NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 26 novembre 2024

Metodologia 5 e 6. Storia, Letteratura e cinema. I ritratti paradossali.


 

5. Alcuni personaggi appartengono tanto alla storia quanto alla letteratura   che attinge alla storia, e al cinema che fa uso di entrambe.

Ulisse è un personaggio chiave della letteratura, Alessandro Magno della storia. L’uomo che volle farsi re di John Huston.

Baudelaire: Alcibiade, Catilina e Cesare quali splendidi tipi del dandismo. Andrea Sperelli di D’Annunzio è camaleontico come l’Alcibiade di Plutarco, di Cornelio Nepote, di Montaigne, e quanto il Catilina di Cicerone. Alcibiade, Catilina e Cesare sono seduttori tipici. Hanno un antecedente in Odisseo, con l’aggiunta della bellezza. Alcibiade nel Simposio di Platone, quindi  in Nietzsche. Alcibiade  prefigura anche il  don Giovanni di Kierkegaard. La Penna: il ritratto paradossale mescola vizi e virtù. Catilina, Othone, Enrico V,  papa Alessandro VI e altri.  

 

 

L’antico greco più presente nella cultura europea è forse odisseo: ““Ulisse è uno di quei personaggi che dalle profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un personaggio chiave”[1].

Alessandro Magno è uno dei personaggi chiave della storia.

Ci metto anche Pericle, Annibale,  Cesare e Nerone.

 

 

Il metodo mitico, fatto di comparazioni tra antico e moderno, è plausibile anche per gli attori delle vicende storiche; essi possono apparire contemporaneamente, e problematicamente, sia positivi sia negativi, e appartenere tanto alla storia quanto alla letteratura. Si pensi al Serse  dei Persiani di Eschilo, al Giulio Cesare, al Coriolano, all’ Antonio e Cleopatra di Shakespeare, al Caligola di Camus (del 1938), oppure al Catilina (1848), o al Giuliano imperatore (1896) di Ibsen . Si può pensare ai film su Scipione l’Africano e Annibale, su Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, o sull’Iliade, su Leonida alle Termopili, su Alessandro Magno.

O anche Amleto. La  storia di Amelethus si trova già nelle Gesta danorum di Saxo Grammaticus che risalgono alla fine del XII secolo.

Amleto è presente anche nella psicologia

Freud sostiene che Amleto è un giovane bloccato nell’eseguire la vendetta dalla coscienza che lo zio ha attuato quanto avrebbe voluto fare lui stesso:" Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d'uomo la cui vigorosa forza d'agire è contrastata dall’oppressione dell'attività mentale ("la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero", Amleto,  III, 1). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell'ambito della nevrastenia. Senonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell'adempimento del compito che lo spettro del padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull'uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l'uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi" (S. Freud, L'interpretazione dei sogni , pp. 250-251)

 

Voglio fermarni un momento sulla presenza dell’eroe macedone in un film, non recente, di John Huston. Si tratta di L’uomo che volle farsi re (The man who would be king,1975) tratto da un racconto di Kipling[2].

Vi si trovano elementi di storia e di letteratura.

Due avventurieri (Sean Connery e Michael Caine),  ex sergenti dell’esercito britannico e massoni, partono dall’India di fine Ottocento per cercare fortuna nel Kafiristan. Quando vi arrivano, aiutano il capo di un villaggio a sconfiggere una tribù nemica, e uno dei due, Sean Connery, rimasto illeso da un colpo di freccia infilatosi nella bandoliera, viene acclamato dagli indigeni come Sikander.

Allora domanda all’interprete: “what does Sikander mean?”, che cosa significa Sikander? L’indigeno risponde, nel suo incerto inglese: “Sikander a god, come here long ago from the West”, Sikander è un dio che venne qui tanto tempo fa dall’Ovest. Sikander dunque è Alessandro Magno: l’avventuriero ricorda di avere avuto una notizia del genere da Kipling di cui il regista ha fatto un personaggio del film.

