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sabato 2 novembre 2024

Nerone e il congedo di Seneca. Politica orientale di Nerone.


 

Intanto Corbulone in Armenia aveva riordinato l’esercito spaventando Vologese, re dei Parti e suo fratello Tiridate re dell’Armenia.

Corbulone scrisse anche dei Commentarii utilizzati da Plinio il Vecchio e conosciuti  da Tacito che ne parla in termini elogiativi (13, 8 e 35).

Nerone aveva cieca fiducia che Corbulone avrebbe soggiogato i barbari e non si sarebbe ribellato a lui.

Corbulone non tradì le aspettative e molti lo detestavano per questa fedeltà. Corbulone conquistò Artaxata, la capitale dell’Armenia. E’ una delle ultime tappe di Annibale[1].

 

 Nerone voleva recarsi in Mesopotamia dove era arrivato Corbulone, ma poiché  era caduto mentre  faceva un sacrificio (Cassio Dione, quvwn e[pese, 62, 22), non osò mettersi in moto: oujk ejtovlmhsen ejxormh'sai e rimase dov’era.

Cfr. invece Alessandro e Cesare che vanno avanti comunque

In ogni caso Tiridate fece atto di sottomissione a Nerone.

 

Vediamo il rapporto di Nerone con Seneca e Burro (fino al 62). Poi Tigellino

 

 Il filosofo e Burro non si opponevano alla stravaganza dello studium histrionale di Nerone per non dargliela vinta su tutto il resto.

Il popolo gradiva le esibizioni del suo imperatore ut est vulgus cupiens voluptatum, et, si eōdem princeps trahat, laetum (14, 14), siccome è avido di piaceri ed è felice se il principe tira dalla stessa parte.

Un arcanum imperii compreso da Berlusconi dai politici in genere e dai giornalisti

Ma non c’erano solo gare di cocchi bensì anche certamina vitiorum (14, 15), vere e proprie gare di vizi dove non si poteva salvare pudicitia aut modestia aut quicquam boni moris. Burro osservava Nerone citaredo maerens et laudans, rattristato e plaudente. Ma disapprovava in pectore. Siamo tornati al 59.

 Inoltre Nerone scriveva poesie rimaneggiate da altri poeti.

Di Nerone ci è arrivato un esametro citato con elogi da Seneca (Nat. Quaest., 1, 5, 6): ut ait Nero disertissime “Colla cytericae splendent agitata columbae”, riluce il collo in movimento della colomba di Venere.

Probabilmente apparteneva al suo poema Troica il cui protagonista era Paride, l’effemminato donnaiolo.

Nerone voleva forgiare un mondo che somigliasse a un gigantesco spettacolo.

A poco a poco sparirono le tradizioni, scalzate dalla sfrenatezza, una moda fatta venire da fuori: la gioventù seguiva costumi stranieri gymnasia et otia et turpes mores exercendo, principe et senatu auctoribus, incoraggiata dal principe e dal senato che non solo permettavano i vizi ma addirittura impiegavano la violenza perché i nobili romani si contaminassero sulla scena ut procĕres Romani scaenā polluantur ( Tacito, Annales, 14, 20),  con il pretesto dell’eloquenza e della poesia. Cosa rimaneva se non denudare il corpo e prendere i cesti per il pugilato?

Noctes quoque dedĕcŏri adiectas ne quod tempus pudori relinquatur, si aggiungevano anche le notti perché non si lasciasse un po’ di tempo al pudore. A molti tale licenza piaceva e ricordavano che dall’Etruria nel 364 erano stati chiamati gli istrioni.

 Tacito ricorda che dopo la conquista dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi si erano organizzati con maggiore cura, “nec quemquam Romae honesto loco hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis iam annis a L. Mummii triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe praebuerit” (14, 21), anche se nessun romano nato in una buona famiglia si era abbassato a fare l’attore per duecento anni dal trionfo di Mummio[2] che per primo aveva fatto vedere a Roma quel genere di spettacolo.

