, Nietzsche.
Osare l’inattuale, l’illecito, l’inaudito è talvolta
reso necessario e attuale dalla passione, la parte emotiva -qumov~- che prevale
sui propositi razionali-bouleuvmata- come afferma
la Medea di Euripide
“Perché dovrei
procurarmi io stessa mali due
volte tanto
per affliggere il padre con i mali di questi?
No certo, non io : addio propositi!- cairevtw bouleuvmata
ma che cosa mi succede? voglio espormi alla derisione
lasciando i miei nemici impuniti?
Bisogna osare questo; che debolezza
però la mia, tolmhtevon tavd j
anche solo l’ammettere nell'anima parole tenere!
Entrate, figli, in casa. Quello cui non
è lecito assistere al mio sacrificio,
ci pensi lui : la mano io non
me la taglierò (vv. 1046- 1055)
E capisco- kai; manqavnw-
quale abominio sto per compiere,
ma più forte dei miei proponimenti è la passione
qumo;~ de; kreivsswn tw`n ejmw`n
bouleumavtwn-
che è causa dei
mali più grandi per i mortali (vv. 1078-1080).
La consapevolezza kai; manqavnw- dunque non basta a evitare la catastrofe.
Anche la Medea di Ovidio
alla fine della sua Epistula Iasoni dichiara:"Quo feret ira sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII, 211), andrò dove mi
porterà la collera. Forse mi pentirò del misfatto.
Teognide
stabiliva una graduatoria tra qumov" e novo" affermando che quello la cui mente non è più forte
della passione (w'/tini
mh; qumou' krevsswn novo") , si
trova sempre nelle disgrazie e in gravi difficoltà (Silloge, vv.
631-632).
Messalina
Messalina, l'imperatrice moglie di Claudio, oramai
volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a
dissolutezze inaudite secondo Tacito
:"iam facilitate adulteriorum in
fastidium versa ad incognitas libidines profluebat ".
L'incognita ed estrema libido di Messalina fu quella di
osare prendere come marito l'amante Silio, e non a Claudio morto. L'uomo la
incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis
subsidium ab audacia petendum ", negli scandali scoppiati
bisogna chiedere soccorso all'audacia.
Questa moglie di Claudio è stata "consegnata ai posteri da
Giovenale (6, 115-132) come prostituta di fatto (meretrix Augusta).
Dalle fonti è ritratta, pressoché unanimemente, come massima esponente al
femminile dei tria vitia tirannici (Questa 1995): avaritia, saevitia
e libido, avidità di denaro, crudeltà, ed eccessi sessuali. Perde la
vita quando si vota alla trasgressione suprema, cioè quando vuole sposarsi con
C. Silio, descritto come il più bell'uomo della Roma del tempo, appartenente a
un circolo aristocratico ostile all'imperatore, mentre è ancora la moglie di
Claudio".
Non sempre l'osare è inconciliabile con il calcolare.
Sentiamo Tucidide sul rapporto osare tolma`n-calcolare ejklogivzesqai-
Tucidide
II, 40, 3.
Difatti ci distinguiamo diaferovntwς e[comen anche in questo: che
siamo gli stessi a osare tolma`n e a fare calcoli ejklogivzesqai molto
precisi sulle azioni che vogliamo intraprendere; riguardo a questo argomento l’ignoranza negli altri provoca temerarietà,
il calcolo esitazione. Ma fortissimi d’animo a buon diritto si devono giudicare
quelli che conoscono assai lucidamente gli aspetti terribili e quelli
piacevoli, né per questo si tirano
indietro dai pericoli
L’affermazione della propria diversità è un osare
che comporta spesso dei rischi. Molti non osano manifestare l’originalità di
cui sono dotati.
Pericle manifesta l’orgoglio dell’essere
diversi.
Similmente Antigone cui Creonte domanda :"E tu non ti vergogni se
la pensi in maniera diversa da questi?-tw`nde cwri;~ eij fronei`";- E la ragazza risponde: “No
perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere”.
“Ma ecco, non bisogna essere
come gli altri”. suggerisce Alioscia Karamazov allo studente Kolia.
“Continuate, dunque, a essere diverso dagli altri; anche se doveste rimanere solo, continuate lo
stesso”.
Nel capitolo 5 Kolia aveva
detto: “le lingue classiche come si insegnano da noi sono pura follia. (…) Le
lingue classiche, se volete che vi dica tutta la mia opinione, non sono che una
misura di polizia, ecco l’unica ragione del loro insegnamento. Esse sono state
introdotte nell’insegnamento per rintuzzare e spegnere ogni potere
dell’intelligenza”.
Concordo che l’insegnamento
del greco e del latino non deve fermarsi ai tecnicismi delle lingue. Grammatica,
sintassi e metrica sono necessarie ma non ci si deve fermare lì. L’ho sempre detto e fatto contro la
maggioranza dei colleghi per diversi anni.
Lo scrisse anche Giovanni
Pascoli nel 1893
"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso
rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente,
soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la
linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica
si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia.
Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio,
Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e
costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio".
Inoltre: "I più volenterosi si
svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno
ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso".
Quando iniziai a sostenerlo osando
dire che i testi e gli autori andavano commentati confrontandoli tra loro, con la storia, con la storia dell'arte, e con
la filosofia, mi furono mandati contro due ispettori in due anni. Però
la moda della polizia mentale attraverso i tecnicismi fine a se stessi stava
cambiando e gli inquisitori non solo mi assolsero ma mi elogiarono e mi favorirono. In questo
caso osare fu cosa buona per me.
"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi
stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non
permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero. Essa richiede una
certa temerità e un certo azzardo (…) E' così provinciale obbligarsi a delle
opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già cessano di obbligare. Oriente
e Occidente sono tratti di gesso che qualcuno disegna davanti ai nostri occhi
per beffarsi della nostra pavidità ( …) Al
mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può fare: dove porta? Non
domandare, seguila".
Bologna 25 febbraio 2023 ore 17, 44 giovanni ghiselli
Sempre1327236
Oggi204
Ieri269
Questo mese8833
Il mese scorso11301
Lucano scrive che Alessandro, venuto dalle spelonche
della Macedonia, disprezzò Atene vinta dal padre, e si precipitò tra i popoli
d'Asia humana cum strage (Pharsalia, X , 31)
F. Dostoevskij, I
fratelli Karamazov, Parte quarta,
libro X, capitolo 6 . Cito spesso questo
romanzo, quasi tante volte quante l’Odissea,
o quasi. Mi conforta in questa scelta l’amico Piero Boitani: “Per il mio
compleanno, sul finire di quell’anno 1’anno 1968…mi feci regalare da una coppia
di amici l’Odissea greca
nell’edizione oxoniense dell’Allen: la conservo ancora, naturalmente, con il
loro biglietto di auguri per segnalibro. Da allora, e per almeno dieci anni, ho
riletto il poema, nell’originale e in traduzione italiana o inglese, ogni anno:
insieme ai Fratelli Karamazov, era il
mio libro-e lo è rimasto” (P. Boitani, L’ombra
di Ulisse, p. 45).
A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del
latino nella scuola del 2000. Dalla didattica alla didassi, Pàtron,
Bologna, 1999.