Tale impianto non è estraneo nemmeno alla storiografia romana: si può pensare a Sallustio[1]: "primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere " (De coniuratione Catilinae[2] , 10) prima crebbe la brama del denaro, poi quella dell'impero, ed esse furono per così dire l'esca di tutti i mali[3].
Ma la condanna più celebre[4] dell’imperialismo romano è il discorso di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli, ricostruito nell'Agricola[5] di Tacito:" Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant " (30), ladroni del mondo, dopo che alle loro devastazioni totali vennero meno le terre, frugano il mare: se il nemico è ricco, avidi, se povero, tracotanti, essi che né l'Oriente né l'Occidente potrebbe saziare: soli tra tutti bramano i mezzi e la loro mancanza con pari passione. Rubare, massacrare, rapire con nome falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace. Siamo nell’84 d. C.
Non dice meno sull’avidità dei colonizzatori romani il Mitridate di Sallustio che nelle Historiae[6], scrive al re dei Parti Arsace una lettera anti-imperialista :"Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?
Mitridate fece ammazzare 80 mila commercianti italici in Asia.
Venne fu sconfitto definitivamente da Pompeo nel 66 a. C.
In carica dal 111, morìsuicida nel 63.
Era stato re del Ponto situato nell’Anatolia nord orientale tra i fiumi Fasi e Halys, la Colchide di Medea insomma e Mitridate aveva esteso fino alla Tauride (Crimea).
La condanna dell'imperialismo romano ha un seguito nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis:"vi furono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladroni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loro mogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le ceneri della loro patria la loro sacra indipendenza"[7]. E più avanti:" quando i Romani rapinavano il mondo, cercavano oltre i mari e i deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl' Iddii de' vinti, incatenavano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i loro ferri li ritorceano contro le proprie viscere"[8].
Cfr. l’incipit del poema Pharsalia di Lucano (39-65)
Bella per Emathios plus quam civilia campos-, iusque datum sceleri canimus, populumque potentem- in sua victricī conversum viscera dextrā (I, 1-3)
L’incipit della Pharsalia è l’annuncio di un poema anti-Eneide. La distruzione dei grandi miti augustei.
Il gesto autodistruttivo del “popolo potente”, in sua victrici conversum viscera dextrā (Pharsalia, I, 3), corrisponde al topos gestuale di Agrippina negli Annales, e di Giocasta nell’Oedipus di Seneca[9].
Sentiamo Leopardi: “Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatori degli antichi repubblicani. Il più libero è Lucano” ( Zibaldone 463).
Una femminista britanna.
Cfr. Budicca una donna eroica 33-61 d- C.
Diciamo due parole su Budicca. Era la moglie del re degli Iceni, popolazione della Britannia. I Romani ne avevano devastato il regno e violentato le figlie, perciò queste tribù si erano ribellate, nel 59 d. C., sotto la guida della regina Budicca: ella ricordava che era consuetudine dei Britanni combattere sotto la guida di una donna:"solitum quidem Britannis feminarum ductu bellare testabatur " e denunciava la brutalità dei Romani:"Eo provectas Romanorum cupidines ut non corpora, ne senectam quidem aut virginitatem impollutam relinquant ", era giunta a tal punto la cupidigia dei Romani che non lasciavano incontaminata neppure la vecchiezza o la verginità.
La conclusione contiene un tocco femministico:"vincendum illa acie vel cadendum esse. Id mulieri destinatum: viverent viri et servirent" (Annales , XIV, 35), in quella battaglia si doveva vincere o morire. Questo era stato deciso da una donna: vivessero da schiavi i maschi, se volevano. La conclusione della battaglia, favorevole ai Romani, conferma comunque la crudeltà di tali invasori:"et miles ne mulierum quidem neci temperabat ", i soldati non si astenevano nemmeno dall'ammazzare le donne. Per non dire delle bestie. Alla fine vennero massacrati non meno di ottantamila Britanni. "Boudicca vitam veneno finivit " (XIV, 37), Budicca si uccise con del veleno.
