Nell’anno scolastico 1981-1982 dunque mi ritrovai a insegnare nel ginnasio liceo Rambaldi d Imola dove avevo iniziato nel 1975 pochi giorni prima che ammazzassero Pasolini maestro ora celeste.
Durante le vacanze di Pasqua partecipai a un giro della Grecia al quale mi pregarono di esserci come guida culturale i miei ex allievi e i loro genitori del liceo bolognese. Ci andai per affetto verso quei ragazzi ma non volli che le mie spese di viaggio e soggiorno venissero addossate a chicchessia.
Ne fui pregato: ringraziai ma non accettai. Ci andavo anche per piacere mio. Non ero mai stato in Grecia con la scuola e la novità mi attirava.
Il gruppo era costituito da 50 studenti e una decina di genitori. Il preside, anche se non lo diceva, dopo tre anni aveva capito che sono bravo, che ero il più bravo, e aveva concesso a certi colleghi maligni e invidiosi la mia degradazione quando, appena arrivato senza avermi mai visto aveva ascoltato le loro maldicenze sul mio conto, ma poi aveva capito come stavano davvero le cose. Sapeva bene che avrei commentato i siti archeologici in modo degno della loro bellezza antica e sempre viva, ancora capace di suscitare meraviglia.
Questo sarebbe stata una buona cosa per la reputazione del “suo” istituto.
Partimmo la mattina presto dalla stazione delle corriere ancora buia. Avevo sonno, sentivo freddo e non ero di buonumore. Mi rasserenai quando il sole si alzò nel cielo e vidi un colle che si leva irto di pini nei dintorni di Pesaro, sopra Santa Veneranda, per la precisione che devo ai miei lettori amanti di questa zona, al pari di me.
Quando ero studente quindicenne del liceo-ginnasio Terenzio Mamiani, in autunno, nel tempo del ribollir dei tini, mi recavo in questa frazione per arrampicarmi sulle conifere dall’alta chioma, ascoltarne il sussurro quale voce profetica del vago avvenire che avevo in mente e cogliere le pine ricche di gustosi pinoli.
Oggi è un vecchio che scrive e devo dire che quelle chiome profetiche non mentivano quando mi promettevano una buona fortuna.
Ero con un compagno di scuola, Rodolfo, ora un amico celeste, e salendo su quegli alberi mettevamo quasi a repentaglio la vita per renderla degna di interesse e di amore da parte di due ragazzine che ci piacevano fuor di misura.
Io ero innamorato fin dalla scuola media della bruna Marisa, la più brava della sezione femminile. Oggi è un’amica celeste anche lei. Del resto già allora era un fantasma, un ei[dwlon creato dalla mia mente. Vagheggiava allora il piagato mortal la figlia della sua mente, l’amorosa idea. Voglio dire che non c’è stato mai niente di concreto tra noi. Eppure per cinque anni l’ho pensata sempre. Era mora, carina oltre che brava, educata. Bella e fine insomma. Prefigurava le mie amanti migliori, tutte celesti anche loro oramai.
Una coincidenza: si chiama Celeste anche l’attrice protagonista del film Parthenope: una ragazza mora con tanti capelli, bella e fine pure lei. Ha ventisette anni, quanti ne aveva Helena augusta, non vergine, anzi madre quando mi amò. Eravamo nell’estate fatata del 1971. I miei amici oggi celesti allora erano tutti vivi.
Ma torniamo agli ultimo anni Cinquanta. Appoggiavo la bicicletta al muro dell’osteria di Santa Veneranda, salivo sul colle con Rodolfo, l’altro innamorato, ci arrampicavamo sui pini dai fragili rami e sfidavamo i numi a darci le nostre dèe oppure a farci morire subito con una caduta precipitosa. Invocando e provocando gli dèi allora ero incerto se fossero Gesù, sua madre e suo padre, oppure Apollo e le altre divinità olimpiche, quelle della terza e quarta generazione immortale.
Quando arrivava il maggio odoroso però, dopo la giornata operosa, verso le sette di sera andavo nella chiesa di Cristo re a pregare la Vergine madre figlia di suo figlio, perché facesse un altro miracolo dopo quello della sua partenogenesi e mi rendesse partecipe dell’amore per cui la terra fioriva e risplendeva di tutti i colori. Notavo e mi piaceva soprattutto il grano non più verde e non ancora giallo che rosseggiava di papaveri di giorno e brillava di lucciole durante la notte quando il verso dei grilli “che perpetuo trema” succedeva a quello delle cicale “pazze di sole”-hjliomanei`~- come me che ho sempre amato Elio, le donne e la bicicletta, insomma la vita. Anche la rana lontana appo le siepi gracidando a lungo mi infondeva allegria, e pure le barche che al tramonto rientravano nel porto di Pesaro mentre il sole si immergeva nel mare. Il paradiso è qui sulla terra pensavo, e, almeno da metà febbraio a ottobre lo penso ancora.
Nell’aprile del 1982 dunque, mentre la corriera attraversava la campagna con i peschi, i ciliegi e i mandorli in fiore, pensavo: “ora ho quasi ai 37 anni, mi avvicino ai quaranta che per me non sarà “la quarantina spaventosa, l’età cupa dei vinti” di Gozzano. Ora, piuttosto che salire su alberi impervi e prima di pedalare su e giù per i monti dell’Ellade per conservare la buona forma corporea, muscoli, cuore e fiato da atleta, devo trovare la forma nobile, chiara ma non pedestre da imprimere al romanzo che presto scriverò rendendolo esemplare per chi mi succederà qui su questa meravigliosa terra. Questo viaggio mi offrirà la visione della bellezza suprema, del bello in sé- aujto; to; kalovn- non disgiunto dal bene, lo scopo più alto per ogni artista”.
Nella corriera risuonò Una piccola musica notturna del portavoce di Dio, uno dei suoi profeti celesti. Vi sentivo la gioia che si conquista prevalendo sulle miserie, i dolori e gli scontenti dell’esistenza: le malvagità, l’ignoranza, la maleducazione, gli inverni bui e gelati .
Ma l’inverno del mio scontento per quell’anno era già finito, e al caos, l’eterno nemico della cultura, succedeva questo viaggio nel cosmo dell’arte che doveva illuminarmi. Dopo Pesaro guardavo il mare sulla sinistra che, riflettendo il sole si riempiva di sorrisi innumerevoli. Ricordai le Nereidi che, nei primi versi delle Troiane di Euripide, danzano sull’abisso salato del mare Egeo muovendo circolarmente la pianta dei piedi leggeri. Oggi mi viene in mente Celeste-Parthenope l’epifania più recente che mi è apparsa solo nel cinema Odeon purtroppo.
La cara tragedia di Euripide mi ha segnato positivamente la vita da quando la preparai per l’esame di maturità nel 1963 al Terenzio Mamiani di Pesaro guidato dall’ottima professoressa Maronna. Dava traduzioni difficile e accadeva che io prendessi 9 quando diversi altri rimanevano molto al di sotto della sufficienza. E mi montavo non bene la testa.
Dovetti studiare di nuovo le Troiane per il secondo esame di greco, con l’aggiunta di altri sei drammi dell’amato poeta
Ancora oggi la mia traduzione e commento di tale capolavoro presenti nel blog ricevono centinaia e centinaia di letture ogni mese. Non mi monto più la testa però sono contento di questo.
Bologna 4 novembre 2024 ore 10, 06
p. s.
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