Sikander builded great city Sikanderul, high in mountains, sit in throne”,  ha costruito una grande città alta tra le montagne, e si è fatto re, continua  l’interprete. All people worship him, tutti lo adoravano. Ma poi disse che doveva andare a Oriente e la gente si strappava i capelli e i vestiti. So Sikander promised to send back son, così  promise di mandare indietro il figlio. E ora ha mantenuto la promessa: il guerriero giunto a riportare vittorie è il figlio di Alessandro Magno.

Quindi interviene il secondo avventuriero: “328 a. C. L’ha detto l’enciclopedia”.

 In questo film entrano pure le Baccanti di Euripide con l’incenerimento di Semele provocato dalla gelosia di Era. Viene ricordato da Dioniso nel prologo (vv. 3-6).

Il presunto Sikander vede una bella ragazza e le chiede il nome: Roxane, risponde lei tenendo gli occhi bassi. Allora l’interprete: “Girl afraid”, ha paura. Of what?, di che? Domanda Sean Connery. E l’indigeno: If god takes a girl, she catches fire and go up in smoke, se un dio tocca una ragazza, ella piglia fuoco e svanisce in fumo, God’s heart, a burning torch, il cuore di un dio è come una torcia. His veins run fire, not blood. If god makes love with a girl, she goes in one flash, not ever ashes left, nelle sue vene scorre fuoco, non sangue. Se un dio fa l’amore con una donna, lei subito sparisce in un lampo, non rimangono nemmeno le ceneri.

E lo pseudo Alessandro: “I bet a jealous goddess made that up”, scommetto che è stata la trovata di una dea gelosa.

 

 

Baudelaire[3] compila una breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[4]. Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza (...) è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia"[5].

A questa lista è possibile aggiungere il Petronio di Tacito, e pure personaggi della letteratura quali Dorian Gray di O. Wilde, o Andrea Sperelli di D'Annunzio.

Il protagonista di Il Piacere[6] può trovare un antenato  in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza:"Il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio (....) Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse  del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[7]. L'esteta dannunziano pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[8]. 

Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone egli era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile, in quanto non è in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato:"  jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton" : a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"),  gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo");  in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto  e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai;  poluteleiva/ th;n Persikh;n megaloprevpeian"[9]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o, per dirla con Cornelio Nepote[10], era "temporibus callidissime serviens "[11] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.

 

Anche Montaigne mette in rilievo questo aspetto di Alcibiade:"Ho spesso notato con grande ammirazione la straordinaria facoltà di Alcibiade di adattarsi tanto facilmente a usanze così diverse, senza danno per la sua salute: oltrepassando ora la sontuosità e la pompa persiana, ora l'austerità e la frugalità spartana; così moderato a Sparta come dedito al piacere nella Ionia"[12].

 

Cicerone nell'orazione Pro Caelio[13] attribuisce a  Catilina  dati del carattere simile a questi e ad altri  di Alcibiade . La sua indole multiforme sapeva adeguarsi alle circostanze : "Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare[14] suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere " (Pro Caelio, 6,13), quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.

 

Sallustio mette in rilievo la compresenza di vizi e virtù nel ritratto di Catilina: “Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens sui profusus, ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat…Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant” (5). Catilina, nato da una razza nobile, fu uomo di grande forza di animo e di corpo, ma di carattere malvagio e vizioso. A costui fin dalla giovinezza furono care le guerre intestine, le stragi, le rapine, la discordia civile, e in esse allenò la sua gioventù. Il corpo era capace di sopportare la fame, il freddo, la veglia, oltre ogni credere. Animo audace, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di tutto quello che voleva, bramoso della roba altrui, prodigo della propria, ardente nelle passioni; abbastanza eloquente, poco assennato. Animo immane, bramava sempre lo smisurato, l’inaudito, l’irraggiungibile…Lo stimolavano inoltre i costumi corrotti della città, che due vizi pessimi e opposti travagliavano: il lusso e l’avarizia. 

