Il giorno seguente pedalammo fino a Egion lungo la costa meridionale del golfo di Corinto da est a ovest.
Sulle strade greche anche lungo il mare non mancano mai le salite ma queste erano piuttosto brevi pure se ripide ed erano seguite tosto da rapide discese. Sicché non ero tutto impegnato a pedalare e potevo pensare anche ad altro.
Giunto alla penultima tappa mi domandavo quale era il significato principale del viaggio. Avevo voluto mettere alla prova le forze residue del povero vecchio ottantenne che sono e mi ero confrontato con l’immagine del ragazzo gagliardo che conservo nel mio museo mentale prima che questo diventi un sepolcro monumentale, un Mausoleo.
Il 17 luglio dunque nel primo pomeriggio arrivammo a Egion dove prendemmo due camere più costose del necessario perché sul mare c’è un solo albergo. Ma dopo la topaia di Nauplion non potevo più sopportare la visione dello squallore illimitato.
Anche qui avevo tempo per riposare, camminare lungo la spiaggia e ricordare. Mi tornò in mente la prima volta che arrivai in questo luogo ameno. La costa si trova in un’insenatura circondata dai monti come quelle di Kalamàta e di Nauplion. Mare e monti in una bella visione: dagli opposti stupefacente armonia.
La prima volta dunque fu nel 1977: il mio debutto in Grecia a 32 anni e otto mesi. Avevo una costola rotta per una caduta dalla bicicletta a San Benedetto del Tronto. Avevo pedalato così ferito fino a Termoli con forza, ma il dolore cresceva di chilometro in chilometro e andai nell’ospedale molisano a farmi visitare. I medici mi proibirono di continuare la pedalata, sicché dovetti lasciai la bici in albergo e proseguire con i mezzi pubblici.
Fulvio continuò con la bicicletta e ci si vedeva durante le soste.
Fu di nuovo il mio fratello di carità come quando ci eravamo conosciuti a Debrecen nel 1966.
La prima notte di Egion dopo la cena con vista estasiata sul golfo montuoso Fulvio e io dormimmo in un piccolo albergo vicino alla stazione dove ero arrivato in treno. Ci avrei passato diverse altre notti, una con Ifigenia dopo che ci si era lasciati ma facevamo ancora l’amore nell’agosto del 1981, un’altra con una donna che voleva fare l’amore mentre io non volevo, e andai a chiedere una specie di asilo politico nella stanza di altri due amici. Questi ricordi testimoniano la varietà della vita e i capricci della fortuna.
L’alberghetto nei pressi della stazione venne annientato da un terremoto scuoriterra nei fatti. Non nei miei ricordi come vedete.
Noi mortali procediammo sempre sul filo del rasoio della sorte.
Torno alle impressioni del primo viaggio in Grecia quello dalla costola rotta. Tutto quello che vedevo mi incantava. Dall’opera meravigliosa del maestro di Olimpia, al santuario di Delfi, l’ombelico del mondo situato sulla pendice occidentale del Parnaso dai due gioghi dove giurai che sarei salito in bicicletta nel viaggio successivo, al canto delle cicale pazze di sole e sempre vicine durante le ore calde, al verso delle rane lontane quando l’aria si rinfresca e si imbruna. Perfino la dimensione delle formiche raddoppiata dal sole e dal caldo che ingrandisce la vita mi commuoveva.
Ora i media perseguono una campagna diffamatoria contro il caldo che fa soltanto bene alla vita e incentiva la gioia di vivere. Deve prevalere la tristezza perché la gente cerchi di consolarla comprando di tutto. Con pochi soldi per giunta: lo scontento del vivere deve aumentare perché ci si possa rassegnare alla schiavitù e alle guerre.
Torniamo di nuovo al 1977. Ero al secondo anno di insegnamento del greco antico e mi sentivo contento se potevo capire le parole scritte in greco moderno. Il parlato non lo capivo perché a scuola ci hanno insegnato una pronuncia-detta erasmiana- piuttosto lontana da questa attuale: noi leggiamo boulhv (bulé) la parola con le medesime lettere che i Greci pronunciano “voulì”, per esempio.
Durante il primo viaggio, tutto mi appariva circonfuso di mito e poesia.
Ora è un vecchio che scrive per lo più disincantato assai, eppure la mia carissima Grecia è rimasta un luogo fatato, pieno di dèi e di eroi i cui segni appaiono ovunque.
Non ho mai detto come i coreuti dell’Edipo re di Sofocle: “Non andrò più all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia”, anzi dopo la prima volta ci sono tornato e ritornato, fino al Parnaso, all’Olimpo, alla tomba di Filippo il Macedone, fino a Troia dove Fulvio sulle mute vie recitò splendidamente a memoria tutto il carme dei Sepolcri di Foscolo che evoca gli eroi. Per far più belle quelle rovine e la nostra pedalata. Erano con noi i due amici del quartetto di tante estati pedalate su e giù per l’Ellade sacra: Maddalena e Alessandro. Ora l’amico fraterno Fulvio, più che fraterno riposa tra i nostri eroi.
In questo ultimo viaggio sono arrivato a momenti di tanta stanchezza da sentirmi come una vecchia farfalla stordita.
Mi ha suggerito questo paragone una bestiola siffatta che trovai sul pavimento di legno della camera dove avevo dormito l’ultima notte del viaggio a Egion. La raccolsi con della carta, attento a non ferirla, la misi sul davanzale, quindi le sollevai la parte posteriore con una penna postale sotto. La bestiola volò via sana e salva.
Un segno? Certamente: un demone o un dio mi aveva avvisato: “anche la tua salvezza dipende dalla penna: “devi scrivere!”. “Lo farò- ho risposto- stanne certo, chiunque tu sia”
In fondo ho affrontato questo ultimo viaggio da pedalatore assai annoso anche, forse soprattutto, per scrivere queste pagine belle.
Bologna 10 novembre 2024 ore 9, 40 giovanni ghiselli
p. s.
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