mercoledì 4 dicembre 2024

Nerone VII. I primi passi dell’imperatore diciassettenne nel 54 e la riforma monetaria del 64.


Torniamo a Svetonio e al 54. Appena eletto imperatore,  Nerone affidò alla madre summam omnium rerum privatarum publicarumque (9), il supremo comando di tutti gli uffici pubblici e privati  anzi al tribuno di guardia diede la parola d’ordine “optimam matrem”.

Comunque abolì o ridusse graviora vectigalia (10). Ridusse a un quarto i premi che si davano ai delatori dei trasgressori della legge Papia.

Sovvenzionò senatori impoveriti, e, se veniva invitato a firmare una condanna a morte, esclamava: “quam vellem nescire litteras!” (Svetonio, 10).

 

Quel giovane che fu d’animo eroico nella virtù (come sogliono essere tutti quelli che nascono con grande e forte immaginazione e sentimento), se per forza dell’esperienza delle sventure, degli esempi, disingannato dalla virtù arriva a lasciarla, diviene eroico nel vizio, e capace di molti maggiori errori che non sono gli altri…In tutte le cose gli eccessi si toccano assai più fra loro, che col loro mezzo, e l’uomo eccessivo in qualunque cosa, è molto più inclinato e proclive all’eccesso contrario che al mezzo” (Leopardi, Zibaldone, 1473).

 

A Nerone piaceva declamare in pubblico, anche recitare i suoi versi.  Andava pazzo per gli spettacoli : naumachie, la danza pirrica (purrich; o[rchsi~) ossia la danza guerresca eseguite da efebi. Fece anche montare da un toro una Pasife chiusa in una giovenca foggiata in legno. Un Icaro precipitò vicino a Nerone e lo spruzzò del suo sangue.

 

 

La riforma monetaria neroniana che danneggia i possessori dell’oro. Questi gliela faranno pagare.

 

La riforma monetaria (64 d. C.)

“Il Satyricon di Petronio è il romanzo dei liberti scritto da un senatore.

 La nuova società, nonostante le esagerazioni senatorie di Nerone fino al 62, e le esagerazioni antisenatorie dello stesso Nerone dal 64 in poi, si doveva fondare sulla morte dell’economia parassitica, sull’incremento di una solida economia monetaria. E la sua moneta era il denarius neroniano…Il denarius, cioè la moneta della piccola e della media borghesia: Nerone aveva fatto una riforma che avvantaggiava lo stato, ma che con lo stato avvantaggiava le nuove classi sociali economicamente più povere ma più attive. L’imperatore ultrasenatorio di un tempo avallava ora la fine del luxus parasitico dei detentori d’oro ” (S. Mazzarino, L'impero romano, 1, pp.  pp. 223- 224).

 

“Molto oro scorreva verso l’esterno, in particolare verso l’India, da cui si importavano le spezie, i profumi e le pietre preziose, e verso l’Arabia, ove si acquistavano enormi quantità d’incenso…L’oro romano rappresentava per l’Arabia il petrolio dell’antichità” (Cizek, p. 270).

 

Questa moneta (denarius, d’argento in uso dal III sec. a. C.) e chi la possedeva erano stati avvantaggiati da Nerone rispetto all’ aureus e ai suoi possessori. “giacché il rapporto AU : ARG era cambiato a favore dei detentori di moneta d’argento” (p. 223).

 Prima della riforma ci volevano 25 denarii di 3, 70 grammi per un aureus di 7,70 grammi; dopo la riforma, 25 di 3, 25 grammi compravano un pezzo d’oro di 7, 30 grammi.

Plinio dichiara che il pondus imminūtum  durante la I guerra punica ha condotto a un lucrum della res publica e a una dissolutio dell’aes alienum: “res publica lucrata est” (N. H., XXX, 3, 44-45), Però a IX, 132 dichiara che era iustum il pondus del denarius anteriore al 64.[1].

