NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 1 novembre 2024

Viaggio in Grecia 1981 XIX. Il dialogo con l’esplosione del risentimento nell’albergo di Atene.


Dopo una ricerca lunga e faticosa, sul far della notte trovammo una camera in un albergo del centro, modesto, adatto alle mie possibilità finanziarie ma pulito e non disameno del tutto. Ifigenia era taciturna e più passiva del solito. Le feci notare che avevamo finito le dracme, e siccome non accettavano le lire, dovevamo andare a cambiarle prima della chiusura di tutti gli uffici, altrimenti fino al giorno seguente non si mangiava e già avevamo saltato il pranzo. Bisognava sbrigarsi perché erano quasi le otto.

Mentre dicevo queste parole, non senza del nervosismo, lo ammetto, la bella donna si pettinava davanti a uno specchio piena di ammirazione per la propria immagine con un’espressione languida e compiaciuta. Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo. La informavo perché avrei voluto che partecipasse alla soluzione del problema che la riguardava , in quanto, ne ero certo, se non avessimo potuto mangiare dopo diverse ore di inedia, si sarebbe infuriata come un’Erinni.

Tanto più che nell’aria già aleggiava il rancore.

Ero seccato siccome avevo dovuto cercare l’alloggio senza alcuna collaborazione di Ifigenia che anzi aveva trovato da ridire sul fatto che la stanza non era  abbastanza signorile.

E’ una lamentela che nelle gite scolastiche fanno gli allievi di estrazione socialmente più bassa: vogliono farsi credere abituati al lusso. Una volgarità che mi ha sempre irritato.

Negli anni seguenti avrei girato la Grecia in bicicletta con due amici maschi e un’amica femmina di famiglia bolognese potente e ricca: mai che nessuno si sia lamentato degli ostelli o delle bettole.  

La mancanza di stile dell’infima borghesia mi ha sempre irritato.

Ora voglio ricostruire il dialogo drammatico che ci fu quella sera tra noi, riferendo, se la memoria mi aiuta, fin le parole violente nelle quali scaricammo tutta l’ira e il risentimento repressi nei giorni di questo viaggio.

Gianni (è seduto sul letto. Guarda Ifigenia con ostilità. Parla con nervosismo)

 

Ascoltami, Ifigenia. Sto ruminando delle preoccupazioni che devo farti sapere. Abbiamo finito le dracme. Dobbiamo cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio). Sono quasi le otto. Usciamo subito, per vedere se troviamo un ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare e non ne abbiamo proprio bisogno. Scendiamo subito e chiediamo al portiere dove si possono cambiare i soldi.

Ifigenia (si pettina davanti allo specchio contemplandosi compiaciuta.  Non ha cambiato espressione mentre Gianni parlava né ha mostrato alcun interesse alle sue parole).

 Davvero? Come è Possibile?

Gianni (con nervosismo accentuato, senza riuscire a dissimulare l’ira accumulata) 

Puoi darmi una mano o devo andare da solo a cercare le dracme mentre tu ti fai bella?

Ifigenia (sempre ammirando la propria immagine e senza degnare  di uno sguardo il compagno di viaggio).

Non vedi che ho da fare?

Gianni (con sforzo evidente riesce a cambiare tono: ne assume uno faticosamente calmo. Vuole apparire razionale).

 Se sei stanca di questo viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora parte la corsa notturna per Patrasso e magari i due bruti non sono di turno.

Ifigenia

( Si volge di scatto, lo guarda con occhio cattivo e gli parla con tono aggressivo) Anzi, prendiamo addirittura l’aereo e torniamo a casa: ognuno alla sua. Posso sapere quale credito pensi  di avere ancora  da parte mia?

Gianni

(con irruenza, sfogando un risentimento covato e dissimulato a lungo) Voglio che tu una buona volta la smetta con il tuo parassitismo narcisistico: non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e farti guardare: tu devi collaborare, devi aiutarmi. Lo vuoi capire o no che non hai più l’età della spensieratezza totale?

