Nemmeno io ero del tutto convinto. Avevo dei dubbi sull’ educazione di Ifigenia, sullo stile di lei lontano da quello sublime che proponevo a me stesso. Vero è che Ifigenia era giovane e poteva correggersi.
Il tempo che scopre ogni arcano avrebbe rivelato la donna, giusta o ingiusta che fosse, buona o cattiva.
Quindi passiamo ad altro.
Il 15 maggio era una giornata luminosa ma dentro il cupo liceo l’aria era buia e pesante siccome il vecchio edificio, affacciato su vie strette e circondato da costruzioni oppressive, non lascia entrare ad ampi fiotti la luce bensì la ferma o la riduce a strisce con le sue grosse mura e i vani delle finestre trasformati in feritoie, attraversati da rugginose inferriate, per giunta schermate quasi sempre da tende cupe e voluminose. Inoltre i ragazzi arrivati alla metà del mese più bello, sono sfiniti. Ero stanco anche io soprattutto di burocrazia e di certe dispute inutili con alcuni colleghi . Per me e la mia classe iniziava il periodo più faticoso. Il preside aveva annunciato visite di necessario controllo del mio operato sospetto: gli allievi ne erano innervositi; io non le temevo, però mi disturbava dover subire valutazioni da un uomo che non aveva mai mostrato di dare giudizi sereni sul mio conto.
L’inquisizione poteva arrecarmi delle noie se non anche dei dispiaceri. Uno grosso quel dirigente me lo aveva già dato togliendomi le classi che portavo avanti da due anni e avevano manifestato a lungo per continuare a ricevere paideia da me. Quell’uomo appoggiato da una cricca di miei colleghi simili a lui o asserviti al suo potere, non era rassegnato a lasciar correre l’ essenziale diversità dl mio stile dal proprio senza crearmi altri problemi, veri ostacoli al mio lavoro educativo. Volevo non solo insegnare ai giovani le necessarie nozioni e conoscenze, ma anche aiutarli a evitare gli errori fatti da me in passato. Sempre attraverso gli autori che mi avevano corretto e raddrizzato. Pure io ero malevolo verso quell’uomo poiché il maltrattamento subito non solo era un’offesa alla mia persona ma anche al grande lavoro fatto con sacrifici quotidiani per anni. Un’offesa inflitta pure all’istituzione scolastica. Dunque non facevo nulla per appianare i contrasti, anzi tendevo ad accentuarli per dare un esempio di ribellione all’iniquità e alla prepotenza. Oggi, dopo tanti decenni dico che ho fatto bene a provocare quegli scontri pur dolorosi perché non mi sono rassegnato a fare un lavoro che non era il mio. Avevo già capito che non esiste virtù che non sia anche capacità e dovevo dimostrare a me stesso di avere la volontà e la forza di lottare per fare il lavoro che mi piaceva in quanto sapevo farlo molto bene.
Arrivato a 55 anni, mi venne a noia anche l’insegnamento liceale poiché sentivo che non mi dava più stimoli sufficienti, e feci il concorso per la SSIS dell’Università, dove per dieci anni avrei fatto lezione ai giovani laureati in greco su come insegnare la lingua e la cultura greca proficuamente per discenti e docenti. Nel frattempo avevo incontrato persone benevole, in grado di apprezzare i miei studi e i miei scritti. Devo la vincita di quel concorso alle traduzione e ai commenti dell’Edipo re e dell’Antigone di Sofocle fatte quando ero confinato nel ginnasio dove non mi sentivo a mio agio più di una tartaruga rovesciata: supinata testudo.
Avevo cominciato a impegnarmi su queste tragedie già nell’anno cui siamo arrivati, avendo capito per tempo che le lezioni orali non mi bastavano più. Scrivere dovevo, in modo che il sapere mi desse qualche potere, o meglio, che la sapienza diventasse potenza. Non quella di comandare bensì quella di fare un lavoro che mi piaceva, mi si addiceva e mi consentiva di manifestare intera la mia capacità educativa e renderla utile a molti,
Bologna 22 dicembre 2024 ore 17, 09 giovanni ghiselli.
p. s.
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