 

I fautori del teatro stabile, in pietra, dicevano che si era provveduto a risparmiare: “ consultum parsimoniae quod perpetua sedes theatro locata sit, fissando una sede stabile piuttosto che costruirne e abbatterne uno ogni anno immenso sumptu. 

Mors Burri (62 d. C.)  infregit Senecae potentiam (14, 52). Cassio Dione  afferma che Nerone  fece eliminare Burro con il veleno farmavkw/ diwvlese (62, 13). Poi nominò Tigellino che superava tutti per impudenza e crudeltà (ajselgeiva/ te kai; miaifoniva/ , 62, 13, 3). Costui esautorò Rufo, l’altro prefetto.

Tacito presenta Tigellino come il cattivo genio di Nerone, forse ricalcando in parte la coppia Tiberio- Seiano.

Tacito ne racconta la fine vergognosa. Tigelliono era un uomo dalla giovinezza vergognosa, dalla vecchiaia spudoratam foedā pueritia, impudica senectā,  ottenne il potere che dovrebbe essere premio della virtù, attraverso la scorciatoia dei vizi : “praefecturam vigilum et praetorii et alia praemia virtutum, quia velocius erat, vitiis adeptus ” (Historiae, I, 72), quindi praticò crudeltà e avidità, virilia scelera, vizi virili. Alla fine tradì Nerone (postremo eiusdem desertor ac proditor ) . Tutti lo odiavano: neroniani e antineroniani. Sotto Galba se la cavò, protetto da un personaggio che aveva influenza su Galba: Tito Vinio che lo aiutò con il pretesto che aveva salvato la figlia di Galba da Nerone, ma questo non certo non per generosità bensì cercando uno scampo per l’avvenire- effugium in futurum-: “quia pessimus quisque diffidentiā praesentium, mutationem pavens, adversus publicum odium privatam gratiam praepărat” (Historiae, I, 72), i peggiori diffidando del presente e temendo mutamenti si premuniscono del favore privato contro l’odio pubblico.

 Infatti era odiato dal popolo.

 

Plutarco dice che quel “galantuomo” aveva fatto grossi doni a Vinio per averne l’appoggio (Vita di Galba 17, 3). Ma non gli bastò. Dovette uccidersi nel 69 sotto Otone mentre era a Sinuessa (Campania) inter stupra concubinarum et oscula et deformes moras sectis novaculā  faucibus , tra gli amori illeciti di concubine e baci e vergognose esitazioni tagliatasi la gola con un rasoio, infamem vitam foedavit etiam exitu sero et inhonesto (Historiae, I, 72)  

Il prefetto del pretorio era il più importante funzionario equestre. Doveva occuparsi della sicurezza del principe.

I nemici di Seneca  accusavano il filosofo di avarizia e ambizione e invitavano l’imperatore a liberarsi da quel maestro (exueret magistrum) dato che aveva antenati illustri.

 

Il congedo di Seneca 62 d. C.

Seneca vide la freddezza del suo allievo e andò a parlargli. Lo ringrazia dei benefici ricevuti nei 14 anni nei quali lo ha educato, per otto dei quali Nerone è stato imperatore: egli in cambio gli aveva dato studia in umbra educata ( Tacito, Annales, 14, 53). Da quegli studi però è derivata al maestro claritudo e un grande pretium : “ quod iuventae tuae rudimentis adfuisse videor ”, il fatto che sembro avere assistito l’apprendistato della tua gioventù.

Nerone gli ha dato tantissimo, troppo, rispetto ai suoi meriti.

L’unica giustificazione del maestro è che non doveva opporsi a tali donativi: “una defensio occurrit: quod muneribus tuis obnīti non debui”.

Sembra di sentire Andreotti.

Ma a questo punto la misura è colma: cetera invidiam augent (14, 54). Il resto fa crescere l’invidia.

Quae quidem, ut omnia mortalia, infra tuam magnitudinem iacet, sed mihi incumbit, mihi subveniendum est”, questa invidia è al di sotto della tua grandezza però grava su di me e io ho bisogno del tuo aiuto.