Ifigenia (guardandolo con odio e disprezzo).

Tu non sei mica normale!

Gianni: Che cosa vuoi dire?

Ifigenia; E tu  cosa vuoi da me, che cosa vuoi fare di me? Mi sto sistemando dopo diversi giorni di bicicletta e tre ore di corriera. Puoi lasciarmi in pace per qualche minuto? La fretta ansiosa che ti perseguita  tienila per te: fatti divorare il cervello tu solo dall’ansia che hai dentro.

 

Gianniguarda l’orologio con ostentazione-

Tu non hai ascoltato o non hai capito quanto ho detto: sono passate le otto, il cielo è  quasi buio e  già ora rischiamo di non trovare nemmeno uno sportello aperto. Per giunta abbiamo fame, vogliamo mangiare e siamo senza denaro greco per pagare la cena. Tu certo te la prenderai con me se resteremo a denti asciutti con la fame che avrai.  Qui senza dracme non si mangia. Dunque dobbiamo cambiare le lire e affrettarci perché di notte gli uffici chiudono e, se non lo hanno già fatto, lo faranno a momenti. Quindi devi sbrigarti.  Ti fai bella dopo, no?

Poi, se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei bellissima, altrimenti figurati se ti sopporterei. E visto che abbiamo fame, ricorro a una metafora culinaria per elogiarti: tu saresti un boccone degno di un re, come  Cleopatra ancora ventenne per Giulio Cesare: a morsel for a monarch[1].

Io non sono Cesare, nemmeno Antonio sono che ereditò l’avanzo freddo di quel cibo sul tagliere di Cesare. Io non sono nessuno e non ti merito, ma ora un boccone magari caldo, vorrei poterlo addentare

 

Ifigeniacon una smorfia di disgusto-

Tu sei solo un buffone e i tuoi complimenti, i tuoi omaggi da pagliaccio quale sei, le tue citazioni da pedante mezz’orbo, tutte queste scene volgari vai a farli a qualche sguattera di una delle osterie dove vuoi andare a rimpinzarti come un maiale.

Gianni solleva la maglietta e mostra la vita da torero con aria stupita e interrogativa.

Sicché Ifigenia rincara la dose

 

Maiale sì, suino mentale, porco nell’anima sei.

Tu, vecchio lurido e ingordo, ce l’hai con me

per altri motivi; qualche cosa che ti ha dato fastidio ma non vuoi dire perché sei  falso più di Giuda. Sono quasi sicura che l’orrenda cagnara ululata nella corriera ti ha fatto pensare che non dovrei girare in calzoncini.  E pure che se fossimo venuti in bici come pretendevi, da negriero quale sei, quella scena spiacevole l’avremmo evitata.

Avresti voluto arrivare fino a Olimpia per pregare i tuoi dèi che non ti ascoltano mai, come vedo. Tu  Sei fallito in tutto.

Se volevi girartela tutta da solo questa tua patria ideale che ti respinge, non dovevi invitarmici.

Tu sei irrazionale, anzi sei pazzo!

 

Gianni: ah sì, l’irrazionale sarei io?

 

Ifigenia Sì proprio tu, e molto più di me, anche se ti adoperi in continuazione per dissimularlo. Tu reciti la parte dell’uomo buono, colto, intelligente ma quando non fai il maiale sei una scimmia che ripete per lo più idiozie imparate da altri mentecatti frustrati e rinnegati dalla vita come sei tu. Io vorrei fare l’attrice, ma sui palcoscenici; tu reciti in ogni momento della tua vita per nascondere le tue debolezze miserevoli e i tuoi fallimenti. Ora so che perfino i tuoi ardori erotici erano recite. Recitate bene, per carità, però non sentite, non vissute con il cuore pulito né con una testa equilibrata.

