Quindi, sempre nel 66, Nerone passò in Grecia, non come Flaminino che nel 197 sconfisse Filippo V a Cinoscefale e nel 196 proclamò la libertà della Grecia, né come Mommio (Movmmio~. Mummius)
Lo fece in maniera diversa.
Vediamo cosa fece Mummio.
Nel 146 la lega Achea si sollevò contro Roma, ma il console Mummio la sconfisse a Leucopetra e disperse, quindi prese Corinto che venne brutalmente saccheggiata[1].
Il saccheggio di Corinto del 146 a. C.
Il XXXIX libro delle Storie di Polibio, narra l'orribile saccheggio di Corinto. Il geografo Strabone (60 a. C. 21 d. C.) riferisce ( VIII, 6, 28) che Polibio stesso racconta di avere visto i soldati romani giocare a dadi sui dipinti gettati a terra. Torna a proposito a questo punto una riflessione di Eumolpo del Satiricon :"noli ergo mirari, si pictura defecit, cum omnibus dis hominibusque formosior videatur massa auri, quam quicquid Apelles Phidiasque, Graeculi delirantes fecerunt "(88), non meravigliarti dunque se la pittura è venuta meno, dal momento che a tutti gli dèi e gli uomini sembra più bello un mucchio d'oro che qualunque capolavoro crearono Apelle e Fidia, Grechetti deliranti.
Lo storico collaborazionista si adoperò perché i Greci accettassero la trasformazione della Grecia in provincia (145 a. C.). Elleni e Romani gli furono riconoscenti e ogni città fece di tutto per conferirgli i più alti onori sia da vivo sia da morto. Anche di questi onori si può dire che il primo ad attribuirseli è lo stesso Polibio il quale anzi aggiunge di averli meritati poiché senza la sua opera avrebbe trionfato la confusione, mentre tale vittoria sul caos va ritenuta la più splendida impresa compiuta da lui. Segue un elogio di L. Mummio che, come proconsole, fece riparare il luogo dei giochi istmici, ossia il santuario di Poseidone a 12 Km. dalla città, e adornò i templi di Olimpia e Delfi ricevendo grandi onori come uomo pio, moderato, onesto e mite.
Mi ricorda in qualche maniera "il re buono", Umberto I, che fece decorare il generale Bava Beccaris il quale aveva ordinato un'ecatombe di mendicanti raccolti attorno a un convento di Milano nel maggio del 1898.
Polibio però ha l'accortezza di tentare una giustificazione delle devastaziono di Mummio, come quella dei cavalieri di Calcide: nei casi in cui sembrava avere trasgredito il suo dovere, non l'aveva fatto di sua iniziativa ma perché vi era stato spinto dagli amici che aveva vicino ("ejmoi; me;n oujk ejfaivneto di j eJauto;n tou'to pepoihkevnai, dia; de; tou;" parakeimevnou" fivlou"", Polibio, 39, 6, 4).
Nerone dunque andò in Grecia per condurre cocchi, suonare la cetra, declamare e recitare poesie ( Cassio Dione, 63, 8). Roma infatti non gli bastava più: “ouj ga;r h[rkei aujtw'/ hJ JRwvmh “ (63, 8), né il teatro di Pompeo, né oJ mevga~ iJppovdromo~ ; egli voleva vincere in tutti e quattro i grandi giochi, voleva diventare periodonivkh~.
Si portò dietro un esercito tanto numeroso che con esso avrebbe potuto conquistare la Partia, ma avevano come armi kiqavra~ te kai; plh'ktra proswpei'av te kai; embavta~, cetre e plettri, maschere e coturni. Si coprì di ridicolo (gelw'ta, 63, 9). Cantava, portava i capelli lunghi (thn; kefalh;n komw'nta) e il mento rasato.
In questo modo Nerone proscrisse se stesso: “Nevrwn de; eJauto;n proevgrayen” (63, 9).