Seneca chiede dunque a Nerone di poter restituire parte delle ricchezze, senza del resto rimanere in miseria: vuole solo revocare in animum il troppo tempo che dedicava alla cura dei giardini e delle ville.

Nerone gli risponde con grande cortesia, da discepolo e da re.

 Gli dice che è in grado di improvvisare le risposte grazie a lui: qui me non tantum praevisa sed subita expedire docuisti (14, 55), tu che mi hai insegnato non solo a svolgere argomenti previsti ma anche imprpvvisati.

Tu mi hai educato et tua erga me munera, dum vita suppĕtet, aeterna erunt . Finché ci sarà vita. Quanto alle tue ricchezze e alle ville: casibus obnoxia sunt, sono in balia del caso.

 

Questo è molto senecano: Dobbiamo aspettarci i tiri mancini della fortuna: faranno meno male. Ogni volta che qualcuno cadrà al tuo fianco dovrai esclamare:”alium quidem percussisti, sed me petisti” (Ad Marciam, 9, 3), ora hai colpito un altro ma hai mirato a me! I nostri beni, materiali e umani, ci sono  dati in prestito, nostro è soltanto l'usufrutto: “mutua accepimus. Usus fructusque noster est » (10, 2). Tutto viene trascinato via.

 

Del resto, continua Nerone, vi sono molti individui non migliori di te che sono più ricchi di te: “Pudet referre libertinos qui ditiores spectantur”, mi vergogno di ricordare i liberti che si vedono più ricchi di te, e tu che sei il più caro non sei certo il più ricco.

La mia giovinezza potrebbe deviare dal retto cammino: io ho ancora bisogno di te. Quindi l’abbraccia (adĭcit complexum), siccome era abituato per natura e cosuetudine velare odium fallacibus blanditiis (14, 56).

Tacito fa il processo alle intenzioni di Nerone in sintonia con il coro dei suoi detrattori.

 

Intanto (62) Tigellino spingeva Nerone a scelleratezze efferate.

Lo monta contro Silla e contro Rubellio Plauto, pronipote di Tiberio.

Ricordava la nobiltà delle loro famiglie e la vicinanza agli eserciti (Plauto a quelli di Oriente, Silla della Germania)

 Fausto Cornelio Silla era già stato relegato a Marsiglia e aveva un forte ascendente sugli eserciti della del nord.

Silla aspettava l’occasione propizia per farsi ardito secondo Tacito.

 Nerone mandò dei sicari che portarono la testa di Silla a Nerone: “relatum caput eius inlūsit Nero, tamquam paematura canitie deforme” ( Annales XIV, 57), L’imperatrore lo canzonò imbruttito dalla canizie precoce.

 

Rubellio Plauto era pronipote di Tiberio. In Asia si atteggiava a Stoico: “adsumptā etiam Stoicorum adrogantiā sectāque quae turbidos et negotiorum adpetentes faciat ” (14, 57), assunta l’arroganza degli Stoici e lo spirito della setta che creava agitatori e ambiziosi.

I sicari lo trovarono sul mezzogiorno nudus exercitando corpori, nudo che faceva ginnastica ( come Starace).

 Faceva parte del circolo di Musonio Rufo il quale predicava uno stoicismo rigoroso, fondato sulla dignitas, l’austerità da opporre al luxus e all’ ajgwvn di Nerone.

Musonio fu esiliato poiché praeceptis sapientiae studia iuvenum fovebat (A. 15, 71) suscitava l’etusiasmo dei giovani. Di questo circolo facevano parte anche Corbulone e il giovane Epitteto.

Cassio Dione   racconta che Nerone, vedendo la testa di Plauto disse: non sapevo che avesse un naso così grande, intendendo che se l’avesse saputo l’avrebbe risparmiato ( oujk h[/dein o[ti ou{tw megavlhn rJi'na ei\cen,  62, 13). Battuta andreottiana.  

