La sera del primo gennaio 1979 tornammo a Bologna. Quando fui nel grande letto dei concubiti e del riposo, premetti i cuscini consci del nostro amore, spinto dal desiderio di lei che già la mattina seguente, secondo gli accordi, sarebbe venuta a trovarmi.
Il 2 gennaio difatti entrò in casa che ancora dormivo usando le chiavi che le avevo lasciato. Quando aprii gli occhi la vidi distesa accanto a me nuda e sorridente.
“Ciao bellino, ti sono mancata?”
Mi vezzeggiava.
La guardai provando un senso di gioia; poi, riordinate le idee confuse dal sonno, resomi conto della situazione bella assai e del tutto vera, mi feci callido vezzeggiatore a mia volta e risposi: “Sì tesoro. Eccome mi sei mancata: più del sole maturo sui colli di Grecia rimpianto mentre viaggiavo con dei comites esangui e stremati attraverso la terra etrusca pallidula, rigida: niente e nessuno mi ha consolato della mancanza di te: un’assenza che oramai mi uccideva, splendidissima amante.
“Nemmeno io ho conosciuto consolazione né tregua all’affanno durante l’ assenza tua”, rispose lei soddisfatta. Non aggiungemmo altro ché non era il momento. Facemmo l’amore tante volte, non dico quante perché nessun invidioso possa gettarci il malocchio.
Quella mattina non ebbi pensieri malati: non mi lasciai turbare dall’infame sospetto che fare l’amore fosse un vizio meritevole di pene infernali.
Un piacere non privo gioia toglieva forza e ardire ai due mostri desiderosi di avvelenare ogni bene: la furibonda megera clericale che voleva farmi ripudiare la bella compagna di letto iniettandomi il pensiero malato che non potevo amare una donna meno pura e casta della Vergine madre; poi l’altra strega: la pronuba avida e disonesta che come un assillo mi pungeva e gridava: ricordati che il matrimonio è un affare e non puoi sposare né amare una priva di patrimonio.
Questo mi era stato inculcato fin da bambino. Matrimoni- patrimonio.
Sicché fin da allora avevo deciso per sempre che le nozze non erano roba per me. Capii molto per tempo di essere predisposto e destinato ai concubitus vagi.
il 2 gennaio dell’anno di mia salvazioni 1979 dunque, i due malvagi maestri, progenie della rachitica deformità, dei pallidi morbi, della fredda miseria, dello sconforto livido, confutati e sbaragliati dalla bellezza di Ifigenia, abbagliati negli occhi cisposi e confusi nelle menti deboli e inferme, dal luminoso splendore della mia amante, si rintanarono nel loro pantano e tacquero offesi. Ma quella melma purtroppo era dentro di me. Bastava poco infatti perché i due perversi uscissero dalla loro caverna più lurida e sconcia delle stalle di Augia, per riprendere a soffiare miasmi con lena maggiore, a sputare catarro, a gocciare bava corrotta, a schizzare sterco quali fetide Arpie, sul nutrimento della mia gioia precaria, perché insomma tornassero a insozzarmi il cuore e la mente a rendere disgustosa e vomitevole la vita beata che stavo assaporando con gusto.
Bologna 18 dicembre 2024 ore 10, 47 giovanni ghiselli
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