Come si deve studiare e insegnare? Omero e certa filologia considerata deretana da Seneca. Timone di Fliunte[1] derideva il lavoro di Zenodoto. Nietzsche: “nella filologia mancano i grandi pensieri”. Sotto la ruota di H. Hesse: l’Odissea letta come un libro di cucina.
Tutto è problematico. Per noi che studiamo e insegniamo, un problema di fondo è: come si deve studiare e come trasmettere ai giovani quanto abbiamo imparato?
Seneca mostra di non apprezzare la questione omerica e l'attività filologica di Aristarco: “quantum temporis inter Orphea intersit et Homerum, cum fastos non habeam, computabo? Et Aristarchi notas quibus aliena carmina compunxit recognoscam, et aetatem in syllabis conteram? adeo mihi praeceptum illud salutare excidit: “tempori parce”?... Haec sciam? Et quid ignorem?”” (Ep. 88, 39), conterò quanto tempo ci corra tra Orfeo e Omero pur essendo privo di documenti? Ed esaminerò i segni diacritici di Aristarco con cui egli infilzò i versi interpolati e consumerò la vita a contare le sillabe?... davvero mi è sfuggito quel sano precetto: risparmia il tempo? Dovrei sapere queste pedanterie? E che cosa ignorare?
Non è questo, almeno non solo questo, né soprattutto questo, lo studio del greco. Chi legge il greco meschinamente vive e pensa con mente meschina
“Diceva Seneca nella medesima lettera a Lucilio: tempori parce, “abbi pietà del tempo!”. Non si pensa mai che il tempo sia una creatura viva e possa soffrire: il tempo subisce ogni giorno un’incredibile quantità di vessazioni informative…Qualcuno dovrebbe decidersi a scrivere un trattato Sulla dieta informativa. Siamo sommersi di notizie, servizi, scoop, di valore e significato assolutamente disuguale ma tutti da consumare in quantità pantagruelica: la tale attrice ha il seno rifatto, no anche le labbra….”[2].
Lo studio del greco ha bisogno di tempo. Chi vuole studiare il greco sul serio, e vuole pure vivere in modo significativo, non ha tempo da perdere in azioni e con persone insignificanti. Sul tempo richiesto dal greco sentiamo Leopardi: “E come le scienze non hanno limiti conosciuti né forse arrivabili, e nessuno si può vantare di possederle intere; così appunto accade della lingua greca, la cognizione della quale sempre si estende, né si può conoscere se e quando arriverà al non plus ultra, né basta l’avere spesa tutta la vita in questo studio, per potersi vantare di essere un grecista perfetto (Firenze, 20 Settembre, 1827)”[3].
La derisione dei lavori filologici dei dotti alessandrini è più antica di Seneca. Come abbiamo anticipato precedentemente (46) “Timone di Fliunte derideva il lavoro di Zenodoto[4] su Omero, e raccomandava ad Arato, il poeta dei Fenomeni di adoperare “le vecchie copie” di Omero, non quelle “ormai corrette” (Diogene Laerzio, IX 113)”[5].
Sentiamo Nietzsche: “Nella filologia mancano grandi pensieri, e per questo nello studio universitario non vi è sufficiente slancio. I lavoratori sono diventati operai di fabbrica. Perdono d’occhio il funzionamento del tutto. E’ ora di trovare i criteri giusti per valutare gli scritti dell’antichità classica e di buttare via la zavorra inutile. I nostri filologi devono imparare a giudicare più in grande e, invece di starsene a litigare sui singoli passi, dedicarsi alle grandi considerazioni filosofiche. Se si vogliono avere risposte nuove bisogna saper porre domande nuove…Le leggi della storia letteraria devono essere trovate per comparazione[6].
Tutto è problematico dunque: i testi degli ottimi autori greci e latini abituano a pensare e non possono essere ridotti a raccolte di formule o di ricette:“ ‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono beffardo, ‘come se l’Odissea fosse un libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati e rimasticati parola per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di ogni lezione ci dicono: vedete come il poeta ha saputo esprimere questo? Avete potuto intuire il mistero della creazione poetica! Così ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli ingoiare senza restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ”[7]
Bologna 25 dicembre 2024 ore 18, 52 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. 46
[2] M. Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 5.
[3] Zibaldone, 4292.
[4] Attivo nel primo quarto del III secolo a. C., curò edizioni di Omero e dei lirici. E’ il primo (in ordine di tempo) dei “grandi” della filologia alessandrina. Gli altri sono: Callimaco, Eratostene, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia. Ad Alessandria l’organizzazione del sapere e della ricerca era di stampo aristotelico e la concezione della lingua era analogistica, ossia considerava la lingua un fatto razionale basato su norme e regole individuabili. La teoria anomalistica dei filologi di Pergamo invece sosteneva l’irregolarità del linguaggio inteso come fatto naturale. Inoltre i Pergameni proponevano l’interpretazione allegorica dei testi omerici , mentre Aristarco asseriva che si doveva spiegare Omero con Omero ( " {Omhron ejx JOmhvrou safhnivzein", cfr. Schol. B a Z 201) (ndr). Il “grande” della filologia pergamena è Cratete di Mallo che operava nel solco della tradizione stoica, in opposizione ad Alessandria “ Un’altra differenza imortante è data dall’assenza di grandi figure di poeti-filologi come Callimaco e Apollonio Rodio o anche di scienziati filologi come Eratostene: Pergamo fu piuttosto caratterizzata, come abbiamo già visto, dalla figura del filologo-filosofo nel solco della tradizione stoica. In tale cornice Cratete si distinse dal grammatikos alessandrino preferendo per se stesso la definizione di kritikos…e riprese il concetto di anomalia secondo cui nella concezione della lingua, alla ratio della normativa analogica si contrapponeva il più libero sviluppo dettato dalla consuetudo…Panezio di Rodi (185-110 a. C.) ascoltò Cratete a Pergamo, poi andò ad Atene e infine approdò a Roma (dopo il 150), dove entrò nel circolo degli Scipioni ” (F. Montanari, op. cit., pp. 648 sgg).
[5] L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 16.
[6] Appunti filosofici 1867-1869, p. 82.
[7] H. Hesse, Sotto la ruota, del 1906, p. 90.
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