Dopo aver fatto uccidere Silla nel 58  e Plauto nel 62 , li fece radiare dal senato gravioribus iam ludibriis quam malis (14, 59), con una beffa più atroce del delitto. Ancora Andreotti i cui tirapiedi infamarono Pecorelli appena ammazzato.

Quindi Nerone caccia Ottavia e sposa Poppea (62). Ma Ottavia piaceva al popolo e Nerone deve richiamarla. Poppea spinge Nerone contro Ottavia, ed egli pensa di utilizzare ancora Aniceto (comandante della flotta di capo Miseno) che pure odiava quia malorum facinorum ministri quasi exprŏbrantes aspiciuntur (14, 62), poiché i sicari sono visti come dei rimproveri. Accusatori.

 Aniceto doveva “confessare” di essere stato l’amante di Ottavia. Questo servo calunnia Ottavia davanti al consiglio del principe. Tum in Sardiniam pellitur ubi non inops exilium toleravit et fato obiit, viene mandato in esilio non privo di mezi in Sardegna  dove  morì di morte naturale .

 

Ottavia fu pure accusata di aborti, dopo che era stata tacciata di sterilità, e viene confinata a Ventotene. Suscitava grande pietà nella gente: “Huic primum nuptiarum dies loco funeris fuit” (14, 63) Infatti era entrata in una casa in qua nihil nisi luctuosum haberet: padre e fratello uccisi, poi Acte, poi Poppea. Quindi venne uccisa e decapitata (62 d. C.).

Si decretarono offerte per i templi: “quoties fugas et caedes iussit princeps, toties grates deis actas” (14, 64), ogni volta che il principe ordinava stragi e assassinii, si decretavano rendimenti di grazia agli dèi.

 

L'ordine è stato rovesciato: infatti  la profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice:" Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta ( Oedipus,  vv. 366-367) , è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.

 

Nell’Octavia pseudosenecana la vittima dice: “Nullum Pietas nec numen habet/nec sunt superi:/regnat mundo tristis Erīnys” (911-913).

Poi  (62) Nerone fece ammazzare il vecchio libeto Pallante quod immensam pecuniam longā senectā detinēret (Annales, 14, 65). Era stato segretario delle finanze sotto Claudio (a rationibus), amante e favorito di Agrippina. Egli aveva a sua volta favorito il matrimonio di Agrippina con Claudio. Nel 55 Nerone gli tolse il ministero delle finanze. Non sopportava le sue pretese aristocratiche: si diceva discendente dagli antichi re d’Arcadia.

Gli succedette nella carica a rationibus Lucio Domizio Faone, in origine schiavo della zia paterna di Nerone Domizia Lepida madre di Messalina.. Dopo l’assassinio della zia, fatta ammazzare da Agrippina, Nerone  accolse Faone nella familia Caesaris.

Intanto Tiridate era stato cacciato dall’Armenia e sostituito da Nerone con Tigrane un principe di Cappadocia che era stato allevato a Roma come ostaggio. Quindi Tiridate aizzava il fratello Vologese, re dei Parti. Diceva che i grandi imperi non si mantengono ignaviā con la viltà:  in summa fortuna aequius quod validius, ( Annales, XV, 1) quando ci si trova ai vertici la posizione più giusta è quella più forte.

Vologese mobilita l’esercito e Corbulone manda rinforzi a Tigrane.

I Parti attaccano Tigranocerta ma si limitavano a scagliare rare frecce.

Peto, console nel 61, viene sconfitto dai Parti, ma poi interviene Corbulone che li tiene in rispetto e trova un accordo con Vologese (64): i Romani si ritirano dall’oltre Eufrate e i Parti dall’Armenia.

A Roma si eleva un arco in mezzo al Campidoglio. “dum aspectui consulitur, spreta conscientia” (15, 18), si bada all’apparenza disprezzata la conoscenza.