Alcibiade, Catilina e Cesare sono seduttivi. Hanno un antecedente in Odisseo, con l’aggiunta della bellezza.

 

  Nel Simposio  di Platone Alcibiade racconta di avere detto a Socrate:"Su; ejmoi; dokei'"...ejmou' ejrasth;" a[xio" gegonevnai movno""(218c), tu mi sembri l'unico amante della mia levatura. In questo caso però l'uomo erotico, che sullo scudo si era fatto incidere non stemmi gentilizi, "ajll j   [Erwta keraunofovron"[15], ma un Eros  portatore del fulmine, fece cilecca, in quanto Socrate non fu disposto ad accettare un cambio sfavorevole, concedendogli un lucro spropositato, poiché, gli disse, tu cerchi di barattare una bellezza apparente con una vera e di scambiare oro con rame. E' lo stesso Alcibiade che lo racconta[16]  alludendo all'episodio dell'Iliade [17] nel quale il licio Glauco scambia le sue armi d'oro con quelle di rame dell'argivo Diomede. Questo dovè essere uno dei pochissimi insuccessi di quest’ uomo fortemente seduttivo, se è vero quanto racconta Plutarco, ossia che chiunque trascorresse la giornata in sua compagnia non poteva avere un carattere impenetrabile nè una natura inespugnabile dal suo fascino ("tai'"...cavrisin oujde;n h\n a[tegkton   h\qo" oujde; fuvsi" ajnavlwto"")[18].

Anche Nietzsche mette Alcibiade nel numero ristretto dei seduttori:"allora nascono quegli uomini magicamente inafferrabili ed impenetrabili, predestinati alla vittoria e alla seduzione, le cui più belle espressioni sono Alcibiade e Cesare (ai quali aggiungerei di buon grado Federico II di Hohenstaufen, che secondo me è il primo  Europeo), e forse Leonardo da Vinci, tra gli artisti. Essi fanno la loro comparsa proprio in quelle epoche, il cui proscenio è occupato dal tipo più debole col suo desiderio di riposo: i due tipi sono in stretto rapporto e vengono originati dalle medesime cause"[19].

Alcibiade è dunque  il modello dell’esteta seduttore che prefigura Catilina, Sperelli, e pure l'esteta di Kierkegaard , il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[20] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[21].

 

La Penna qualifica come “paradossale” questo tipo di ritratto che raffigura un uomo dissoluto, magari anche criminale, eppure capace.

“Per esempio, uno splendido calco del ritratto di Catilina, forse il più splendido dopo quelli fatti da Tacito, è il ritratto del papa Alessandro VI dipinto dal Guicciardini poco dopo l’inizio della Storia d’Italia (I 2): “perché in alessandro sesto…fu solerzia e sagacità singolare, consiglio eccellente, efficacia a persuadere meravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine e destrezza incredibile; ma erano queste virtù avanzate di grande intervallo da’ vizi: costumi oscenissimi, non sincerità non vergogna non verità non fede non religione, avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltà più che barbara e ardentissima cupidità di esaltare in qualunque modo i figliuoli i quali erano molti”….Se il Guicciardini ci ha dato un ritratto così affascinante del principe catilinario, il ritratto dell’altro tipo si potrà riconoscere, in qualche misura, in un testo molto più celebre, cioè nella tragedia di Shakespeare su Enrico V, il principe dissipato, gozzovigliatore[22], che diviene re saggio e capo di eserciti valorosi. A guisa di commiato è opportuno qui riportare, non solo per la sua grazia ma anche per la sua profondità, un passo celebre in cui Shakespeare cerca di spiegare come grandi qualità potessero celarsi nel principe libertino (atto I, scena 2[23], 60 sgg,): “la fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il principe celò il suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio, e questo spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita” (trad. di F. Baiocchi). E’ probabile che Shakespeare non debba nulla alla tradizione antica del ritratto “paradossale” di tipo “petroniano”. Al “paradosso” della compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro “paradosso”, secondo cui il vizio può essere condizione favorevole alla segreta crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe potuto accettarlo? Non è poca cosa, comunque, che storici antichi quali Sallustio e Tacito avessero messo a fuoco il problema: il loro travaglio di pensiero, che coglie le contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed oscura, non li porta troppo lontano dal genio del poeta moderno”[24].

