Moena con la valle di Fassa è un’opera d’arte: un dono fatto al genere umano dal creatore il quale Bonus est: fecit itaque quam optimum potuit”( Seneca, Ep. 65, 10).
Dobbiamo cercare di assimilarci alla sua bontà e generosità. Ecco perché cerco di donare anima e vita eterna alle mie donne: Elena e le altre. Perfino a Ifigenia,
Sono grato a Moena che durante le estati della mia infanzia e adolescenza mi ha ispirato mito, poesia, amore per la natura e per tutta la vita.
Nella valle di Fassa scorre l’Avisio che allora era un vorticoso torrente ricco di trote lucide, guizzanti, vivaci come le bambine e le ragazze che cominciavano già a piacermi tanto. Rossine, rosine rosse erano le moenesi.
Il paese odoroso di legna e di fieno è una chiazza di colore rosso cupo, come i capelli delle bambine indigene molto diverse dalle pesaresi e pure belline ; intorno alle case verdeggiano i prati con i i fiori che fluttuano al vento in mezzo alle onde dell’erba, come volti ridenti di belle fanciulle che nuotano o giocano sulla distesa vendicante del mare. Sopra i prati si spingono in alto i boschi di larici, e di abeti colorati di un verde più scuro. Su queste lunghe foreste si innalzano le rocce che osservavo a lungo e interrogavo soprattutto durante i tramonti quando la luce del dio già sparita dal paese indugiava sorridendo sulle cime più alte del Catinaccio il cui ultimo anello verso nord era il Sasso Lungo. Mi appariva diviso in due parti che parevano femmine umane, o divine, benedicenti la valle.
Sopra le rupi risplende un cielo bellissimo quando è bello: nelle giornate serene è allietato da una luce vivace che attraversa le ombre e fa brillare il verde smeraldino dei prati estivi e il bianco adamantino della Marmolada, regina delle Dolomiti. Se nel cielo trascorrono nuvole erranti queste raffigurano grandi figure del mito: Eracle, per esempio, che uscito dal bosco di Eritia porta via l’armento di Gerione tricorpore, sottratto al bovaro[1] senza pagarlo[2].
Di notte il firmamento non offuscato brilla di stelle che appaiono più luminose e inducono a pensieri che vanno oltre la finitezza della vita mortale.
Entrai nel paese di quelle mie estati immaginose. Allora abitavo con la zia Giulia in via Damiano Chiesa 11 non lontano dalla fontana del Turco. Ero solitario già da bambino,e lì Moena ancora più che a Pesaro. I miei conforti erano quei monti di forma umana e il volto santo del sole. Quando mi svegliavo, se lo vedevo brillare nel cielo uscendo dal passo San Pellegrino e illuminare la cucina esposta a est, dopo la colazione correvo verso l’Avisio per osservare le trote grige, picchietttate di rosa e di azzurro come i sassi del fiume: quei pesci mi parevano pietre guizzanti e i sassi trote pietrificate da un dio ludico e capriccioso, magari ancora bambino, che voleva prenderle senza fatica ma poi si era annoiato della pesca troppo facile e le aveva lasciate lì nel torrente che le accarezzava rapidamente con le sue correnti veloci.
Così fantasticavo. Appoggiato su una ringhiera posta sopra il torrente guardavo affascinato la trasparenza dell’acqua, i vorticosi gorghi d’argento, le schiume canute delle cascate. Osservavo e ascoltavo i suoni con attenzione fermandomi a lungo perché ero solo e non avevo nessun amico con cui parlare.
Anche il 13 aprile del 1979 a Moena ero solo. Dovevo esserlo. Non volevo confusione di ciance o di gesti ma ordine di pensieri e sentimenti.
Bologna 21 dicembre 2024 ore 11,30 giovanni ghiselli.
[1] Cfr. Euripide, Eracle : triswvmaton both'r j (vv. 423-424)
[2] l'Eracle di Pindaro portò via le vacche di Gerione senza pagarle:"levgei d j o{ti ou[te privameno" ou[te dovnto" tou' Ghruovnou hjlavsato ta;" bou'", wJ" touvtou o[nto" tou' dikaivou fuvsei, kai; bou'" kai; ta\lla kthvmata ei\nai pavnta tou' beltivonov" te kai; kreivttono" ta; tw'n ceirovnwn te kai; hJttovnwn", il poeta dice che senza averli pagati né ricevuti in dono si portò via le vacche di Gerione, poiché questo è giusto per natura, che cioé i buoi e le altre proprietà del meno valente e più debole siano tutte del migliore e più gagliardo (Platone, Gorgia, 484c).
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