Bettini: la citazione antologizza il classico fino alla carne viva.
Fellini, Seneca, Leopardi e Carlyle.
Manzoni: l’utile, il vero e l’interessante. La bellezza eleva anche la virtù. Dobbiamo scegliere testi che piacciano prima di tutto a noi.
Borges: non ho insegnato la letteratura inglese ma l’amore per certe frasi. Tolstoj. Luperini e la scelta libera dei testi. La Mastrocola e il piacere della condivisione. Alfieri aveva la testa “antigeometrica” e, invece, “genio per le cose drammatiche”. Nietzsche e l’arte che anestetizza il dolore. Proust: il lavoro dell’artista è un rivelamento di noi stessi.
Vanno segnalate, possibilmente citate a memoria, le frasi belle che sono la luce del pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo la sfera emotiva, si presta a essere ricordata. Citare non è saccheggiare: “Agli occhi dell’artista un pensiero in quanto tale non avrà mai un gran valore di proprietà. A lui importa che possa funzionare nell’ingranaggio spirituale dell’opera”[1].
“Esiste comunque un metodo sicuro, e soprattutto molto rapido, per rendere sfizioso qualsiasi classico: quello della citazione. La citazione infatti antologizza il classico fino alla carne viva, gli attribuisce una tale misura minimale che a questo punto la sfiziosità è comunque garantita. Questo spiega perché, negli ultimi tempi, le raccolte di citazioni si sono moltiplicate (mettendo inaspettatamente in buona compagnia la gloriosa Ape Latina di Fumagalli) : tanto che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, le grandi librerie dispongono addirittura di un apposito settore in cui sono allineati i libri di citazioni di ogni possibile letteratura. Il fatto è che, nella citazione, il classico diventa talmente piccolo da poter entrare persino in una “battuta”.[2]”
Naturalmente le citaziono non devono costituire un coacervo, ma formare un amalgama.
Sentiamo ancora Fellini: "Il bello sarebbe meno ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che dà un'emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione dal carcere culturale"[3].
Un'idea simile si trova in una epistola di Seneca:"advocatum ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente proficiunt…erigitur virtus cum tacta est et inpulsa" (94, 28 e 29), queste parole belle[4] non hanno bisogno di un difensore: toccano direttamente la parte emotiva e giovano grazie alla natura che esercita la sua forza…la virtù si drizza quando viene toccata e stimolata.
Leopardi: “Qual altro è il proprio uffizio e scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma sempre commuover gli affetti…Bello effetto[5] di un dramma, di una rappresentazione, di una poesia; lasciare di sé tal vestigio negli animi degli spettatori o uditori o lettori, come s’e’ non l’avessero né veduta né letta. Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi equestre, e che so io, i quali pur lasciano nell’animo alcuna orma di maraviglia o di diletto o d’altro”[6].
“Da questo punto di vista, anche una frase di Goethe, tra le altre, che ha molto stupito parecchi, può avere un significato: “Il Bello-egli dichiara-è più alto del Bene; il Bello avvolge in sé il Bene”. Il vero Bello, come del resto ho detto altrove, “differisce dal falso come il cielo differisce dall’inferno”[7].
“Il nobile favorisce la bellezza dell’uomo, l’uomo comune la bruttezza”[8].
La bellezza dunque è spesso morale, eleva anche la virtù, e comunque, quale strumento didattico, serve a catturare l'attenzione degli studenti, degli ascoltatori in genere; senza l'attenzione di chi ascolta, il lovgo" di chi parla si degrada a un verso di papero.
L'attenzione si ottiene con racconti interessanti, quindi belli, e non inutili. Lo dichiarano Tucidide e Polibio nelle loro Storie, e pure Manzoni nella Lettera a Cesare d'Azeglio[9]:"Il principio di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo".
I testi che scegliamo devono piacere innanzitutto a noi. Se non piacciono a noi tanto meno piaceranno a quanti li racconteremo
A questo proposito sentiamo J. L. Borges : "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[10].
Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[11].
“Non si può fare leggere dei testi solo per obbedire a una costrizione e cioè perché sono imposti da un programma o da un canone; l’insegnante deve invece mostrare, agendo all’interno della comunità ermeneutica della classe, che tali testi sono letti perché hanno un significato e un valore per noi…Né si può escludere a priori che un insegnante e la sua classe arrivino a conclusioni opposte rispetto ai presupposti iniziali, e cioè alla presa d’atto che un determinato testo o autore non abbia oggi un particolare valore e un significato e che sia perciò giusto leggere altre opere o altri autori”[12].
“Una cosa ti piace? Bene, la condividi. Io direi che esattamente questo è insegnare, niente di più: il piacere immenso della condivisione”[13].
Credo pure che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che ciascuno studi tutte le discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per le quali è portato.
Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti-geometrica” ( Vita, 2, 4).
Il maestro deve aiutare il discepolo a scoprire i suoi talenti e incoraggiarlo a farli fruttare: “Mi capitarono anche allora[14] varie commedie del Goldoni, e queste me le prestava il maestro stesso; e mi divertivano molto. Ma il genio per le cose drammatiche, di cui forse il germe era in me, si venne tosto a ricoprire o ad estinguersi in me, per mancanza di pascolo, d’incoraggiamento, e d’ogni altra cosa. E, somma fatta, la ignoranza mia e di chi mi educava, e la trascuraggine di tutti in ogni cosa non potea andar più oltre (Vita, 2, 4).
L'educatore deve essere un poco come l'artista e stimolare il pensiero: "Ogni parola, espressa da un talento artistico, si tratta di Goethe o di Fed'ka, si differenzia dall'espressione non artistica per il fatto che essa suscita una quantità innumerevole di pensieri, di immagini e di interpretazioni"[15].
"L'arte deve far brillare ciò che è significativo di fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[16].
L'arte deve riscattare, estetizzare e anestetizzare l'atroce e l'assurdo della vita, salvare l'uomo terrorizzato o disgustato dal pericolo della paralisi:" Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come una maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l'atrocità o l'assurdità dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell'atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l'assurdo"[17].
“Questo lavoro dell’artista, vòlto a cercar di scorgere sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto certe parole, qualcos’altro, è esattamente inverso a quello che, in ogni istante, allorché viviamo stornati da noi stessi, l’orgoglio, la passione, l’intelligenza, e anche l’abitudine, compiono in noi, ammassando sopra le nostre genuine impressioni, per nascondercele, le nomenclature, gli scopi pratici, cui diamo erroneamente il nome di “vita”. Insomma, quest’arte così complessa è davvero la sola arte viva”[18].
Bologna 30 dicembre 2024 ore 17, 12 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] T. Mann, Doctor Faustus, p. 731.
[2] M.Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 66.
[3] F. Fellini, Intervista sul cinema, a cura di G. Grazzini, p. 114.
[4] Ha citato una sentenza di Publilio Siro e un emisticho dell'Eneide (X, 284).
[5] E’ ironico ndr.
[6] Leopardi, Zibaldone, 3455-3456.
[7] T. Carlyle, Gli eroi (del 1841), p. 117.
[8] K. Jaspers cita Confucio in I grandi filosofi, p. 255.
[9] Del 1823.
[10] Dall'articolo di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole-24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.
[11] Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola? , p. 116.
[12] R: Luperini, Insegnare la letteratura oggi, p. 98.
[13] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 50.
[14] Nel 1760, quando il ragazzino, nato nel 1749 aveva undici anni ndr.
[15] Tolstoj, I ragazzi di campagna devono imparare da noi (del 1862), in Quale scuola? , p. 126.
[16] F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, p. 64.
[17] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 7.
[18] M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 228.
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