I valori forti del rispetto, del pudore e della gratitudine sono anche predicati di nobiltà. L’etimologia di “rispetto” (Erich Fromm). La caduta dei valori supremi è il nichilismo. Nietzsche. Esiodo. La gratitudine. Senofonte (Ciropedia). Euripide (Medea, Alcesti, Eracle). Aristofane (le Nuvole). Sofocle (Aiace, Filottete). Teognide. Shakespeare (Giulio Cesare, Tito andronico). Seneca. Cèline. Per gli Sciti che incontrano Alessandro Magno la fides e il rispetto umano hanno la forza del sacro. Gončarov.
"La cultura umana nasce da una nobilitazione di istinti belluini in altri più elevati attraverso il pudore, la fantasia, la conoscenza"[1].
Il rispetto, il pudore e la gratitudine sono valori forti che vanno affermati con forza da una scuola la quale deve non solo incrementare le conoscenze ma anche civilizzare e moralizzare attraverso l'educazione.
Erich Fromm suggerisce di risalire all’etimologia della parola rispetto:" Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere =guardare), la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, perciò esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di servirmi"[2].
E ancora: se amo una persona "io la rispetto, cioè (secondo il significato etimologico di re-spicere ) io la guardo come essa è obiettivamente e non travisata dai miei desideri o dalle mie paure. La conosco, sono penetrato oltre la sua apparenza fino al fondo del suo essere e ho collegato me stesso con lei dal profondo del mio essere"[3].
La caduta dei valori forti è il nichilismo: “Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al “perche?”. Che cosa significa nichilismo?-che i valori supremi perdono ogni valore”[4].
Abbiamo già visto (16. 2) che Esiodo considera il pudore una colonna del vivere umano e civile e che con l’ultima età, la bassa età del ferro l’aijdwv~ sparirà dalla terra con la Gratitudine, e lo Sdegno; allora non vi sarà più scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (Opere e giorni v. 201).
La descrizione dell'età del ferro è di nuovo attuale: i suoi delitti assomigliano a quelli dell' epoca moderna che "Fichte definisce epoca della colpevolezza, della "compiuta peccaminosità" ovvero della libertà vuota, del feroce conflitto che disgrega ogni ordine, della lotta egocentrica e spietata di tutti contro tutti, dell'anarchia dei particolari sradicati da ogni totalità"[5].
"Noi viviamo l'epoca degli atomi, del caos atomistico. Nel Medioevo le forze ostili furono più o meno tenute insieme dalla Chiesa e in una certa misura furono assimilate l'una all'altra dalla forte pressione che essa esercitava…Da allora la scissura si è allargata sempre più; oggi ormai quasi tutto sulla terra è determinato dalle forze più grossolane e malvagie, dall'egoismo degli affaristi e dai despoti militari".[6]
Grande apprezzamento del pudore quale virtù di base, Senofonte esprime nella Ciropedia[7] quando annette al vizio capitale dell'ingratitudine quello dell'impudenza che anzi considera madre di tutte le turpitudini:"e{pesqai de; dokei' mavlista th'/ ajcaristiva/ hJ ajnaiscuntiva: kai; ga;r au}th megivsth dokei' ei\nai ejpi; pavnta ta; aijscra; hJgemwvn"(I, 2, 7), pare che all'ingratitudine di solito si accompagni l'impudenza: questa infatti sembra essere la guida più grande verso tutte le brutture. "E qui ci torna in mente l'importanza data da Platone e da Isocrate all'aidòs , senso di onore e di pudore, per l'educazione dei giovani come per la conservazione di ogni ordine sociale"[8]. Come si vede Senofonte stabilisce un nesso tra cavri" e aijdwv", gratitudine e pudore che è vergogna di fare il male.
Altrettanto fa Euripide nella Medea[9] che rappresenta un mondo in sfacelo morale. Nel primo stasimo il coro lamenta:" bevbake d j o{rkwn cavri", oujd j e[t j aijdw;"- JEllavdi ta'/ megavla mevnei " (vv. 439-440), se n'è andato il rispetto dei giuramenti né più rimane il pudore nell'Ellade grande.
Nell’Alcesti[10] il pudore è connesso alla nobiltà del carattere: “to; ga;r eugene;"-ejkfevretai pro;" aijdw'”(vv. 600-601), il carattere nobile infatti è portato al ritegno.
Il tragediografo mette in evidenza il grande valore della gratitudine quale componente dell'amicizia nell'Eracle dove Teseo non ha dimenticato l'aiuto ricevuto dall'amico che lo ha riportato in luce dal regno dei morti (v. 1222) e, disponendosi ad aiutarlo, gli dice:" cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn" (v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia, e chi vuole godere delle cose belle ma non imbarcarsi con gli amici quando se la passano male.
Nelle Nuvole[11] di Aristofane la riservatezza e il ritegno contraddistinguono il giovane beneducato dal petulante sfacciato. Il Discorso Giusto prescrive al ragazzo di essere "th'" aijdou'"...ta[galm j "(v. 995), l'immagine del ritegno.
Pure Sofocle attribuisce grande valore alla gratitudine considerandola una virtù senza la quale non può darsi animo nobile: Tecmessa per indurre Aiace a non suicidarsi ripete la parola chiave cavri" in poliptoto e la considera un predicato di nobiltà :"cavri" cavrin gavr ejstin hJ tivktous j ajeiv:-o{tou d j ajporrei' mnh'sti" eu\ peponqovto",-oujk a]n gevnoit j ou|to" eujgenh;" ajnhvr" (Aiace, vv. 522-524), la riconoscenza infatti genera sempre riconoscenza; quello dal quale cade il ricordo del bene ricevuto, ebbene costui non può essere un uomo nobile.
