A mezzogiorno facciamo una sosta. C’è un bar sulla strada che fiancheggia la spiaggia. Alcune ragazze contente camminano nell’acqua bassa con le gonne mosse su e giù come alghe, o meduse iridescenti. I ragazzi corrono sulla rena quali cuccioli che ruzzano lieti.
Alcuni adulti rimasti dentro l’angusto locale si lamentano del caldo, il grande nemico deprecato da pubblicità e propagande varie. Dobbiamo avvilirci nel freddo malsano e fuori stagione prodotto dall’aria condizionata.
Ci saranno si e no, venticinque gradi. A Pesaro quando c’è il garbino è quasi obbligatorio dire “oggi non si respira” e girare con espressione schifata. E’ il vento canto del sud, gradevolissimo per i miei gusti. Se lo dico, mi danno del matto o addirittura dell’ invidioso nemico della salute di ogni persona umana.
Bevo un caffè poi esco di nuovo. Dal tetto scendono ciocche di glicine il cui dolce sapore mi dava una strana consolazione quando ero un bambino vessato per la mia diversità dai coetanei “normali”. La mia stranezza era l’amore per la scuola, lo studio, le lettere, le gare ciclistiche. I campi dove primeggiavo e me ne vantavo.
“Lascia gi’, va’ a casina ghiselli!!!” lascia andare, torna a casa, mi dicevano i meno malevoli. Rispondevo in dialetto per dissimulare il mio abito letterario e significare che dopo tutto ero normale : “Te t’ha ragion, ma me n’ho tort!”
“Lascia gi’ e dai l’oli’” replicavano, intendevano “metti l’olio sulla tua ruggine”.
Bianche colombe volavano su un campo di grano ancora in erba dal verde intenso.
Mi tornò in mente che diventavo più verde dell’erba quando vedevo Marisa in terza media. Era brava a scuola, la ragazza più brava della scuola Lucio Accio. Mi sono sempre piaciute le brave: gioielli, sorelle spirituali. Poi le amanti più amate. Le tre grazie finlandesi. Le meno brave erano al massimo sirenette. Mica da buttare via nemmeno loro però”. Ora penso a Parthenope una signora sirena, speciale.
Le ombre delle ali corrono rapidamente, imprendibili, verso un leggero pendio dove una capra nera brilla nel sole. Sotto le viti ondeggiano al vento schiere di fiori. Vorrei coglierne alcuni per farne un mazzetto da offrire alla dea dell’amore ma li lascio là sotto le viti vicine al mare dove rendono più onore a tutti gli dèi.
Risaliamo nella corriera che percorre la costa meridionale del golfo verso ovest, poi piega a sinistra, diretta a sud. Volgermi a sud dove fa più caldo mi è sempre piaciuto.
“Terre benedette da Dio” diceva la zia Giulia quando si giungeva nella pianura padana, tornando da Moena in settembre quando lassù faceva già freddo di notte e pure la mattina. Bisognava dormire sotto un piumone per non rabbrividire.
Ci avviciniamo a Olimpia. Comincio a pregare. Chiedo a Febo Apollo: “signore dall’arco d’argento, nel 1978, qui in Grecia ti pregai di farmi una grazia e tu spingesti verso di me una splendidissima giovane. Quella ora va via. Tu invece vieni anche ora: “e[lqe moi kai; nu'n”.
Siamo arrivati. “Giungemmo infine: o sacro araldo, squilla!” Annuncia che questo luogo è il più bello del mondo.
Scendiamo
dalla corriera. Devo dare qualche spiegazione ai ragazzi. Lo faccio davanti
all’immagine sacra del tutto congeniale al mio spirito: il frontone occidentale
del tempio di Zeus del maestro di Olimpia. Invito a osservarlo: sulla destra si
vedono mucchi di membra contorte, di teste confuse, di volti feroci. A sinistra
grovigli di corpi deformi e dolenti.
Femmine umane stuprate da centauri biformi: “Ben era il generato dalla Nube
acro e bimembre, uomo fin quasi al pube,
stallone il resto dalla grossa coglia” non posso non ricordare.
Una fanciulla ha la mammella sinistra spremuta da un vecchio mostro dalla bocca spalancata che strepita durante il barbaro stupro.
In mezzo ai due gruppi furenti, prostrati dal dolore e dall’odio, si erge il dio luminoso, latore di armonia e sicurezza: con lo sguardo imperioso e il braccio destro disteso indica la misura santa che tutti dovremmo seguire invece di infliggere violenza e offendere la luce del sole.
Ho visto tanta forza e culto dell’ordine soltanto nei quadri di Piero, il maestro di Sansepolcro dove riposano la mamma le zie e i nonni. Probabilmente anche io avrò l’eterno riposo in quel sepolcro santo. Ma prima devo essere ancora a lungo il Gianni agonista che sono stato per tutta la vita fino a oggi.
Bologna 4 novembre 2024 ore 20, 18 giovanni ghiselli
p. s.
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