Arrivai alla spiaggia di Misano nel primo pomeriggio. Mi diressi al suo ombrellone dove mi aveva detto che mi avrebbe aspettato, ma non la vidi. Una sua conoscente, mentre mi avvicinavo con aria interrogativa, si alzò di scatto dalla sdraia e corse verso la riva. Poco dopo apparve Ifigenia. Correva anche lei e mi si accostò trafelata.
Mi baciò poi disse: “scusami: stavo parlando con un ragazzo. Veramente è un uomo più o meno della tua età, un medico simpatico, biondo. Con lui questa mattina ho fatto un giro in moscone e un po’ di amicizia. Mi ha parlato delle sue amanti e dei loro mariti gabbati. Forse durante la tua assenza uscirò qualche volta con lui tanto per non rimanere sempre rintanata in quella triste casetta”.
Mi venne in mente una frase cruda ma lucida di Cesare Pavese: "Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta"[1].
La scrutavo pensando: “questa che cosa vuole da me? Ingelosirmi, sottomettermi facendomi soffrire?”
Intanto dall’entroterra avanzava un’afa pesante, caliginosa, che cominciava a coprire la spiaggia con un abbraccio schifoso. Anche gli aspetti più belli dell’estate matura ne venivano contaminati e deturpati, perfino le cosce delle fanciulle fiorenti, la cosa mortale più degna del cielo, ne venivano deformate e insozzate: grondavano di goccioline opache e fetide. Sembravano gli schizzi schifosi dell’ empia libidine di un uomo sifilitico eppure irriducibile
Dovevo parlare a quella donna ancipite e volevo farlo lontano da orecchie curiose e pettegole, sicché prendemmo un moscone. Mi diedi a remare con lena muta e rabbiosa finché ci trovammo lontani dalla folla chiassosa dei turisti e fuori dalla nebbia che ormai nascondeva la spiaggia con il suo popolino di villeggianti.
La fatica impiegata con le braccia, che sono la parte meno allenata del mio corpo, mi aveva aiutato a stenebrare l’offuscamento della mente. Capivo che la giovane donna, collega e amante dal fisico appetitoso in sé, e ghiotto assai per molti uomini, aveva fatto calcoli impuri dettati dalla voglia disonesta di rendere malati i miei sentimenti. Colei voleva schiacciarmi sotto l’angoscia plumbea della gelosia parlando in modo talmente ambiguo da lasciarmi dei dubbi sul proprio comportamento sessuale, da mettermi nel cervello l’agente patogeno che mi tenesse legato alla sua persona equivoca con il vincolo delle emozioni cattive. Il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo che mangia[2].
Bologna 27 dicembre 2024 ore 10, 26 giovanni ghiselli
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