La Penna inserisce in questa lista anche Silla, Cleopatra, Otone e altri.

 

 

 6. La conoscenza dei fatti storici e di quelli letterari è indispensabile alla crescita della persona. Cicerone. C. Pavese. Leopardi e il “secolo di ragazzi”. Alcuni non diventano mai uomini: H. Hesse, Esopo: Prometeo e gli uomini.  Il benessere dell'albero per le sue radici:  la storia antiquaria di Nietzsche. Ancora T. S. Eliot : il senso storico, la maturità della mente, e la visione d’insieme  di tutta la letteratura europea che ha un’ esistenza simultanea. Tutti gli scrittori europei sono saliti sulle spalle di Omero poeta sovrano. L’ aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres. U. Eco: ogni parricidio elimina i padri ricorrendo ai nonni. L’Ulisse di Joyce uccide il romanzo dell’Ottocento e risale a Omero. Luperini: Insegnare la letteratura oggi: “ il genere letterario costituisce il tramite naturale delle diverse esperienze nazionali”.

 

Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo afferma Cicerone nell'Orator [25]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?

Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona.

Lo fa notare C. Pavese:"C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini"[26].

Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani e anziane,  infantilmente insensate[27]: "Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche[28] preparatorie"[29].

 

In fondo ogni uomo è solo "un tentativo, un incamminato. Ma si deve essere incamminati verso la perfezione, in direzione del centro, non della periferia"[30]. Il centro è l'individuazione della propria humanitas, il riconoscimento dell' homo sum.

E’ difficile diventare uomini: “La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità…Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso l'uomo"[31].

 

“Ricordate di certo la favola di Esopo, quando Prometeo, su precisa indicazione di Zeus, plasma uomini e animali. Allorché Zeus si rende conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani, ordina a Prometeo di disfare un po’ di animali per trasformarli in uomini. E’ questo il motivo, afferma Esopo, per il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la loro forma umana sin dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima d’una bestia”[32].

Pro;~ a[ndra skaio;n kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~[33], la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale

 

 

“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[34].

 "Il benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza- è questo ciò che oggi si designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[35]. E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.

 

“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[36].

 

 Il senso storico e quello letterario di T. S. Eliot  impongono una visione d’insieme: "with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order"[37],  con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.

 

La presenza di Omero, particolarmente dell' Odissea, nella letteratura europea è continua. Il poema omerico rimane uno di quei grandi modelli archetipici che nessuna innovazione può ignorare. In effetti "ogni atto d'innovazione, e di contestazione dei padri, avviene sempre attraverso il ricorso a un antenato, riconosciuto migliore del padre che si tenta di uccidere, e a cui ci si rifà"[38].

Omero è uno di quei giganti sulle cui spalle sono saliti in tanti;

:"I poetae novi contestavano la tradizione latina rifacendosi ai lirici greci" continua Umberto Eco e procede citando un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres[39]:"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres  che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia  non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati  in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.

Ogni parricidio ribadisce Eco "elimina i padri ricorrendo ai nonni…Picasso arriva a sfigurare il volto umano partendo da una meditazione sui modelli classici e rinascimentali, e ritorna infine a una rivisitazione di antichi minotauri…E infine, il grande parricidio compiuto sul corpo storico del romanzo, quello di Joyce, si instaura assumendo il modello della narrazione omerica. Anche il nuovissimo Ulisse naviga sulle spalle, o sull'albero maestro, dell'antico"[40]. 

Nel Sofista di  Platone lo straniero di Elea chiede a Teeteto di non credere che  sia diventato quasi un parricida  (241d) se dovrà sostenere, contro il padre Parmenide, che ciò che non è, in un certo senso, è esso pure, e ciò che è, a sua volta in un certo senso non è.

