Ero grato agli dèi della Grecia che mi avevano esaudito: ascoltato e miracolato. Era felice. Quando c’è la salute… “il resto nol dico: già ognuno lo sa”.
Sono andato a lavarmi cantando liete canzoni, sono sceso nel bar a bere un caffè poi sono salito sulla terrazza dell’albergo per prendere il sole, la santa faccia di luce che nutre bellezza e salute, per leggere Guerra e pace e per riflettere sui casi della vita. Mi sono domandato quali sono i motivi per cui i ragazzi migliori mi ascoltano con attenzione quando parlo. Sono quasi dodici anni che centinaia di persone mi leggono ogni giorno. Credo di rendermi interessante perché quanti mi ascoltano parlare o mi leggono notano che io parlo e scrivo per loro, mettendomi nei loro panni. Provano interesse per me in quanto sentono che io ne provo per loro. Se sono presenti li osservo, li ascolto, accolgo le loro obiezioni. Se sono degli ascoltatori lontani o dei lettori, immagino la loro umanità avendo riflettuto molto sulla mia, su quelle delle persone conosciute e su quelle indagate dai miei autori
I miei allievi comprendono che dietro le mie lezioni ci sono anni di studio e di esperienze vissute con gioia e con dolore, senza risparmio di tempo, impegno, fatica. E capiscono che cerco di educarli a diventare più forti e più buoni.
Ho acquistato la capacità di parlare con parole chiare, talora perfino belle, con anni di studio continuo, prolungato fino alla spietatezza verso me stesso, una spietatezza piena di pietas verso i miei allievi, il contrario della pietas spietata dell’Enea di Virgilio: il Troiano tratta la regina che l’ha ospitato e salvato peggio di come un lenone potrebbe trattare una sgualdrina. Quando si denuncia il maschilismo, mai si risale alle cause. Ho indagato i miei autori per indagare me stesso e l’umanità.
Se avessi al mio fianco una compagna della mia levatura diffonderemmo il bene nel mondo. Ma in quelle conosciute dopo Helena augusta ho trovato vecchiaia sentimentale, infantilismo intellettuale e inerzia, a parte i momenti di rabbia che comunque non compie nessun un passo avanti in quanto reazionaria: parecchi uomini e tante donne non si muovono perché credono o sanno che ogni movimento li farebbe uscire dalle false sicurezze nelle quali si sono arroccati, li farebbe precipitare nell’ignoto di cui hanno orrore. Solo chi è capace di stare solo può permettersi di rifiutare quanto non gli si addice e non gli va.
Concluso il mio catechismo, procedo con il racconto
Alle due saliamo nella corriera. Fa caldo grazie al buon Dio. Solo ai 30 gradi mi sento sicuro ma dai 25 in su me sto già bene.
Mi ristorano e riempiono di salute, di gioia una luce e un fervore estivo. Nell’acqua del golfo Saronico i raggi del Sole, il primo fra tutti gli dèi, danzano muovendo le belle membra luminose come un coro di ragazze bionde dai corpi armoniosi, lievitanti, fiorenti. Sono felice di sentire e comprendere dentro di me la bellezza del mondo. Sono fioriti, di rosso, di giallo, di viola, anche gli scogli pallidi e scabri
Il sole mi abbronza pure attraverso il vetro della corriera: niente può impedirmi di assimilarlo se non ci sono le nuvole in cielo.
Mi vengono in mente un paio di Pasque passate. Il mio metodo è sempre stato comparativo. Quella del 1967 quando andai a Cracovia grazie a uno scambio con il collegio Irnerio di Bologna, e una vecchia signora distinta che poteva essermi nonna mi sorrise in un negozio dell’areoporto e mi disse in francese che era abbronzato e carino. Durante il volo avevo tenuto tutta la faccia accostata al finestrino, schiacciandomi il naso e chiedendo al Dio di perdonare quanti opponevano una tendina ai suoi raggi, benefici, santi. Fui felice per quel complimento carino perché a ventidue anni stavo cercando di uscire dall’abisso dove mi avevano gettato i malvagi nemici miei e dell’umanità.
L’anno seguente ero già salvo e contento di me.
Nel 1972 per Pasqua andai a Parigi con alcuni bottegai vicentini conosciuti per caso. Gente di altra razza mentale e spirituale rispetto a quanti mi piacciono. Erano monoftalmi e l’unico occhio che avevano fissava sempre il denaro, e in più una lingua ipertrofica e monofonica che parlava sempre e solo di affari. Non dicevo verbo, e spesso abbassavo lo sguardo per il disgusto. Una sera, a cena, la donna del capobanda mi disse: “stai allegro professore, non sei mica in castigo!” Invece lo ero durante quelle cene forzate. Mi rifugiavo nel ricordo di Luciana un’allieva intelligente, capace di pensare e parlare con personalità spiccata, proprio il contrario, l’antitesi di quei burattini mossi dai fili del profitto o della perdita. Ho spinto Luciana a studiare e con il volgere delle stagioni siamo diventati amici: lo siamo ancora.
