Metodologia 62. La bellezza. Il superamento della sapienza silenica attraverso l’arte.
La nascita della tragedia di Nietzsche. La dichiarazione d’amore di Euripide alle Grazie e alle Muse. Vivere nella bellezza o nella bellezza morire: la vita bella o la bella morte. Aiace. Il Gimnosofista di Plutarco. Cleopatra di Plutarco (Vita di Antonio), di Shakespeare (Antonio e Cleopatra) e di Orazio (Ode, I, 37). Antigone (vv. 96-97), Neottolemo del Filottete di Sofocle (vv. 94-95) e Polissena dell’Ecuba di Euripide (v. 378). L’eroismo. Secondo il poeta la vita è giustificata dalla luce della bellezza, secondo l’eroe dal premio della gloria dovuto a chi primeggia. Achille e Quinto Metello. La vita eroica degli uomini e delle donne aspira alla gloria: Alcesti.
Non bisogna trascurare la componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre anche per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l'orrore del caos e rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita, attraverso la giustificazione estetica dell'esistenza umana, creata dall’arte: "Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L'enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l'avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz'altro immaginarlo così, che dall'originario ordinamento divino titanico del terrore fu sviluppato attraverso quell'impulso apollineo di bellezza, in lenti passaggi, l'ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le rose spuntano da spinosi cespugli… Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie[1], per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[2]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[3].
“ Si tratta di un ideale greco, che sembrerebbe a tutta prima aver poco a che fare con l’Antico e il Nuovo Testamento. Tuttavia, la bellezza si era insinuata nella Bibbia ebraica non appena questa era stata trasportata in greco: laddove la Genesi originale proclamava che Dio vide la luce poi ogni parte della Creazione essere cosa buona (tob), i Settanta traducevano “bella” (kalovn)”[4].
La giustificazione della vita attraverso la poesia si coglie in questa dichiarazione d'amore che Euripide, nell'Eracle[5], attraverso "il cantuccio" del coro, rivolge a Grazie e Muse le quali allattano[6] i poeti con i succhi della bellezza :"non cesserò mai di unire/le Grazie alle Muse,/dolcissima unione./Che io non viva senza la Poesia/ma sia sempre tra le corone./Ancora vecchio l'aedo /fa risuonare la Memoria"(vv.673-679).
La bellezza, lo stile bello e fine, dunque giustificano e autorizzano la vita, e la loro mancanza tolgono la volontà di vivere.
Questo afferma nell'Aiace di Sofocle il Telamonio prima di suicidarsi per non sopravvivere alla degradazione :"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve vivere con stile, o con stile morire. (vv.479-480). Quando si vive fuori dal bello insomma la morte può essere una liberazione. E’ quanto afferma anche il quarto dei Gimnosofisti indiani cui Alessandro Magno aveva fatto domandare perché avesse indotto Sabba alla rivolta: “ajpekrivnato kalw'~ zh'n boulovmeno~ aujto;n h] kalw'~ ajpoqanei'n”[7], volendo, rispose, che quello nobilmente vivesse o nobilmente morisse.
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , replica : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Lo stesso Orazio che pure esulta per la sconfitta e la morte della nemica del suo augusto committente, deve riconoscere il coraggio di questa donna nelle tre strofe[8] conclusive dell'Ode I, 37: " Fatale monstrum: quae generosius/perire quarens nec muliebriter/expavit ensem nec latentis classe cita reparavit oras,/ Ausa et iacentem visere regiam/vultu sereno, fortis, et aspera/tractare serpentes, ut atrum/corpore combiberet venenum,// Deliberata morte, ferocior:/saevis Liburnis scilicet invidens/privata deduci superbo,/non humilis mulier, triumpho" (vv. 25-32), il mostro del destino; ella che cercando una morte più nobile, non ebbe, da donna, paura della spada, né con la flotta veloce cercò in cambio lidi nascosti, osando anzi osservare la reggia prostrata con sguardo sereno, e con coraggio, maneggiare i serpenti feroci, per bere il nero veleno con il corpo, più fiera dopo avere deciso la morte: rifiutando evidentemente alle crudeli imbarcazioni liburniche di essere trascinata, come una qualunque, dietro al superbo trionfo, lei donna non ordinaria.
L'aspirazione a una vita egregia dunque fa parte del carattere nobile degli uomini e delle donne. Antigone non cede alle obiezione dettate dal buon senso di Ismene, anzi replica :" io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nella bellezza" (w{ste mh; ouj kalw'" qanei'n, Antigone, vv. 96-97).
Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, svaluta il sumfevron (utile) e apprezza il kalovn (bello, e bello morale) contrapponendosi al subdolo Odisseo del Filottete :" bouvlomai d' , a[nax, kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.
Pasolini intervistato da Enzo Biagi in una trasmissione televisione (del 1971) con la classe frequentata al Galvani (c’erano SergioTelmon, Agostino Bignardi e altri compagni di scuola)
Disse che successo non è un bene, anzi è l’altra faccia della persecuzione:
"Ecco che cos'è il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e finisce col trasformarti veramente"[9].
L'ambiguo splendore del successo in effetti non poche volte provoca l' acciecamento.
La principessa troiana Polissena nella tragedia Ecuba di Euripide dice alla madre: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio morire c: "h] zw`n: to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno"" (v.378), che vivere: infatti vivere senza bellezza è un grande tormento.
La volontà di vita viene motivata e intensificata non solo dalla bellezza ma anche dall'eroismo che dà gloria, e, se Achille da morto vorrebbe essere vivo, pure a costo di essere un servo di campagna (ejpavrouro", Odissea, XI, 489) al soldo di un indigente, poiché la vita è il valore più alto, durante la vita aveva recepito l'insegnamento che gli eroi davano ai figli: "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"[10], primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri.
Abbiamo già detto ( cap. 53) che Peleo auspica due primati per il figlio: innanzitutto quello nella parola, poi quello nell'azione. L’eroe in cambio del rischio che corre vuole onore in vita e gloria immortale.
Vediamone una ricaduta latina dove però è l'azione che precede la parola: Quinto Metello nella laudatio funebris tenuta nel 221 a. C. in memoria del padre Lucio mette in evidenza le dieci qualità più grandi e più belle del morto; ebbene le prime due ricordate sono che Lucio Metello fu primarium bellatorem e optimum oratorem, combattente di prim'ordine e ottimo oratore. Il testo scritto ci è stato tramandato da Plinio il Vecchio[11] nella Naturalis historia ( VII, 139).
Se una vita felice è impossibile non lo è quella eroica : “Una vita felice è impossibile: il massimo che l’uomo può raggiungere è una vita eroica. Conduce questa vita colui che, in una maniera o per un motivo qualsiasi, combatte per ciò che in qualche modo giova a tutti, contro le più grandi difficoltà e alla fine vince, ma nel fare ciò è male ricompensato, o niente affatto”[12].
La Vita eroica tende alla gloria.
Nel Simposio Platone fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").
In effetti il coro dell'Alcesti di Euripide elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole. Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290), poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292).
“Alcesti è “fida” come lo sono in battaglia i compagni pronti a morire per il capo. La scala dei valori è quella eroica della tradizione aristocratica”[13]
Il modello dell'uomo eroico avido di primato e di gloria pervade tutta la cultura greca e il prototipo è Achille. Alessandro Magno lo ha imitato e venerato. Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la filautiva". L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che séguita con questo brano: "Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti"[14]. L'autore di Paideia conclude così: "In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"[15].
Bologna 29 dicembre 2024 ore 10, 42 giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Iliade, VI, 146:"oi[h per fuvllwn genehv, toivh de; kai; ajndrw'n", proprio quale la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. (n. d. r.)
[2] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491. (n. d. r.)
[3] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3.
[4] Piero Boitani, Il Vangelo Secondo Shakespeare, p. 160.
[5] Composta intorno al 415 a. C.
[6] Cfr. Dante, Purgatorio, XXII, 101-103. Virgilio dice dei poeti . “siam, con quel greco/che le Muse lattar più ch’altro mai,/nel primo cinghio del carcere cieco”. Quel greco è Omero.
[7] Plutarco, Vita di Alessandro, 64, 6.
[8] Alcaiche
[9] P. P. Pasolini, , dai “Dialoghi con Pasolini” su “Vie Nuove” (1960) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 910.
[10] Iliade, VI, 208,
[11] 24-79 d. C.
[12] F. Niietzsche, Schopenhauer come educatore, III inattuale, del 1874, capitolo 4.
[13] G. Aurelio Privitera R. Pretagostini, Storia e forme della letteratura greca, p. 297.
[14]IX, 8, 1169 a 18 sgg.
[15]Paideia , I vol., pp. 46 e 47.
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