Il senso è che il genere dell’essere  si specifica con il genere del non essere.

 

“L’insegnamento deve mirare a collegare organicamente, attraverso percorsi tematici e per generi, la letteratura italiana a quelle straniere, nella prospettiva di una cultura non solo nazionale ma europea…Si tratta di mostrare le organiche relazioni di ogni letteratura nazionale con le altre e di individuare i livelli che possano permettere tale collegamento. Ebbene, il genere letterario costituisce il tramite naturale delle diverse esperienze nazionali: come, nella lirica, non si darebbero la poesia siciliana e quella stilnovistica senza i provenzali, e, nel romanzo, I promessi sposi non sarebbero stati possibili senza Ivanhoe, così nella saggistica Montaigne non avrebbe potuto scrivere i suoi Essais senza Machiavelli o Guicciardini, e, nel poema religioso, Milton il suo Paradise Lost senza la Commedia di Dante e la Gerusalemme liberata di Tasso”[41].

 

Bologna 26 novembre 2024 ore 19, 15 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] J.Pierre Vernant, C’era una volta Ulisse, p.5.

[2] 1865-1936.

[3] 1821-1867,

[4]Curiosità estetiche  (uscite postume nel 1869).

[5] In Guglielmino/Grosser, Il sistema letterario. Ottocento, p. 1152.

[6] Del 1889.

[7]D'Annunzio, Il Piacere , pp. 42-43.

[8]D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.

[9]Plutarco, Vita di Alcibiade,  23, 4- 5.

[10] 99 ca-24 ca a. C.

[11]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades ,   1, 4.

[12] Montaigne, Saggi, p. 221.

[13] Del 56 a. C.

[14] Si pensi all’Odisseo poluvtropon di Odissea 1, 1, tradotto da Livio Andronico con versutum.

[15]Plutarco, Vita di Alcibiade , 16.

[16] Simposio 218e.

[17]VI 234-236.

[18]Vita di Alcibiade , 24.

[19]Di là dal bene e dal male , V, Per la storia naturale della morale, 200.

[20] S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 156.

[21]S. Kierkegaard, Enten-Eller , p. 40.

[22] Cfr. Dostoevskij, I demoni: “tutto ciò somigliava alla giovinezza del principe Harry che gozzovigliava con Falstaff” (p. 43).

[23] The strawberry grows underneath the nettle,/ And wholesome berries thrive and ripen best/Neighbour’d by fruit of baser quality:/And so the prince pbscur’d his contemplation/Under the veil of wildness; which, no doubt,/Grew like the summer grass, fastest by night,/Unseen, yet crescive in his faculty  Si tratta in realtà della scena 1 dell’atto II. Ndr.

[24] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, pp. 220-221.

[25] Del 46 a. C.

[26]Il mestiere di vivere  , 24 dicembre 1937.

[27]Al capitolo 58 ricorderemo  l'attardato bambino pargoleggiante dell’età d’argento di Esiodo.

[28] Di nuovo il topos della fatica necessaria (cfr. cap. 3).

[29] Dialogo di Tristano e di un amico (1832).  E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) .  Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.

 

[30] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro (del 1943), p. 81.

[31] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.

[32] Francesco de Stisi e Maria Leone, Luna, p. 172.

[33] Esopo, Promhqeu;~ kai; a[nqrwpoi , Prometeo e gli uomini (322).

 

[34] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II,   p. 83 e p. 87.

[35] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, p. 99.

[36] T. S. Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944)  In T. S. Eliot, Opere, p. 965.

[37] Tradition and the Individual Talent (del 1919),

[38] U. Eco, Di fronte ai classici , p. 124.

[39] Filosifo scolstico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.

[40] U. Eco, Di fronte ai classici , p. 132.

[41] R. Luperini, Insegnare la letteratura oggi, p. 100 e p. 146.

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