Da questo viaggio cruciale ho imparato a non imbarcarmi più con ciurme di gente che non conosco.
La corriera è arrivata a capo Sunio, la punta meridionale dell’Attica nobilitata da un tempio dorico il cui lucore marmoreo fa pensare a un inno dalle braccia levate al cielo. Unisco alle colonne il cuore, poi la mente, e prego: “Febo Apollo, splendidissimo Sole, tu che scacci il buio e stenebri le angosce con la tua luce eroica, infondimi la forza di parlare e di scrivere in modo egregio. E tu Poseidone dall’aureo tridente, dio del Sunio che regni sui delfini[1] , ti ho già pregato arrivando qui in bicicletta nel 1978 da solo e tu mi esaudisti. Ascoltami e aiutami ancora. Dammi la capacità di assimilare alla mia vita quella che ammiro da sempre nel mare popolato da Nereidi, Ninfe e Sirene meravigliose oltre che da pesci iridescenti, nell’aria solcata dai voli degli uccelli contenti, nella terra coperta come oggi di fiori accarezzati dalle danze delicate, eleganti delle farfalle variopinte”.
Compiuta la preghiera con tutto il rito dovuto, scendo sulla spiaggia dalla sabbia ancora calda. Passa un ragazzo già alquanto ingrassato nei fianchi. Mi torna in mente il mio sciaguratissimo ventesimo anno di vita quando presi 20 chili mangiando come un maiale. A Pesaro si dice baghino e a chi non è buono a nulla si dice: “vai a sculacciare i baghini!” Quando ero grasso andavo in un podere di mia nonna a colpire i maiali con un bastone perché vedevo in loro altrettanti me stesso. Dovevo diventare il pima possibile un eJautontimorouvmeno~, Totò Merùmeni: digiuni e fatiche per buttare via quella carne non mia.
Intanto mi punivano le donne che mi schifavano. Mi diedero la lezione che meritavo e mi servì. Mi corressi fino alla vita da torero, quello che ci voleva per piacere a Elena Augusta.
Chiedo al dio di darmi tutta forza necessaria a conservarmi la snellezza da sportivo agonista e da asceta.
La prossima estate voglio scalare lo Stelvio in bicicletta da una parte e dall’altra: 45 chilometri di salita in meno di quattro ore. Disciplina in tutto ci vuole. Mangiare quale problema. Mangiare troppo è un ostacolo-provblhma- alla salute e alla bellezza. Al vivere umanamente.
Siedo in un bar-trattoria sulla riva: da dentro viene odore di pesce fritto. Ho saltato il rancio del tocco e ho fame, ma chiedo soltanto un caffè. Il semidigiuno è un esercizio spirituale, una rinuncia pulsionale che dà soddisfazione. La mente va allenata a dominare le brame del corpo, quelle deleterie dico, non quella esecrata dai preti, ipocritamente per giunta. Il desiderio di amore è santo.
Sono quasi le cinque e alle otto ci fanno cenare, un’ora anticipata rispetto all’uso greco. Orrenda è l’abitudine di cenare presto. Una volta arrivai a Bressanone di sera: ebbene in quel paese dall’apparenza civile, dopo le nove e mezzo di sera non trovi da mangiare: è già tutto chiuso, roba da caserma o da ospedale. Da militare e da ospedalizzato si doveva cenare alle 17 e 30. Per reazione, dopo queste due esperienze non tocco cibo prima delle 21: mi dà un senso di libertà, di volontà e di salute.
Sono quasi le 17 e pranzare tre ore prima della cena sarebbe u{bri~.
Mangiare senza misura e disciplina significa invecchiare male e morire ante diem. Potersi inibire qualcosa che depotenzia e danneggia è la prova della forza vitale. Sicché bevo un bicchiere di acqua che è ottima, umile eppure preziosa, poi risalgo la china del promontorio accarezzato da flutti leggeri
Bologna 5 novembre 2024 ore 19, 28 giovanni ghiselli
p. s.
Ora andrò a correre, poi voglio seguire l’agone politico e umano tra quei due personaggi folkloristici che si contendono la presidenza degli Stati Uniti: la uxor ridens e l’antagonista iam senior, sed cruda homini flavaque senectus
p. s.
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