Il percorso ci portò a Micene dove non facemmo sosta siccome ci eravamo fermati a rivedere il palazzo dei Pelopidi l’anno precedente. Una rocca che trasuda crimini familiari: adultèri, tecnofagia, matricidio e altre uccisione con scrosci di sangue che l’ha fatta crollare.
Troppo tardi Clitennestra grida all’amante: u{parce mhdevn, non dare inizio a nulla, siamo già coperti di sangue hJ/matwvmeqa (1658).
La strada sale non a lungo, poi discende tosto sul golfo di Corinto, una decina di chilometri a ovest della città dai due mari. Si era tornati nell’Acaia. Ci fermammo a Xilocastro come altre volte.
Era ora di pranzo ma noi, pedalatori triti e parchi, dopo le buone colazioni di yogurt e miele si mangiava soltanto la sera passate le nove, sicché c’era tempo per fare del mare o dormire o passeggiare guardandosi intorno, tutto il tempo.
Mi incamminai lungo la spiaggia in direzione ovest, osservando tutto. Su un muro vidi una scritta in greco moderno, e potei decifrarla data la somiglianza con l’antico: “privn peqavnw qevlw na; zhvsw.
Diceva: “Prima di morire voglio vivere davvero”. Ne rimasi fortemente colpito e tornai in camera mia per commentarla.
Copio le parole che scrissi a penna su una ricevuta dell’albergo di Sparta.
“Certamente sarei contento se mi restasse altro tempo da vivere con forza e coraggio in aggiunta a questi quasi ottanta anni che ho impiegato umanamente in favore della vita mia e di tanti altri.
Vorrei rimanere ancora qui sulla terra senza smettere di adoperarmi con amore seguitando a tenere conferenze, a scrivere, a imparare da quello che leggo e faccio, sia dai successi sia dagli insuccessi. Non devo perdere le facoltà acquisite in tanti decenni, anzi potenziarle, almeno conservarle, senza perdere del tutto quelle che inevitabilmente scemano con il volgere delle stagioni che prima portano, poi portano via, come ho constatato in questo giro di 600 chilometri non tutti facili, non sempre.
Devo perseguire il mio compito principale, l’educazione, attraverso le conferenze, il blog, facebook, i libri stampati. Questi per essere letti da molte persone devono venire pubblicati da editori capaci di mettere in circolo e in evidenza opere di valore.
Le storie d’amore che scrivo non sono favolette rosa ma libri che attraverso varie vicende, serie, comiche e tragiche, narrano di rapporti umani più o meno belli, di fatti politici, sociali, morali, ossia dei mores i costumi che si sono avvicendati durante diversi decenni a partire dai primi Cinquanta quando ho iniziato a osservare, ascoltare, riflettere, andare a scuola.
Nella scuola e per la scuola ho passato gran parte della mia vita ed essa trova spesso ampi spazi negli scritti miei. Oggi sta andando in malora, come gli dèi nelle tragedie di Sofocle e pure di Euripide.
La scuola deve funzionare bene, siccome la sua disfunzione diventa quella dell’intera nazione.
Ricorrente nei miei scritti è la critica ai poteri e alle mode che hanno cercato di imporci via via, secondo l’interesse di chi le lanciava. Nei sette decenni abbondanti, nei quali sono ambientate le mie storie, tante mode, più o meno tutte, sono cadute rivelando la loro vanità e il vuoto interiore di chi le ha seguite pedissequamente con identità sempre gregaria.
Non poche riflessioni ho dedicato al problema dell’identità che è il fondamento di ogni persona. Eppure molte non riconoscono la propria. In questi casi essa diventa un problema, provblhma in greco significa ostacolo gettato davanti, un impedimento alla realizzazione dell’umanità e dei talenti di ciascuno i quali non devono rimanere inumati nella fossa comune del conformismo imposto, mentre dovrebbero attuarsi formando la base sicura della persona che va sempre rafforzata attraverso una crescente consapevolezza di sé.
Concludemmo questa bella giornata con una cena nella piazzetta deliziosa del borgo. Vi giocavano tanti bambini fino a tardi correndo contenti e veloci come fanno tutti i cuccioli. Compiaciute li osservavano le mamme. Noi guardavamo con simpatia gli uni e le altre.
Bologna 9 novembre 2024 ore 19, 55 giovanni ghiselli
p. s.
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