NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 18 dicembre 2024

Ifigenia LXIV . Stanchezza di tutto. Regressione e pazzia

In febbraio il nostro rapporto risentì della stanchezza causata dall’inverno troppo lungo a Bologna. Il freddo impedisce la vita estrinseca e inceppandola immiserisce quella interiore.

 Durante la lunga relegazione in casa molti guardano i programmi televisivi, altri si danno alle bevute o pizzicano la fantesca quando porta il bicchiere con il superalcolico,  mentre la moglie è andata di corsa a casa del drudo scapolo; l’energica e brava massaia priva di collaboratrice domestica invece fa i lavori di casa per compiacere e lasciare in pace il marito che fissa la partita di calcio o guarda il cellulare.

Più numerosi di questi sono i tipi umani ma gli altri non li ho conosciuti e non parlo né scrivo di ciò che non conosco.

A noi due dava noia l’inverno che superava il limite della decenza. Novembre, dicembre e gennaio si sopportano: il primo con la visione del grano rinascente e con il ricordo dell’estate che nei giorni iniziali del mese manda ancora qualche tiepido effluvio dovuto all’inerzia del calore; il secondo ci conforta con la resurrezione del sole che smette di abbassarsi dietro la nostra terra ombreggiata troppo a lungo siccome piegata dalla parte opposta rispetto alla posizione del dio luminoso, il terzo è sopportabile per la crescita oramai molto evidente della luce che già annuncia la primavera.

 In febbraio le giornate sono di nuovo lunghe come quelle dolci di ottobre e il sole comincia a raddrizzare i suoi raggi, ad abbronzare, a restituire la voglia di cantare agli uccelli, di ridere alle fanciulle contente quanto i pennuti che le sorvolano facendo mille giri su per il cielo. Durante le giornate rigide e cupe, fin da novembre quando si allunga la tenebra quitidiana rendendoci inquieti, aspettiamo febbraio come il mese dall’aria mitigata che accarezza le viole scure e odorose come le cosce di una bella giovane donna mediterranea: spagnola o sarda o napoletana,  siciliana, egizia o greca , araba o ebrea che sia. Il meglio della femminilità. Non posso tacere delle finlandesi amoris  causa. Tutte queste femmine della mia specie sono coreute di gioia, le borse di studio più ambite da me.  Insomma aspettiamo febbraio come l’uscita da un tunnel gelato. Invece talvolta questo mese rappresenta l’ostinazione, la pervicacia cattiva, la depravazione estrema della brutta stagione. Allora l’inverno che si prolunga nonostante la risalita del sole, è un vizio del cielo, è un morbo dell’aria, è regressione, è follia. Una pazzia che i dementi sciagurati   riprendono e prolungano fino a ottobre con l’aria condizionata. Sicché il caldo che favorisce la vita, che ci spoglia e incentiva l’amore è bandito quasi del tutto.

Noi due, entrambi mori di capelli e scuri di pelle, bella lei, discretamente lepido io, amantissimi del caldo e della luce, eravamo chiusi in casa, avviliti sotto coperte grosse e pesanti come macigni. Non ci scaldavano punto.

Nel buio e nel freddo prolungato nemmeno l’amore fioriva.

Cercavamo di emozionarci con domande oziose e pure provocatorie

“Se tu mi lasciassi, signora, lo sai che cosa farei?”, domandavo da amante stralunato qual ero.

“Mi riconquisteresti subito”, rispondeva  sorridendo perché il nostro stare nel letto non diventasse putrido e desolato come le strade, i giardini e gli orti flagellati da intere giornate di pioggia mista a neve.

La risposta non mi era spiaciuta e la rincaravo: “Sì, tesoro, per te non sarà facile sostituirmi con uno più adatto alla tua persona augusta e speciale”.

Allora Ifigenia mi assecondava: “e’ vero, per me sarà impossibile trovarne un altro della tua levatura. Tu sei unico”

Quindi rilanciava: “tu piuttosto gianni quando mi lascerai?”

“Quando ne avrò trovata una che possa piacermi  più di te, cioè mai”.

Mentivamo entrambi siccome in quel frangente eravamo stanchi di tutto.

 

Così ci si vezzeggiava e lusingava a vicenda dicendo bischerate, ma il gioco era triste perché non avevamo argomenti, e il fatto che parlavamo del nostro rapporto invece di viverlo era una tragedia. La stessa voluptas che ci aveva tanto amalgamati cominciava a guastarsi corrotta dalla noia e dal dolore.

Proprio così: corrupta dolore voluptas[1].

 

Pensavo alle finniche amate per un mese poi per sempre e ne deducevo che una relazione, anche la più bella non può prolungarsi se non si agisce insieme impegnati e  concordi, anche politicamente. Ne sono ancora convinto.

 

Bologna  18 dicembre 2024 ore 17, 41  giovanni ghiselli

p. s

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[1] Cfr. Orazio, Satira I, 2 v. 39

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