Budicca era la regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa ribelle, nel 61 d. C. mise a sacco Londinium e Verulanium e uccise 80 mila persone tra Romani e alleati. Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle donne, racconta Cassio Dione: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (62, 2, 2).
Anche l’aspetto non era usuale: era to; sw'ma megivsth, (62, 2, 3) grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle natiche (mevcri tw'n gloutw'n, 62, 2, 4) e al collo portava una grossa collana d’oro. Si pensi all’ultima Elisabetta I cinematografica.
In questa occasione brandiva una lancia (tovte de; kai; lovgchn labou'sa) con la quale incuteva soggezione a tutti. Esortò i suoi Britanni sminuendo i Romani come effemminati e comandati da femmine: Messalina e Agrippina che dà ordini a Nerone il quale o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6, 3), ha nome da uomo, ma è una donna: i segni sono il fatto che canta e suona la cetra e si imbelletta. Budicca invece regnava su uomini veri che non sanno coltivare la terra né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto bene comune, anche i bambini le donne le quali proprio per questo hanno lo stesso valore dei maschi: “ th;n aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn”[10].
Budicca conclude l’esortazione chiedendo che questa Domizia Nerona (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più su di me né su di voi, ma tiranneggi cantando i Romani : “kai; ga;r a[xioi toiauvth/ gunaikiv douleuvein”, i quali infatti meritano di servire una tale donna.
Bologna 24 novembre 2024 ore 11, 06 giovanni ghiselli
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[1] 86-35 a. C.
[2] Del 42 a. C.
[3] Più avanti (cap. 48) vedremo che la causa principale del dilagare dei vizi fu la fine del metus hostilis coincidente con la distruzione di Cartagine (146 a. C.).
[4] L’ultima frase era uno slogan per noi studenti del ’68.
[5] Del 98 d. C.
[6] Le quali prendevano in esame il periodo 78-67 a. C. Furono composte fra il 40 e il 35. Ci sono giunti solo dei frammenti.
[7] 28 ottobre 1797 .
[8] Ventimiglia, 19 e 20 febbraro.
[9] E' possibile indicare pure dei tovpoi gestuali come quello dell'ostensione del ventre da parte di madri sciagurate, o svergognate: nell'Oedipus di Seneca Giocasta invita prima il figlio, quindi la propria mano, a colpire il ventre:" Eligere nescis vulnus: hunc, dextra, hunc pete/uterum capacem, qui virum gnatum tulit " (vv. 1038-1039), non sai scegliere il colpo: colpisci destra questo ventre qui, così capace che ha accolto il figlio come marito !
Nelle Phoenissae la regina di Tebe cerca di impedire la guerra fratricida gridando:" civis atque hostis simul/hunc petite ventrem, qui dedit fratres viro! " (vv. 446-447), cittadini e nemici insieme, colpite questo ventre che diede fratelli al marito.
L'ostensione del ventre è il gesto estremo di Agrippina: la mamma di Nerone, già ferita alla testa da una bastonata di uno dei sicari mandato dal figlio, si volse all'altro, un centurione della flotta che stringeva un pugnale, e "protendens uterum ‘ventrem feri’ exclamavit multisque vulneribus confecta est" (Annales, XIV, 8), mettendo davanti il ventre materno gridò 'colpisci qui', e fu finita con molti colpi (59 d. C.).
Cassio Dione, “il degno erede della storiografia senatoria latina” A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 40., racconta che Agrippina, come vide il sicario mandato dal figlio, si alzò dal letto , si strappò la veste “ kai; th;n gastevra ajpogumnwvsasa -pai'e-e[fh-tau'thn, jAnivkhte, pai'e, o{ti Nevrwna e[teken” e, denudato il ventre, “colpisci-disse- questo, Aniceto, colpisci, poiché ha partorito Nerone (61, 13).
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