Uscivo dall’aula dove avevo tenuto una lezione bolsa, quasi distratta: mi rodeva l’ingiusta degradazione subita. Rimpiangevo i due presidi gentiluomini dei tre anni precedenti : Davide Ciotti del liceo Rambaldi di Imola e Piero Cazzani del Minghetti che mi incoraggiavano e valorizzavano avendo compreso quanto ardore di studio c’era dentro di me e suscitavo negli studenti delle tre classi che mi erano state affidate.
Il preside sopraggiunto in ottobre mi aveva invece ostacolato fin dal primo giorno, messo su dalla sua vice cui non ero mai piaciuto. Ricordavo con nostalgia anche la vicepreside della scuola media di Carmignano, Antonia Sommacal che mi aveva difeso da un altro preside pregiudizialmente malevolo.
Antonia sarebbe stata una seconda mamma per me, poi sarebbe diventata la mia migliore amica. La gratitudine a chi ci ha fatto del bene non deve morire mai, anzi quel bene va fatto fruttificare e restituito moltiplicato. L’ingratitudine stigmatizza i plebei.
Dall’ottobre del 1978 tutto dunque era cambiato in peggio.
Con l’ottimismo necessario alla sopravvivenza pensai che prima o poi tutto sarebbe cambiato di nuovo: questa volta in meglio.
“Conosci quale ritmo tiene la vita degli uomini” mi dissi, ricordando Archiloco.
L’ottimismo dovuto a me stesso trovò quasi subito una conferma: il cupo edificio lucifugo a un tratto si spalancò e fece entrare la luce del cielo.
Ifigenia aspettava me a metà del corridoio: appena mi vide si mosse per abbracciarmi avanzando con fiammeggiante splendore, al pari di una cometa dalla chioma brillante: i capelli luminosi di gioventù e di bellezza, le spalle già molto abbronzate, il vestito rosso, perfino la borsa e le scarpine azzurre, incorniciavano evidenziando l’amabile sorriso dei denti bianchi come avorio tagliato, le labbra vermiglie come fragole e lamponi di Moena, e tutto il volto dove si incastonavano gli occhi neri che balenavano scintille di gioia e voluttà nel deprimente mortorio di via Nazario Sauro.
Come le fui vicino accostando la mia faccia alla sua, disse: “Gianni, sei bello!”
“Tu sei bella davvero” ribattei- io tutt’ al più sono un lepido moretto.
Tu qua dentro sei un segno del cielo e della fiorita stagione. Ti amo quanto la luce del sole che è il primo fra tutti gli dèi da adorare”.
Dette queste parole diedi un’occhiata all’ambiente che ci attorniava: i docenti uscivano dalle classi con aria stanca, il preside gironzolava arcigno e maligno, i bidelli sgridavano i ragazzi troppo rumorosi che lasciavano cadere sul pavimento pezzetti di pizza o di carta unta. Lì dentro sarei stato annoiato e depresso, magari pure ingrassato, canuto o calvo, deriso e spregiato, e molto malato se non mi avesse illuminato e incielato la luce di Ifigenia.
Questa annunciazione di gioia mi fece dedurre che il prossimo mese di Debrecen non sarebbe bastato a intorbidare lo splendore con cui quella ragazza da mesi mi illuminava la mente e la vita .
Invece quel raggio divino, la luce più bella discesa dal cielo dopo quella di Elena Augusta non riuscì a superare l’estate e si oscurò, si spense ancora prima che calassero invidiose le brume.
Gli amori durati un mese soltanto come quelli con le finniche dagli occhi da Tartare; o solo il tempo di un tripudio noturno, come quello con una collega sposata, conosciuta alla prova scritta di un concorso superato da entrambi; o nemmeno iniziati ma soltanto sognati come l’onirica infatuazione per la ragazzina bruna bruna Marisa nella scuola media Lucio Accio di Pesaro negli ultimi anni Cinquanta, sono questi che lasciano ricordi più belli.
Io amo baciare chi se ne va.
Chi resta mi dà sempre tanta noia, prima o poi. Perché sono fatto male, forse. Tuttavia non ho fatto male. Ognuna se ne è andata via quando e come ha voluto, tutt’altro che ostacolata da me. Per lo più benedette nell’ora dell’addio e per sempre.
Vive o morte che siano ormai.
Bologna 22 dicembe 2024 ore 17, 34 giovanni ghiselli
p. s.
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