“Nerone aveva aiutato i soldati e la piccola borghesia industriale italiana detentrice di denarii; infatti il soldo delle truppe era pagato in denarii (anche se conteggiato in aurei), e il denario era moneta borghese. I senatori, e in genere gli uomini del grande capitale, quando ebbero visto una tale difesa dell’argento a tutto svantaggio dell’oro, si erano sentiti confermati nell’opposizione contro Nerone, ed avevano rovesciato…a soli quattro anni di distanza dalla riforma, l’imperatore della piccola borghesia. Ma la politica sociale di Nerone-proprio la politica degli ultimi anni del “cattivo” imperatore-aveva, per questa parte, ragione; la difesa del denario  contro l’aureo, cioè dei soldati e della borghesia contro il luxus nobiliare, era così rispondente alla nuova realtà storica, che proprio la borghesia venne al potere in seguito alla caduta di Nerone, e fu senz’altro rappresentata dai Flavii. Non solo: ma la stabilità della riforma neroniana per più che 130 anni, dimostra che quella riforma monetaria era quanto mai vitale e rispondente alle esigenze dell’impero…Tutto ciò implicava la necessità di assicurare da una parte un notevole rifornimento di oro, in maniera che la riforma neroniana, consistente nella vittoria del denarius sull’aureus, ricevesse stabilità e giustificazione economica dall’aumento dell’oro disponibile nello stato romano. In corrispondenza, bisognava conquistare regioni particolarmente ricche d’oro, come la Dacia; e d’altra parte, bisognava consolidare il limes coi Parti…Traiano ha tentato una soluzione coerente, e certo la più audace che l’impero romano abbia mai concepito.

Non aveva osservato lo storico senatoriale Tacito, in uno scritto (la Germania) pubblicato nel 98, che i Germani tendevano a rifiutare il denarius neroniano di poco più che tre grammi d’argento (pecuniam probant veterem et diu notam )?  Questo commercio con i Germani…era soprattutto-lo notava Tacito stesso-commercio di piccole cose, promiscua ac vilia[2] ; dunque, commercio in denarii piuttosto che in aurei, commercio fondato sull’argento più che sull’oro; esso, era, insomma, una continua minaccia per la stabilità della moneta argentea neroniana, in quanto richiamava alla coscienza del commerciante romano l’effettiva inferiorità del valore intrinseco del denarius neroniano rispetto a quel suo valore nominale…Ancora una volta: solo un aumento della riserva d’oro poteva giustificare il rapporto riconosciuto nello stato romano fra l’aureus e il denarius, rapporto per cui si poteva cambiare un aureus (gr. 7, 24 d’oro) con appena 25 monete d’argento di g. 3, 40 (e di lega non molto buona, che poi Traiano avrebbe ancora peggiorato riducendo il titolo del denarius all’88-78% di argento). In altri termini (è necessario insistere su questo punto, giacché esso è la misura di tutta la congiuntura economica da Nerone a Commodo, e vuol essere un leit-motiv di questo libro): la borghesia italiana aveva ottenuto nel 64 d. C. una vittoria rivoluzionaria sul luxus del grande capitale, in quanto era riuscita a far trionfare la sua moneta (la moneta dei commerci promiscua ac vilia, secondo la citata espressione di Tacito) nei confronti del senato; sì che aveva abbassato il rapporto AU: AR da poco più che 12, 50: 1, com’era nell’epoca giulio-claudia fino al 65, a poco più di 10, 50:  (considerando il peggioramento della lega sotto Nerone; con l’ultimo peggioramento sotto Traiano, il rapporto sarà ancor più favorevole al denario, e potrà calcolarsi intorno a 10: 1, e anche meno). Ma una tale vittoria della borghesia (e dei promiscua ac vilia commercia) sul grande capitale (e sui commercia di luxus) poteva mantenersi soltanto se l’aumento dei giacimenti auriferi avesse effettivamente significato una diminuzione di prezzo dell’oro; questo motivo, accanto a considerazioni di carattere militare e di spiriti cesariani, rendeva particolarmente utile la conquista della Dacia [3].

Tacito scrive: Pecuniam probant veterem et diu notam, serratos bigatosque, monete dentellate e con le bighe, argentum quoque magis quam aurum sequuntur, nulla adfectione animi sed quia numerus argenteorum facilior usui est promiscua ac vilia mercantibus (Germania, 5, 3), cercano l’argento più dell’oro, non per una particolare predilezione ma perché il numero delle monete d’argento è più facile all’uso per chi commercia articoli ordinari e di poco prezzo.

Traiano sconfisse Decebalo in due campagne tra il 101 e il 106 e ridusse la Dacia (attuale Romania) a provincia. La Colonna Traiana, a Roma, documenta l’impresa.

 

Bologna 4 novembre 2024 ore 16, 25 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] L’impero romano, I, 223.

[2] Germania, 5, 3, ordinarie e di poco prezzo. Ndr

[3] S. Mazzarino, L'impero romano, 2, pp. 293-297.

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