 Nerone per ostentare securitatem annonae , sicurezza negli approvvigionamenti, fece gettare nel Tevere frumento deteriorato dal tempo e destinato alla plebe. Malizia di Tacito che processa le intenzioni. Il 5 febbraio del 63 un terremoto devastò Pompei. Sempre nel 63 Nerone ebbe una figlia da Poppea filiam Nero ultra mortale gaudium accepit (15, 22) e la chiamò Augusta. Si decretò pure un tempio alla fecondità. Ma la bambina morì dopo tre mesi. Allora si rinnovarono le adulazioni di quei senatori che le decretarono onori divini. Nerone fu senza misura (immodicus) nel dolore come lo era stato nella gioia.

Il comando dell’esercito orientale fu affidato al solo Corbulone,  e a Peto Nerone disse che lo perdonava subito ne tam promptus in pavorem, longiore sollicitudine aegresceret (15, 25), perché, facile com’era a spaventarsi, non si ammalasse per una preoccupazione troppo lunga.

Corbulone passa dalla Siria all’Armenia dove colpisce i ribelli ai Romani (63).

Poi Corbulone incontra Tiridate che doveva sottomettersi a Nerone ricevendo la corona da lui.

“Si giunse ad un entente cordiale, nella quale i Romani rinunziavano al loro candidato al trono d’Armenia (il principe cappadoce Tigrane), mentre d’altra parte Tiridate riconosceva l’alta sovranità romana, e dichiarava di ricevere da Roma l’investitura del regno armeno[3].

Vologese chiese che il fratello non venisse trattato da servo ma avesse lo stesso onore tributato ai consoli.

Si vede commenta Tacito, che non conosceva i Romani : “non inerat notitia nostri apud quos vis imperii valet, inania transmittuntur” (15, 31), da noi conta la forza del potere, le cose vuote di sostanza vengono trascurate.

In contraddizione con 15, 18 (aspectui consulitur). Ma quello è per la plebe, questo per i potenti.

La visita di Tiridate costituì un successo della politica estera di Nerone il quale poteva fare e disfare i re. Nerone disse: ti dichiaro re di Armenia affinché tu e quelli imparino che io posso togliere i regni e donarli “o{ti kai; ajfarei'sqai basileiva~ kai; dwrei'sqai duvnamai” (C. D., 63, 5). Poi Nerone chiuse il tempio di Giano bifronte pensando che non ci sarebbero state altre guerre (Sv., 13, 2).

Nerone faceva capire che dava la priorità alle vittorie pacifiche sui successi militari. 

Nerone concesse lo ius Latii ai cittadini delle Alpi marittime. Significa che mantenevano le loro leggi e acquistavano la cittadinanza romana.

Inoltre diede ai cavalieri posti distinti anche nel circo, mentre prima li avevano solo nel teatro.

“Si trattò di una decisione presa con grande senso di giustizia; infatti, come per i beni materiali è necessario favorire i miseri e i poveri, così negli onori bisogna privilegiare chi se li merita” ( Cardano, Elogium Neronis, p. 42)

Molti senatori e donne nobili per arenam foedati sunt (15, 32), si disonorarono nell’arena.

Bologna 2 novembre 2024 ore 18, 15 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Dopo Zama (202) Annibale si recò da Antioco, poi, dopo Magnesia (189 a. C.) a Creta, poi    in Armenia, ospite di Artaxias, il signorotto locale per il quale progettò una capitale Artaxata. Voleva rivendicarsi anche l’identità di ktivsth~, urbanista e fondatore di città, come Alessandro Magno.

Quindi A. andò in Bitinia dove fondò Prusa. Partecipò alla guerra (186-183) di Prusia contro Eumene II e vinse una battaglia navale facendo gettare sulle sue navi delle anfore piene di serpi velenose (p. 279). Quindi l’arrivo di Flaminino da Prusia e la sua morte.

[2] 146  a. C. sconfisse gli Achei e saccheggiò Corinto.

 

[3] S. Mazzarino, l’impero romano; I, p. 228.

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