In quei giorni del 66 veniva a Roma Tiridate per ricevere l’investitura del suo regno di Armenia.
Tiridate si inginocchiò davanti a Nerone despovthn te aujto;n ojnomavsa~ kai proskunhvsa~ (63, 2).
Nerone lo accolse a Napoli e diede uno spettacolo gladiatorio a Pozzuoli.
Quindi lo condusse a Roma : la città era stata adornata tutta con luci e ghirlande. Nell’agorà affollata il centro era gremito di cittadini vestiti di bianco e coronati di alloro; il resto era occupato da soldati le cui armature abbagliavano la vista. Tiridate disse di essere discendente da re Arsace e fratello del re dei Parti Vologese, ma si sottometteva: “su; ga;r moi kai; moi'ra kai; tuvch” (63, 5), tu infatti sei il mio fato e destino. Nerone disse che lo dichiarava re di Armenia perché sapesse, lui e gli altri, che era in suo potere togliere e donare i regni. Quindi gli pose il diadema sul capo.
“Nonostante la chiusura del tempio di Giano già nel 64, grandi piani per l’Oriente balenavano nella mente di Nerone: determinarne con precisione il contenuto non è possibile, anche se si deve riconoscere che piani di questo genere si ispirano ad Alessandro Magno”[1].
Nerone sognava di rinnovare l’avventura di Alessandro. Quindi faceva una politica che tendeva all’espansione verso oriente. Progettava una grande spedizione militare verso il Caucaso e forse oltre. Seneca nelle Naturales Quaestiones racconta che Nerone inviò una spedizione alla scoperta delle sorgenti del Nilo (6, 8, 3-4)
Quindi Nerone si esibì come auriga e citaredo indossando thvn te stolh;n th;n pravsinon (66, 5) la divisa dei verdi. Infatti tifava per i verdi e faceva parte della prasĭna factio, della tifoseria e la squadra verde, la più popolare. Anche suo zio Caligola era prasinae factioni ita addictus et deditus , ut caenaret in stabulo assidue et manēret (Svetonio. Caligola, 55), cenava e rimaneva in quella scuderia. Voleva assegnare il consolato al cavallo Incitato Incitato equo cui fece avere una stalla di marmo e una mangiatoia d’avorio equile marmoreum et paresepe eburneum
Le altre tre erano la veneta (azzurri), l’alba (bianchi), la russata (rossi).
“Come, novello Caligola, aveva gozzovigliato coi fantini dalle tuniche verdi, nelle loro scuderie, ed aveva pranzato in una scuderia d’avorio, insieme ad un cavallo dal frontale ingemmato”[2].
Davanti a tanto esibizionismo Tiridate rimase disgustato, mentre lodò Corbulone cui rimproverava solo di sopportare un tal despota.
A Nerone disse: “signore, in Corbulone hai un buono schiavo” ( Cassio Dione, 63, 6).
Comunque adulò Nerone che gli diede il denaro per ricostruire Artassata, la capitale dell’Armenia che nel 60 Corbulone aveva distrutto. La chiamò Neronia ( Cassio Dione, 63, 7, 2). Siamo nel 66.
Vologese però non si presentò da Nerone.
Nerone approfittò dei festeggiamenti per eliminare Trasea Peto e Barea Sorano, o per nascondere la scelleratezza con il rumore dell’avvenimento, o, al contrario ut magnitudinem imperatoriam caede insignium virorum quasi regio facinore ostentaret, per ostentare la sua grandezza imperiale con l’uccisione di uomini insigni, un delitto per cos’ dire degno di un re, (Tacito, Annales, XVI, 23).
Trasea era incerto se presentarsi in senato.
Là venne attaccato da Cossuziano suo nemico e delatore. Intanto soldati armati intimidivano i senatori.
La figlia di Barea viene accusata di fare pratiche magiche avere dato denaro agli indovini.
Questa dice che il padre non c’entra: “si crimen est, sola deliqui” XVI, 31), se è un crimine, io sola l’ho commesso.
Un cliente di Sorano lo accusò, un amico leale lo difese. Questo fu cacciato in esilio aequitate deum erga bona malaque documenta (16, 33), per l’imparzialità degli dèi verso i beni e i mali.
Gli dèi insomma non parteggiano per le buone azioni.
A Trasea Peto, a Sorano e a sua figlia Servilia datur mortis arbitrium, si concede la scelta della morte. Gli accusatori vennero premiati. Trasea ascoltava nel suo hortus il cinico Demetrio, vesperascente iam die. Discutevano de natura animae et dissociatione spiritus corporisque (16, 34). Arriva la notizia della condanna, e Trasea invita Arria a non morire con il marito come sua madre. Non doveva togliere l’unico sostegno alla figlia Fannia
Quando il sangue cominciò a colare, Trasea disse: “ Libamus Iovi Liberatori ” Poi al genero Elvidio che era stato solo esiliato disse in ea tempora natus es quibus firmare animum expediat constantibus exemplis (XVI, 35), bisogna rafforzare l’animo
con esempi di costanza.
Bologna 7 novembre 2024 ore 11, 27 giovanni ghiselli
p. s.
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