Ottenne tante corone arboree (alloro, olivo, pino), ma perse quella politica. Per giunta interpretava ruoli da mendicante, da cieco, da incestuoso, da matricida Edipo, Tieste, Ercole, Alcmeone, Oreste. Indossava maschere simili alle facce dei personaggi, o alla sua; le maschere femminili simili a Poppea Sabina o{pw~ kajkeivnh kai; teqnhkui'a pompeuvh/ (63, 9), affinché quella anche da morta partecipasse. Naturalmente la folla e i soldati acclamavano il vincitori di tutti gli agoni Puqionivkhn te aujto;n kai; jOlumpionivkhn kai; periodonivkhn pantonivkhn (63, 9).
Una volta un soldato rispose -tivktei- partorisce, a uno che gli aveva domandato tiv poiei' oJ aujtokravtwr; infatti interpretava la parte di Canace che ebbe un figlio dal fratello Macareo (Cassio Dione, 63, 10); Svetonio 21.
Cassio Dione afferma che la gente veniva pagata per andare ad applaudire l’imperatore e che Nerone da un lato liberò la Grecia, ma dall’altro fece uccidere moltissimi uomini, donne, bambini (63, 11). Quindi si impadroniva dei loro patrimoni.
In realtà Nerone soppresse la provincia di Acaia e fu salutato dai Greci come Zeu;~ jEleuqevrio~ .
Lo attesta l’iscrizione di jAkraifivh in Beozia rinvenuta dall’epigrafista Maurice Holleaux: “Greci, vi faccio un dono tanto grande che voi stessi siete incapaci di chiederlo, ammesso che ci sia qualcosa che da un uomo magnanimo come me non si possa aspettare. A tutti voi, uomini dell’Achaia e del Peloponneso, accordo la libertà e l’esenzione dalle tasse”. Novembre del 67 d. C. Fece in Grecia quello che non aveva potuto a Roma.
A Roma era il liberto imperiale Elio che confiscava, esiliava e mandava a morte. Rimase fedele a Nerone fino all’ultimo, come Pitagora.
Sicché l’impero romano si trovò a essere servo di più imperatori. Nerone emulava gli attori, il liberto emulava i Cesari. Tigellino era l’assistente di Nerone.
Nerone si maritò con Sporo in Grecia e i Greci festeggiarono le loro nozze (63, 13).
Con Pitagora invece, l’ amante che faceva da maschio, Nerone si ammogliò.
Tacito nelle Historiae annovera anche il futuro imperatore Vitellio tra i frequentatori dell’aula Neroniana, la corte di Nerone. Anzi era un suo esaltatore fanatico: “Namque et Neronem ipsum Vitellius admiratione celebrabat”; avvicinandosi a Roma, dopo la vittoria su Otone (imperatore da gennaio ad aprile) a Bedrĭăco nell’aprile del 69, e passando per Bologna, Vitellio era vergognosamente accompagnato da istrioni e da eunuchi, il contorno dell’aula Neroniana (II, 71).
Una corte che prefigura le sontuose corti degli imperatori teocratici del basso impero.
Anche nel vestire Nerone parhnovmei, trasgrediva i costumi tradizionali (paranomevw). Indossava una tunica a motivi floreali (citwvnion a[nqinon, 63, 13) e un drappo di lino (sindovnion) intorno al collo. Oppure indossava ajzwvstou~ citw'na~, tuniche senza cintura.
Durante i giochi Olimpici cadde dal cocchio ma venne premiato ugualmente.
Cfr. la Tebaide di Stazio e la fondazione dei giochi Nemei con la caduta di Polinice il quale precipita dal carro ma il suo cavallo Arione, figlio di Poseidone, arriva primo. Viene però premiato Anfiarao con il cavallo Cicno: “gloria mansit equo, cessit victoria vati” (VI, 530) .
Nerone fece doni ai giudici e alla Pizia, doni che vennero recuperati da Galba (63, 14) capax imperii nisi imperasset (Tacito, Historiae, I, 49).
Voglio fare un elogio della brevitas di Tacito attraverso Leopardi: “Quanto una lingua è più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole per esprimersi, e viceversa quanto è più ristretta, tanto più le conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione perfetta. Non si dà proprietà di parole e modi senza ricchezza e vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza proprietà” (Zibaldone, 1822).
