NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 19 dicembre 2024

Ifigenia LXVI . il Mulino bruciato. “Ti prego, ti prego, ti prego!”.


 

Lunedì 26 febbraio Ifigenia mi telefonò dalla gelateria dove talora ci si incontrava. La voce aveva un tono di sincera letizia

“Vieni subito gianni: non ne posso più dalla voglia di fare l’amore con te”

“Anche io. Sarò là tra dieci minuti, massimo un quarto, poi ti porterò nel nostro grande talamo, il mobile più santo di casa mia: il nostro letto è  un altare”.

Posai il telefono e guardai il sole che stava annidandosi tra i colli con un sorriso. Guardai l’orologio : erano le 17, 38. Già 90 minuti di borsa di studio rispetto a metà dicembre. Segnai il progresso sul calendario, tutto contento. Come Omero non dimentico mai di osservare il tramonto del sole che tutto vede e tutto ode. Avevo iniziato a Pesaro da bambino quando nelle sere estive andavo al porto per osservare il sole immergesi  nel mare ondeggiante: “uJpo; povnton  ejduvseto kumainonta[1]. E non mi saziavo di lacrime piene di gratitudine al dio per tutte le ore di luce che mi aveva donato.

 Avevo finito di commentare Delitto e castigo per raccontarlo il giorno seguente ai ragazzini. Ero tutto contento, senza retropensieri acidi.

Pensavo: “tutto va bene: l’inverno grazie a Dio è passato, Ifigenia, la primavera incarnata, mi cerca al momento giusto, appena ho finito i compiti dovuti ai miei allievi. Ora posso fare l’amore senza rimorsi né ubbìe né riserve”

Quindi uscii nella sera già primaverile, lieta di pupurèe speranze, e mi affrettai sorridendo verso la bella giovane donna che mi aspettava contenta e piena di desiderio.

 

Poi venne marzo, il marzo del 1979 che fu un mese pieno, colmo di gioia.

Giovedì 8 facemmo l’amore per la prima volta all’aperto. Dopo la scuola si era andati a desinare al Mulino bruciato, un locale dell’estrema periferia nord orientale di Bologna.  Eravamo contenti delle ottime tagliatelle, del buon vino, Veneris hortator et armĭger , capace di debellare e bruciare ogni pudoris ignaviam. Per giunta eravamo soddisfatti di noi stessi, già abbronzati, carini e allegri più del solito, mentre l’aria tiepida andava ammorbidendo la terra che cominciava ad aprirsi, a lasciarsi toccare intimamente dai soffi del vento che ne traeva un profumo di vita nascente, un odore carezzevole che  stuzzicava i sensi di uomini, donne e animali. Amor omnibus idem.

Dopo il pranzo gustoso Ifigenia mi fissò a lungo come faceva nel talamo nostro quando voleva che andassi a lavarmi per iterare ancora almeno una volta l’atto d’amore, quindi, illuminandosi in volto, disse:

“Gianni, facciamolo qui! Ne ho tanta voglia. Del resto dobbiamo smaltire le tagliatelle e potenziare la grande felicità che sentiamo”

“Qui dove?”, le domandai imbarazzato e pure lusingato. “Sulla sedia, sul tavolo o sul pavimento? Potremmo finire in galera per atti osceni in luogo pubblico”

“Ti prego” insisteva infantilmente piacendomi sempre di più  “voglio farlo qui, subito, ti prego, dimmi di sì: che cosa ti costa? Anzi, per te e per me è una fortuna questa mia voglia frenetica. Se ci metteranno in galera troveremo il modo di falo anche là. Una mia amica finita in manicomio lo faceva attraverso le sbarre o un buco nel muro, non ricordo, con un altro demente.”

Mi guardava con grandi occhi di daina, neri, umidi e attraversati dal lampo di un desiderio prossimo alla follia.

“Potrebbe costarci la libertà, il lavoro nella scuola, la rispettabilità” cercavo di spiegarle sapendo che con i divieti la istigavo sempre di più.

“Ti prego, ti prego, ti prego: non dirmi di no. Facciamolo subito, almeno una volta!” Aveva preso il tono di una bambina che chiede al babbo di non  negarle la soddisfazione  di un bisogno. Disse perfino: “mi scappa di fare l’amore, papà”.

 Era la recita giusta perché quando una giovane donna mi chiede qualcosa  facendo la parte della figliola adorata, io non so dirle di no. Era la prima volta che faceva questo gioco semiserio con me ed io non potevo resisterle. Disse che era la festa della donna e lei voleva essere festeggiata come donna, non quale commensale insignificante, da un uomo, da un vir vero e virtuoso, da me. Quindi fece una proposta quasi plausibile: “Hai ragione. Qui non si può, guarda:  in quel tavolo là c’è anche il sindaco che non gradirebbe e farebbe intervenire la polizia. Potremmo correre a casa tua, ma è lontana e io non ne posso più dalla voglia. Andiamo in un campo vicino, nascosti in un greppo. Ti prego, non dirmi di no. Ho voglia di fare, di farlo con te!!”

“Va bene tesoro, andiamo”.

Come avrei potuto rifiutarmi? Credo che tu non mi condanni lettore.  Il peggio, o il meglio,  del resto deve ancora venire.

 

Chiesi il conto, lo pagai e presi la ricevuta fiscale temendo che venissero a importunarmi per recapitarmela, magari mentre facevamo l’amore, se ci fossimo riusciti in uno dei luoghi inameni intravvisti arrivando nella trattoria.

Il campo meno implausibile era comunque bruttissimo, quasi tartareo: ingombro di rottami rugginosi, recinto dalla ferrovia, dall’autostrada  con tangenziale e da altre strade tutte percorse da automobili. Dentro però non c’era anima viva. Ci stendemmo per terra tra la carcassa di un camion demolito che tuttavia, enorme com’era, ci riparava dalla vista di tre parti del mondo, e un casotto di legno che ci schermiva dalla quarta,

Stesi  sulla terra l’impermeabile dove Ifigenia avrebbe posato la bella schiena e la testa ricca di riccioli viola, poi ci spogliammo, ci stendemmo e cominciammo.

La ragazza era fresca e umida. Il suo sesso che quasi toccava la madre terra era vivo come un cucciolo vago di salti; il mio nel contatto con il suo  ne assorbiva la vitalità giocosa. Questi atti erano scomodi, tuttavia ci appassionarono: da giocosi diventarono gioiosi e vennero iterati finché la terra toccata, premuta e raspata, ci ebbe annerite la mani, le ginocchia, le gambe e ogni parte del corpo accarezzata con dita frenetiche. Perfino le facce.Quando fummo sazi, ci alzammo esausti e felici. Fu una fatica lieta e santa.

Me ne sarei sovvenuto con nostalgia due anni più tardi, quando la giovane briosa stava diventando una cupa, scontenta, stremata istriona vaga di applausi e di lucri, già vicina a inquinarsi in voluttà nefande e rovinose, come il ponhrov~  Arifrade bersagliato da Aristofane[2].

 

Bologna  19 dicembre 2024  ore 11, 49 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. Odissea, 4, 425

[2] Cfr. Cavalieri, 1281 ss.

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