La notte sognai. Sognai Ifigenia in forma di falce di luna brillante ma tanto sottile che a un piccolo tocco di vento cadeva dal cielo ancora rosso su un prato di colchici viola. Quindi sopraggiungeva la notte. Sul prato si ergevano i boschi e sopra questi i pallidi monti della Valle di Fassa, le vette che mi sembravano grandi e buone figure di eroi, di santi e di sante quando ero bambino. Come ebbi visto precipitare dall’alto la strana, contaminata composizione di membra femminili e lunari, corsi verso la zona dov’era caduta quell’ibrida forma illuminando l’erba e lasciando quasi nel buio il povero cielo vedovo della sua face notturna più bella. Al suo posto era rimasta una nicchia aniconica.
Il prato fosforescente era quello compreso tra il cimitero di Moena e la frazione di Sorte.
Questo luogo preannunciava un evento: nel giugno del 1980 avrei passato una notte triste con Ifigenia nella Malga Panna situata dove il bosco succede al prato.
La ragazza lunare era tutta spezzata: le sue membra erano sparse a terra qua e là.
Le osservai a lungo con gli occhi quasi acciecati dal pianto, quindi mi diedi a raccogliere i pezzi più belli che invece di sangue versavano luce. Poi cominciai a intrecciarli tra loro facendone una luminosa corona che mi posai sulla testa. Infine raccolsi dei fiori viola e ne feci una ghirlanda di cui mi recinsi le tempie. Superbo del duplice serto andai a specchiarmi nell’acqua di un piccolo lago sormontato da pini e rupi appuntite, simile a quello di Carezza che riflette i boschi e le guglie del Latemar
Nel lago vedevo riflesso il mio volto incorniciato dalle lucide membra di femmina umana e di luna, dai colchici velenosi e dalla catena montuosa. Così sovraccarico di strani orpelli, il viso assumeva un’espressione diabolica.
Osservavo l’immagine bella e ripugnante: mista di voluttuoso e di ascetico, di depravato e di santo. Il lago poi diventava la fontana antistante la facciata dell’ università di Debrecen. Intorno alla grande vasca passeggiavano le mie tre finlandesi amate da me più di ogni altra donna incontrata sulla terra durante la mia vita mortale.
A un tratto i pezzi della ragazza-luna si ricomposero nel corpo intero, perfetto di Ifigenia che con un balzo tornò nella nicchia lasciata vuota dalla precedente caduta. Il cielo un poco alla volta si annuvolò lasciando nel buio le rocce, i boschi e il prato dove cadeva una pioggia fredda e pesante che in poco tempo disfece la ghirlanda di fiori. Infine un buio pesto mi tolse la visione del mondo.
Pensai che fosse la morte, invece mi svegliai. Dovevo pensare al significato di queste immagini oniriche numerose e diverse.
Bologna 20 dicembre 202 ore 18, 34 giovanni ghiselli
p.s.
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