Nerone tolse all’oracolo di Delfi il territorio sacro di Cirra[2] tra Delfi e Itea, quindi abolì l’oracolo ( Cassio Dione, 63, 14). Forse per un responso sgradito, oppure perché era pazzo. Oppure perché non voleva conoscere il futuro
Nel Romanzo di Alessandro, di età ellenistica (fra il 300 e il 150 a. C.) l’eroe macedone sogna il dio Sarapide che gli dice: kai; su; tou'to kavlliston dovkei, to; mevllon ejn soi; mh; proeidevnai, file” (I, 33, 64-65), questo anche tu considera la cosa più bella, non conoscere il futuro che ti riguarda.
Del resto durante il viaggio in Grecia Apollo delfico l’aveva rassicurato quando preconizzando che doveva guardarsi dal setttantareeesimo anno anni, come se a quell’età dovesse morire. Nerone non lo interpretò con l’età di Galba: septuagesimum ac tertium annum cavendum sibi audivit, quasi eo demum obiturus, ac nihil coniectans de aetate Galbae (Svetonio, Vita, 40).
Vediamo qualche parola di greco moderno
C’è una poesia di Costantino Kavafis (1863-1932) che ricorda questo episodio: La scadenza di Nerone. L’imperatore non si turbò o{tan a[kouse-tou' Delfikou' Manteivou to;n crhsmov, quando udì il vaticinio dell’oracolo delfico.
“Ta, eJbdomh'nta triva crovnia na; foba'tai”. Non teme il settantreeesimo anno Aveva tempo ancora da godere. Triavanta cronw'/ ei\nai. C’erano trenta anni. Torna piacevolmente stanco dal viaggio. Un viaggio di piacere. Sere di città dell’Acaia.
Intanto l’anziano Galba in Spagna prepara le sue truppe. Un vecchio di 73 anni.
Cesare ebbe segni che preannunciavano la sua morte, come Alessandro Magno, ma to; peprwmevnon quanto è sembra essere oujc ou{tw~ ajprosdovkhton wJ~ ajfuvlakton (Plutarco, Vita di Cesare, 63), quanto è assegnato dal destino non non è tanto inatteso quanto inevitabile.
Nerone partì per la Grecia nell’autunno del 66. Volle partecipare a tutte le gare. Volle che i giochi della ventunesima olimpiade che cadevano nel 65 venissero rimandati nel 66 e spostati dall’estate all’autunno. “Nerone non andò in Grecia per ammirare il panorama, bensì per farsi ammirare” (E. Champlin, Nerone, p. 71).
Nerone volle anche tagliare l’Istmo del Peloponneso (dioruvxai ejpiqumhvsa~, 66, 16), anzi cominciò a scavare lui con una forca.
In questo periodo (67) fece suicidare Corbulone. Corbulone colpendosi con la spada disse “a[xio~” (63, 17), me lo merito!
Poi fece ammazzare il pantomimo Paride poiché voleva imparare a danzare da lui, ma non gli riusciva.
Il liberto Elio andò in Grecia ad avvisare Nerone che si stava preparando una vasta congiura contro di lui (megavlhn tina; ejpiboulhvn, 66, 19) e Nerone tornò a Roma. Partì nel dicembre del 67.
A Roma fece una processione sul carro trionfale (ejf a{rmato~ ejpinikivou) già usato da Augusto; aveva una veste di porpora (cfr. il sangue), un mantello trapunto di stelle d’oro (in veste purpurea distinctaque stellis aureis chlamyde. Svetonio, 25) poi era incoronato con una ghirlanda d’olivo e aveva in mano l’alloro pitico. Voleva essere un trionfo artistico. Infatti entrò nel tempio di Apollo, il dio dei citaredi. Invece del paludamentum del generale, il mantello costellato (distincta clamys), simbolo della volta celeste, come la cupola della domus aurea, la dimora del kosmokravtwr.
La folla lo acclama come Nerone-Apollo e Nerone-Eracle.
