mercoledì 11 dicembre 2024

Ifigenia XXX. Alcune parole e mosse funzionali al successo nelle mie “donnesche imprese”.


 

 

Ifigenia aveva capito e soffriva l’ignobile proposito mio di non prendermi alcuna responsabilità pretendendo che lei se la cavasse da sola con il marito, grande grosso e magari infuriato. A un tratto però la ragazza sfoderò la sua bella fierezza di femmina abituata a essere desiderata dagli uomini, e, non senza disprezzo, disse: “Non avere paura per te: ieri mi sono chiusa in camera senza parlare, oggi a casa mia non torno,  e tanto meno verrò nella tua”.

Rimasi spiazzato e le domandai: “Dove pensi di andare? Se non sono indiscreto”

“Non ti riguarda”-rispose, volgendosi di nuovo verso la caligine esterna che le abbuiava completamente il viso già cupo per la disillusione provata davanti a tanta meschinità.

 

In seguito alla dura risposta fui preso dalla paura di perdere il piacere  di tale femmina umana, bellissima e  fiera, un piacere che tenevo in maggior conto dei sentimenti, soprattutto dei suoi.

Sicché cambiai tono e dal mio repertorio tirai fuori alcune battute piene di compassione e di promesse.

Ma Ifigenia non si lasciò commuovere né incoraggiare: continuava a fissare la tenebra esterna come se fosse più interessante delle parole che le andavo dicendo. Del resto nemmeno queste erano chiare.

 

Allora la paura di perdere il godimento della sua bella forma corporea, il desiderio di fare l’amore con lei tante altre volte, e forse anche la remota coscienza che perderla troppo presto era andare contro il destino in quanto con lei dovevo creare qualche cosa di grande e meraviglioso, prevalsero sulla paura di prenderla ancora per mano e aiutarla.

Ricordai  la sera dell’agosto del 1971 quando riuscìi a trattenere  Helena che mi stava lasciando, realizzando  la più nobile e bella delle mie donnesche imprese. Sicché mi feci tornare in mente tanto le parole  quanto i gesti da melodramma di allora e rimisi  insieme le espressioni di sollecitudine che mi erano valse a  riconquistare l’attenzione della grande donna di quell’estate lontana[1].

La commedia funzionò anche questa volta. Ifigenia mi guardò rabbonita, sicché potei  rivolgerle un sorriso non stirato dall’angoscia né capovolto dall’ironia, e la ragazza mi  contraccambiò l’espressione rasserenata, quasi a significarmi che poteva capire e compatire la mia vigliaccheria.

Quindi cominciai ad azzardare il gesto di una carezza mentre le dicevo che avrei voluto baciarla e asciugare le sue lacrime con i baci lacrimasque per oscula siccare.  Mi sovvenne quanto il latino piaceva a Kaisa nell’estate del 1972[2]. Un’altra giovane donna corteggiata come si deve.

Dai dolori sofferti si impara ma dai successi goduti ancora di più.

Avevo ripetuto un’altra mossa giusta nella partita  a scacchi che stavo giocando:  piacque pure a Ifigenia  che mi domandò: “ E questo chi è?”

E’ Ovidio nei Fasti  (III, 509). L’ho scritto per te lettore.  

A lei invece non potei dirlo perché alle nostre spalle era piombato il preside nostro, certamente non per dirci “bravi!”.

 

Bologna 11 dicembre   2024 ore 19, 58 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Cfr. Il mio Tre amori a Debrecen. Si trova in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

[2] Questo è il secondo dei Tre amori a Debrecen.

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