NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 9 dicembre 2024

Nerone XXIII. La guerra giudica poi la rivolta contro Nerone. Suicidio teatrale dell’imperatore in Cassio Dione.


 

Nerone poeta.

Marziale considera Nerone un poeta doctus (8, 70, 8).

 Tacito dice che la species carminum era non impetu et instinctu nec ore uno fluens (A., 14, 16), il tipo delle sue poesie non scorreva per calore, ispirazione né uniformità. Nerone preferiva Euripide agli altri tragici. Si può dire seguace di un classicismo di tipo patetico. Intanto Persio anticipa Giovenale nella critica ai costumi. Petronio difende la struttura dell’antica poesia.

 

Nerone proteggeva pure il culto di Cibele la Magna mater asiatica e quello di Attis. Inoltre adottò il mitraismo come strumento di propaganda. Il mitraismo infatti faceva dell’imperatore l’immagine del sole sulla terra.

Questa religione entrò in Roma nel tempo della visita di Tiridate.

Inoltre si diffondeva il culto di Iside e di Serapide, dèe universali della salvezza. In particolare Otone divenne un adepto del culto di Iside (Svetonio,  Oth, 12, 2).

 

Nel carmen  10 di Catullo lo "scortillum..non sane illepidum neque invenustum (3-4)" una puttanella non certo sgradevole né priva di ffascino vuole farsi accompagnare al tempio di Serapide:"nam  volo ad Serāpim deferri (26-27)", voglio farmi portare al tempio di Serapide. Questo era uno dei centri della religione di Serapide proveniente dall’Egitto,

Il cristianesimo veniva diffondendosi soprattutto tra le classi umili grazie alla dottrina sociale nuova e ardita.

 

La guerra giudaica.

Nel 66 scoppia la grande rivolta giudaica raccontata  da Flavio Giuseppe (Guerra giudaica, prima in aramaico poi tradotta in geco.). La setta degli Zeloti oltranzisti, spinse alla rivolta massacrando la popolazione greca e romana.

Giuseppe Flavio (38-100)  scrisse anche le Antiquitates Iudaicae.

 

Nel febbraio del 67 Nerone mandò Vespasiano contro gli insorti.

Si concluse nel 70 con la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito.

 

La rivolta contro Nerone.

 In Gallia si ribellò Giulio Vindice, un senatore di origine gallica.

Vindice parlò ai Galli dubitando che Nerone fosse un uomo, uno che aveva preso Pitagora come marito e  Sporo come moglie

( oJ Spovron gegamhkwv~, oJ Puqagovra/ gegamhmevno~, Cassio Dione 63, 22)

uno  che ha contaminato e ucciso la madre, che è sceso sulla scena con maschera e coturni. Uno che si è fatto vedere incatenato –Andromeda- e perfino partoriente-Canace-.

Questo più che un Cesare è un Tieste, un Edipo, un Alcmeone, un Oreste. 

Dunque ribellatevi: ajnavsthte (63, 22). Vindice indicò Galba come imperatore. Era il governatore della Spagna. Vindice prima si scontrò con Verginio Rufo governatore della Germania, poi si accordò con lui, ma i soldati non lo sapevano e si scontrarono. Erano, commenta Plutarco, come quegli aurighi che non riescono a tenere le redini (Vita di Galba, 6, 4)

quindi Vindice si uccise. Rufo non volle accettare il potere imperiale, nonostante la pressione dei soldati.

Nerone seguiva a Napoli un agone ginnico, e, come seppe della rivolta, continuò a sostenere un atleta. Si prese paura solo quando sentì che Galba era stato proclamato imperatore. Un poco alla volta lo abbandonarono tutti.

Allora pensò di ritirarsi ad Alessandria e di vivere della sua arte: “a{n kai; ejk th'~ ajrch'~ ejkpevswmen, ajlla; tov ge tevcnion hJma'~ ejkei' diaqrevyei” ( Cassio Dione, 63, 27). Anche Svetonio riferisce illa vox eius celeberrima  To; tevcnivon hJma'~ diaqrevyei (40), l’arte mi darà da vivere.