Dopo il suicidio dell’eroe, nell’esodo della tragedia, Teucro aggredito da Agamennone lamenta la caducità della gratitudine: “Feu': tou' qanovnto" wJ" tacei'a ti" brotoi'"-cavri" diarrei' kai; prodou'" j aJlivsketai” (Aiace, vv. 1266-1267), ahi, come svanisce rapida per i mortali ogni gratitudine verso un morto e si scopre che tradisce”[12].
Nel Filottete Neottolemo afferma che l'amicizia di un uomo capace di gratitudine vale più di qualsiasi tesoro:"o{sti" ga;r eu\ dra'n eu\ paqw;n ejpivstatai-panto;" gevnoit j a]n kthvmato" kreivsswn fivlo" " (vv. 672-673), infatti chi sa fare il bene dopo averlo ricevuto, dovrebbe essere un amico più prezioso di ogni ricchezza.
L'ingratitudine dei vili viene stigmatizzata da Teognide quando afferma che è del tutto insensato il favore ( mataiotavth cavri") di chi fa del bene ai deiloiv :" i\son kai; speivrein povnton aJlov" polih'" " (Silloge, vv. 105-106), è come seminare l'abisso del mare canuto[13].
Secondo Shakespeare fu l'ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, a vincere la resistenza del grande Cesare che allora cadde:"Ingratitude, more strong than traitors' arms,/quite vanquished him: then…great Caesar fell" (Giulio Cesare , III, 2).
Nel Tito Andronico l'imperatrice Tamora, ex regina dei Goti, suggerisce all'imperatore Saturnino di prendere tempo prima di annientare la fazione di Tito che lo ha appoggiato nell'ascesa al trono: rischierebbe di essere soppiantato "for ingratitude,/Which Rome reputes to be a heinous sin" (I, 1), che Roma considera essere un peccato odioso.
L'ingratitudine è anche una forma diffusa di disprezzo dell’ umanità, dell’altrui e della propria. Seneca: “ Torquet se ingratus et macerat; odit quae accipit quia redditurus sit ” Ep. 81, 23, l’ingrato si tormenta e strugge; odia i benefici ricevuti perché pensa al momento di contraccambiarli.
Lo nota pure il "collaborazionista" Céline che non si faceva pagare le visite mediche e subiva una gratitudine rovesciata:"Ero troppo compiacente con tutti, lo sapevo. Nessuno mi pagava. L’ho poi visitato gratis, soprattutto per curiosità. E' un torto. Le persone si vendicano dei favori che loro fate"[14].
I valori forti, la fides[15], il pudor e altri, sono forse universali e assoluti, comunque sono considerati contrassegni delle persone per bene anche in culture lontane dalla nostra e pure da autori di altre letterature.
Gli Sciti che vanno a parlare con Alessandro Magno, ai confini nord orientali delle sue conquiste, attribuiscono alla fides e al rispetto umano la forza del sacro: “nos religionem in ipsa fide ponimus: qui non reverentur homines, fallunt deos”[16], noi riponiamo la religione nella lealtà stessa, chi non rispetta gli uomini, inganna gli dèi.
Sentiamo Gončarov che descrive l’animo buono di Oblomov: “ Per quanto avesse trascorso la gioventù in crocchi di giovanotti che presumevano di sapere tutto, che avevano già da un pezzo risolto tutti i problemi della vita, che non credevano in nulla e tutto analizzavano con gelida saggezza, nell’animo di Oblomov s’era conservata la fede nell’amicizia, nell’amore, nella dignità, nell’onore e, per quanto potesse essersi sbagliato e potesse ancora sbagliare nel giudicare la gente, se il suo cuore ne aveva sofferto, la sua fede nel bene non ne era mai stata intaccata. Egli si inchinava dentro di sé alla purezza femminile, ne riconosceva la potenza e i diritti e le offriva sacrifici…Oblomov era un giusto di fatto…Gli uomini ridono di simili originali, ma le donne li riconoscono subito; le donne pure e caste li amano per simpatia, le corrotte cercano di avvicinarli per dimenticare la propria rovina”[17].
Bologna 17 dicembre 2024 ore 20, 12 giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1653286
Oggi199
Ieri247
Questo mese6536
Il mese scorso11873
[1] H. Hesse (1877-1962), Scritti autobiografici, p. 196.
[2]L'arte d'amare , p. 43.
[3] E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 40.
[4] F. Nietzsche, fr. 9 (35) in Frammenti postumi 1887-1888.
[5]C. Magris, L'anello di Clarisse , p. 17.
[6]F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III (1874), Schopenhauer come educatore, p. 192
[7] In otto libri, composta dopo il 36I.
[8]Jaeger, op. cit., p. 285.
[9] Del 431 a. C.
[10] Del 438 a. C.
[11] La prima redazione è del 423 a. C.; a noi è giunta la seconda, di qualche anno successiva.
[12] L’Aiax mastigophorus di Livio Andronico traduce liberamente: “praestatur laus virtuti, sed multo ocius/verno gelu tabescit”, si offre lode al valore ma essa si scioglie molto più in fretta del gelo a primavera.
[13] L'immagine risale ad Alceo:"chi fa doni a una puttana è come se li gettasse nelle onde del mare canuto" (fr. 117 Voigt).
[14] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 257.
[15] Ci torneremo con maggiore ampiezza al capitolo 56.
[16] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 7, 8, 29
[17] I. Gončarov, Oblomov, p. 348.
Nessun commento:
Posta un commento