Veniva acclamato come ei|~ periodonivkh~ (66, 21), unico vincitore di tutti e quattro i giochi e iJera; fwnhv, voce santa. Nerone aveva accumulato 1808 corone.
Con questo culto di Apollo, Nerone si collegava ad Augusto. “Guidando il carro usato da Augusto nei suoi trionfi, applaudito dai suoi Augustiani che lo salutavano ripetutamente come “Augusto”, egli terminò il suo cammino al tempio di Apollo, come riferisce Svetonio.” (Champlin, Nerone, p. 185).
Nerone oltrepassò il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, e procedette a ringraziare Apollo Citaredo sul Palatino e il Sole Auriga nel Circo Massimo. Era stato Augusto a creare il tempio di Apollo su Palatino e a porre l’obelisco del Sole nel Circo Massimo.
“Nel rendere omaggio ad Apollo e al Sole, Nerone rendeva onore anche al suo antenato, il primo princeps”. Augusto aveva rivendicato un rapporto speciale con il dio e aveva proclamato l’avvento della nuova età dell’oro del dio. Come ha fatto Trump dopo essere stato eletto per la seconda volta il 6 novembre del 2024,
Nerone fondava la sua legittimazione come novello Apollo sulla imitatio Augusti.
“A corte regnava l’apollineismo. Non si tratta dell’Apollo augusteo, dio equilibrato e sereno, ma di un Febo irrazionale e appassionato, divinità dell’entusiasmo sacro, della stravaganza e dell’esuberanza, in breve dell’ajgwvn neroniano: un Apollo imparentato con Bacco, che diviene il dio tutelare di Nerone” (Cizek, Nerone p. 313).
Come Apollo delle Baccanti dove Tiresia dice a Penteo che Dioniso sarà presente a Delfi, nel santuario apollineo.
Per giunta lo vedrai un giorno saltare anche sulle rupi
Delfiche con le fiaccole l'altopiano a due cime
agitando e scagliando il bacchico ramo,
grande per l'Ellade. (Baccanti, 306-309).
Il quarto stile pompeiano ( dal 40 al 79: Domus aurea, Casa dei Vettii, Casa dei Dioscuri a Pompei) attinge spesso ispirazione dal teatro e gode del favore di Nerone. Interi muri sono decorati con episodi tratti dalle tragedie di Euripide. L’architettura tende alla linea curva e all’invenzione libera, con motivi irrazionali e fantastici.
In letteratura è finito l’ottimismo degli augustei. Si ripropone in forme nuove il patetismo colorito degli oratori asiani e l’anomalismo dei filologi e dei grammatici di Pergamo. Le opere sono caratterizzate da una visione tragica e appassionata dell’esistenza, dall’introspezione, dall’espressione soggettiva, dalla volontà di stupire anche con il mostruoso. Si può pensare al film Parthenope di Sorrentino.
Poi c’è la ricerca della concisione (cfr. III stile), della brevitas, il gusto della sententia e della parola che fanno centro, che colpiscono la sfera emotiva. La ricerca della frase sorprendente, dell’espressione pungente, del particolare straordinario.
Seneca tende a un’analisi psicologica fondata sull’antinomia del bene e del male. Lucano proclama la novità e il valore della sua opera assimilandola a quella all’epos omerico (Phars., 9, 980-986).
Lucano è pure un anti Virgilio. In lui il dolore è sempre violento, il pathos è sempre presente, l’atmosfera generale è fatta di lotta, disperazione, crudeltà, paura.
Bologna 7 novembre 2024 ore 17, 25 giovanni ghiselli
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[1]Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano fa dire all'imperatore:"Erano dappertutto visibili le tracce dei nostri crimini: le mura di Corinto demolite da Memnio", p. 73.
[2] Cfr. Guerra sacra: Tessali e Tebani contro Focesi, Ateniesi e Spartani. Filippo appoggiò i Tessali. Nel 352 Filippo distrusse l’esercito guidato dal focese Onomarco, e lo uccise. Quindi avanzò in Tessaglia ma in agosto trovò gli Ateniesi alle Termopili.
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