 

Svalutazione del denaro e del potere. Euripide, Menandro, Seneca.

Nelle Fenicie di Euripide dove "Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più"[1], Giocasta obietta:"tiv d  j e[sti to; plevon; o[nom  j e[cei monon:/ejpei; tav g  j ajrkounq  j  iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a  turno, ce le portano via di nuovo.

 

Una posizione echeggiata da Menandro nel Duvskolo~ (del 316 a. C.), quando Callippide dice a Sostrato che non vuole prendersi un genero e una nuora pezzenti, e il figlio, il quale vuole sposare una ragazza povera e dare la sorella in sposa al fratello di lei, risponde al padre che lui non è veramente padrone delle cose che ha, ma esse appartengono tutte alla fortuna: “th'~ tuvch~ de; pavnt j e[cei~” (v. 801).

Luogo simile in Seneca che nella Consolatio ad Marciam  (10, 2) scrive:"mutua accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle cose in prestito. L'usufrutto è nostro.

 

Del resto  Giocasta propugna l'uguaglianza più in generale:"kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535-536),  quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t  j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[2], domanda la madre a Eteocle, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d  j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd  j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?

Pensi che essere guardati sia segno di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere molte pene con molte cose nella casa?  

 

Il senato infine lo dichiarò nemico pubblico e scelse Galba come successore.

Nerone tentò la fuga quando si accorse di essere abbandonato anche dalle guardie del corpo. Scappò a cavallo e raggiunse un podere di Faone accompagnato da Sporo e da Epafrodito. Faone probabilmente lo aveva denunciato. Era ancora vivo sotto Domiziano.

 Durante la fuga, si scatenò un terremoto fuori misura (seismo;~ ejxaivsio~, 63, 28): sembrava che la terra si lacerasse e che tutte le anime degli ammazzati da lui gli si levassero contro. Riconosciuto da un pretoriano in congedo, si nascose in un canneto (ej~ kalamwvdh tovpon). Era terrorizzato, anche se da qualche parte un cagnolino si metteva a  latrare o un uccellino a cinguettare  cinguettava ( ei[ tev pou kunivdion u{laxen h] kai; ojrnivqion ejfqevgxato). Allora finalmente si pentì dei misfatti che aveva osato commettere (kai; tovte metegivgnwsken ejf j oi|~ ejtetolmhvkei), come se potesse renderne uno non fatto. Gli tornava in mente un verso dell’Edipo esule : mi ordina di morire miseramente il padre partecipe delle nozze.

Intanto i Romani esultavano e indossavano i pivlia wJ~ hjleuqerwmevnoi (Cassio Dione, 63, 29).

Svetonio racconta che la plebs pileata , affrancata, girava per la città. Galba veniva invocato come imperatore. Quindi Nerone sentì sopraggiungere dei cavalieri e ordinò ai liberti di ucciderlo. Ma questi si rifiutarono e Nerone disse: “ejgw; movno~ ou[te fivlon ou[te ejcqro;n e[cw” (Cassio Dione, 63, 29).

Ergo ego, inquit, nec amicum habeo nec inimicum?” ( Svetonio, 47)

 Poi si uccise dicendo: “w\ Zeu' oi|o~ tecnivth~ parapovllumai

 Such an artist dies in me!” avrebbe detto oggi. 

 

Nerone visse trent’anni e mezzo: “ dal 15 dicembre del 37 al 9 giugno del 68. Fu imperatore per quasi quattordici anni. Fu l’ultimo discendente di Enea e di Augusto.

Bologna 9 dicembre 2024 ore 17, 11 giovanni ghiselli.

p. s.

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[1]Lanza, op. cit., p. 53.

[2] Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo (v. 555-556). Seneca echeggia questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d.C.) :"mutua accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2), abbiamo ricevuto le cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.

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