Uscito dalla csárda, pregai l’eroica luce del sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura.
“Aiutami Elio, a trovare dentro questo lungo travaglio l’idea del Bene di cui tu doni agli occhi mortali l’immagine visibile.
Dammi la lucidità necessaria per trovare nel dolore la comprensione del mio viaggio terreno, della serie di cause che mi hanno condotto qui e mi guideranno fino alla morte di questo povero involucro che tuttavia cerco di tenere bene con il tuo valido aiuto . Voglio assecondare il mio fato comunque esso sia. In ogni caso non mi sembra meschino. Ho già educato centinaia di giovani. Vorrei diventare maestro di un popolo intero. Questa sofferenza, se me la sono cercata e la coltivo, vuole dire che è dovuta alla mia crescita, al mio progresso di educatore. Sulla fellona che non mi dà risposte, in verità non mi sono mai creato illusioni. Non risponde perché non mi corrisponde: non è del mio stampo. Mi ha potenziato con il piacere che mi ha offerto, ma ora devo cercare di trarre altro potenziamento dalla intelligenza di questo dolore. Ho sempre imparato dalle sofferenze e dalle ingiustizie subite. Aiutami a capire santa faccia di luce, mente dell’Universo, primo fra tutti gli dèi. Aiutami a non impazzire per tanta pena, anzi a diventarne più saggio”.
Dalle canne della palude verde saettavano schiere di rondini verso sinistra, simili a frecce alate. Ottimo segno: volatus avium dirigit Sol invictus.
“Con il tempo-pensai- ho imparato che i segni del cielo sono tutti buoni se sappiamo volgerli al bene. Anche le sventure possono essere provvide. Sono funzionali all’insieme della vita: alla mia come a quella dell’Universo.
Scio sad conservationem Universi pertinere[1]”.
Alle 19, 41 il sole vermiglio spariva nella terra nera. “Dai contrasti bellissima armonia. –pensai ancora-Augurio di più sereno dì al pio educatore. Ma sono pio e sono davvero un educatore? Alcuni lo negano, altri lo giurano: sono segno di contraddizione anche io, come Socrate, come Giovanni Battista, l’onesto Giovanni, come Cristo e altri profeti”.
Ritenni che non aveva più senso rimanere lì fuori.
Rischiavo di compiacermi della solitudine fino a diventare un anacoreta demente.
Volevo rivedere la bambina con la madre per cogliere dei segni vocali da loro. Significavano molto parlando. Tornai seduto dov’era stato un quarto d’ora prima. La bella signora e la signorinella c’erano ancora.
La bambina mi domandò:
“Dove sei stato Janos?”-
“A pregare, signorina Sarolta”
“Chi, Gesù?”
“No; il Sole che è la sua immagine visibile. Pensa che gli antichi consideravano il Natale come il giorno della nascita del Sole”
“Come mai?”
“Perché nelle giornate più corte pensavano che stesse morendo, poi vedendo che la luce cresceva, pensavano che era guarito e che tornava ad alzarsi”
“Quale grazia gli hai chiesto pregandolo?”
“Di mettere al mondo una figlia simile a te”
“Perché simile a me? Io non sono tanto buona”
“Lo diventerai se studierai e farai sport. Molto buona e bella assai, come tua mamma”
Ero riuscito a dire queste semplici frasi in ungherese.
La signora mi fece un sorriso e mi ringraziò.
Poi mi domandò se fossi italiano
“Sì, risposi dell’Italia centrale. Come ha fatto a capirlo?’”
“Dal naso e dalla cortesia usata a noi due. Ho pensato che lo è tipicamente”.
“Anche voi siete state carine con me. E siete tipicamente, deliziosamente magiare. Ora vi devo salutare: vi auguro il meglio di tutto. Lo meritate”.
“Grazie. Arrivederci”.
Mi alzai e uscìi pensando: “missione compiuta. Ho raccolto i segni vocali di cui avevo bisogno”.
Dopo i complimenti di quelle due femmine umane beneducate potevo essere soddisfatto di me. Mi aveno fatto capire che meritavo una donna migliore della ragazza fallace che voleva indebolirmi cercando di farmi soffrire.
Sicché tornai in collegio e andai a dormire senza altro dolore.
p. s.
A proposito di signorinella.
Oggi mi è venuta in mente Marisa, la signorinella tredicenne di cui ero perdita mente innamorato in terza media. Eravamo entrambi nell’ultima classe della scuola Lucio Accio di Pesaro, io nella sezione B dei maschi, Marisa nella A delle femmine. Eravamo i più bravi delle rispettive classi e gareggiavamo per chi fosse il più egregio di tutto l’istituto. Alla sorella che mi ha detto della morte di Marisa avvenuta il 13 giugno scorso ho detto che era più brava lei, ma ce la giocavamo.
Oggi pedalando nel gelo ricordavo Marisa e cantavo:
“Signorinella pallida,
amabile rivale di terza media,
la nostra legna è diventata cenera,
tu sei defunta e io son diventato vecchio e stanco!”
E non mi saziavo di lacrime.
Però pedalavo egregiamente perché il ricordo di Marisa e dei nostri tredici anni mi dà ancora energia.
Quindi ho cantato ancora:
“Negli occhi tuoi passavano
una speranza, un sogno, nemmeno una carezza ....
avevi un nome che non si dimentica,
un nome lungo e breve: giovinezza!
Ho poi ricordato di avere ottanta anni compiuti e che se entrassi in un conclave a gareggiare i cardinali antagonisti mi direbbero in coro: “Non es papabilis!!”
E io risponderei: “deo gratias!!!!”
Bologna 31 dicembre 2024 ore 20, 06 giovanni ghiselli
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