In verità il lavoro cui invogliavo i ragazzi era duro: ne davo l’esempio preparando lezioni ricche di citazioni memorizzate che mi costavano ore e ore di preparazione. Ogni giorno affrontavo io stesso l’esame dell’efficacia educativa di quanto avevo imparato con un impegno quasi crudele per il tempo e l’acume mentale impiegati. I ragazzi lo capivano e mi ripagavano con l’attenzione scolastica e lo studio domestico. Comprendevano che studiare li rendeva più forti, più buoni e più belli. Ecco perché si era formata una solidarietà e quasi un sodalizio tra me e loro.
Questa intesa didattica benefica però aveva provocato del risentimento in diversi adulti dell’Istituto. Dava fastidio a molti non solo il mio metodo di insegnamento ancora inattuale in quel tempo ma anche il mio stile di vita inusuale. Il metodo mio era già comparativo: non lo conosceva nessuno tra i colleghi di greco e latino tanto nei licei quanto nell’Università da me frequentati. Mi era congeniale e lo avevo riconosciuto nel poemetto The Waste Land di T. S. Eliot.
I malevoli dunque trovarono l’appoggio del potere presidenziale e misero insieme la forza di togliermi il lavoro che era diventato grande parte della mia vita siccome avevo imparato a farlo bene sacrificando per tre anni consecutivi tanta parte delle forze mentali, del mio tempo, lasciando indietro la bicicletta amata e perfino le donne amate che fin da quando ero bambino erano state il massimo oggetto dei miei desideri.
In pratica mi degradarono dal liceo al ginnasio togliendomi 90 studenti per darmene 30 di età inferiore. Sarei tornato nel triennio liceale solo 13 anni più tardi e dopo altri otto sarei entrato nella SSIS dell’Università a cinquantacinque anni oramai docente annoso insegnando ai giovani neolaureati come si deve presentare lo studio del greco in modo da farsi ascoltare con interesse dagli studenti.
Nei primi giorni della retrocessione provai un dolore enorme temendo di dovermi limitare a ripetere i tecnicismi delle lingue antiche. Poi capìi che il greco e il latino si possono insegnare attraverso gli autori piuttosto che ripetendo la grammatica, e dovendo informare gli studenti anche sulla letteratura moderna, mi diedi a studiare i grandi romanzi dell’Ottocento e del Novecento che ancora non conoscevo. Sicché mi feci piacere questo nuovo lavoro. Tuttavia mi faceva soffrire l’ingiustizia subita in un ambiente dove per due anni avevo avuto il trattamento buono meritato con tanto studio speranzosissimo. Quel dolore però ebbe subito il balsamo beato che la grazia di Ifigenia mi apprestò offrendomi stimoli non meno accrescitivi di quelli ricevuti per tre anni dagli studenti liceali. Se non avessi fruito di questa compensazione alla perdita del lavoro amato avrei non solo smarrito bensì perduto quella fiducia nella giustizia e nella stessa vita che avevo trovato insegnando. Forse sarei ricaduto nella depressione dove ero cascato alla fine dello studentato liceale nel 1963, come ho già raccontato nel volume precedente già ricordato.
Ma anche quell’abisso di dolore dell’estrema adolescenza mi aiutò a crescere: la sofferenza accrebbe la mia intelligenza, la deformità mi rese più comprensivo, il malessere mi spinse a diventare più forte.
Ifigenia dunque mi tirò fuori dal pantano dello sconforto infondendomi della gioia e della forza; tuttavia la relazione con la giovane collega adultera peggiorò la mia fama già cattiva presso i docenti malevoli: come la relazione peccaminosa divenne nota, io oltre che libertario divenni un libertino dissoluto, e la bella Ifigenia non era più altro che una poco di buono, la donna degna di me, la mia druda. Da alcuna era soprannominata Messalina o addirittura Pasife che del resto non aveva trovato un toro come ganzo ma si era accontentata di un cane.
Bologna 10 settembre 2024 ore 19, 38 giovanni ghiselli
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