Tu hai degli abissi di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia, in allarme, imbozzolato e attrezzato da paracadutista,  per non caderci dentro a capofitto. Nei tuoi bàratri interni hai le donne di casa tua, le furiose cagne che ti hanno terrorizzato quando eri bambino e ti spaventano ancora: ti abbaiano contro, ti graffiano l’anima e devi sempre stare in guardia perché non te la squarcino. A volte perdi il controllo di quelle furie: allora si sentono ringhiare e latrare tutte insieme nella tua voce alterata: allora la tua faccia solitamente atteggiata a bella, buona, colta, rivela il tuo ceffo maligno sotto la maschera . La tua continua esaltazione del logos accordato con il pathos è un tentativo malriuscito di modificare il tuo carattere congenito, poi peggiorato dall’ambiente. Tu non hai dentro alcun pathos buono: sei del tutto incapace di amare donne che non siano tua madre e le tue zie, e non hai nemmeno il logos: non riesci a venire fuori con l’intelligenza dal labirinto di pazzia dal quale  sei uscito soltanto con il corpo quando sei venuto a studiare a Bologna. Hai studiato  a memoria senza capire niente. Con l’anima sei ancora chiuso, in castigo, al buio nella casa di Pesaro, la moribunda sedes Pisauri cui appartieni.

Gianni –

Ha ascoltato le parole di Ifigenia con  attenzione e le risponde con tristezza e calma-

C’è qualche cosa di vero in quanto hai appena detto. La parte squilibrata del mio carattere però l’ho ereditata, non me la sono scelta, anzi non mi piace per niente e cerco di rifiutarla: ne ho il diritto e spero di averne anche la forza. Come ho avuto quella di migliorare il mio aspetto che di per sé era piuttosto modesto, ma poi con la volontà e l’ascesi indefessa l’ho reso piacente fino a piacere a una donna della tua levatura, Ifigenia, una femmina umana che un tempo non avrei nemmeno osato guardare in faccia. Così con una disciplina costante, con un esercizio continuo di logica e di morale, spero di migliorare il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente prima di tutti a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. Il mio caos interno io non mi accontento di nasconderlo o reprimerlo: voglio superarlo esteticamente e moralmente. Intorno ai ventanni, appena uscito dalla casa di Pesaro, l’irrazionalità mi devastava il cuore, la mente e l’aspetto, ma poi ho reagito, ho reagito bene, e se non ho ancora conseguito una vittoria definitiva, è pure vero che con il tempo ho trovato il metodo di tenere sotto controllo la pars destruens che è dentro di me. Tu invece dalla tua ti lasci ancora travolgere fino a commettere errori madornali che possono compromettere la tua crescita e la tua felicità

Ifigenia

Quanto dici sul mio conto è arbitrario e del tutto falso. Quando è che mi sarei comportata in maniera irrazionale e distruttiva secondo te?

Gianni Ogni volta che hai rovinato la nostra intesa dei primi tempi con la tua incapacità di controllare i tuoi istinti peggiori.

Ifigenia Tu dai i numeri. Numeri del tutto falsi.  Quali episodi immagini e rimugini con la tua mente malata?

Gianni. Penso all’estate del ’ 79 quando non hai capito niente di quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale, secondo il buon gusto e pure secondo il tuo interesse. Non hai capito quando non mi hai mandato l’espresso che mi avevi promesso e preannunciato con un telegramma: non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti perduto ogni credito da parte mia; non sei stata in grado di capire, dopo nove mesi passati con me, che non sono il tipo d’uomo cui si può spergiurare senza perderne tutta la  stima e l’affetto; non hai capito che ti screditavi ai mie occhi quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia in faccia perché non assecondavo tutte le tue capricciose pretese. Tu sei troppo egocentrica per metterti nei panni altrui, per  comprendere i sentimenti di quelli che ti vogliono bene almeno finché non arrivi a disgustarli.

Ifigenia (con sarcasmi irosi).

Proprio tu vieni a parlarmi di comprensione dei sentimenti. Quale considerazione avevi  tu, gianni, dei miei, quando io ti amavo come in un bel sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti, o lasciavi che le tue zie mi giudicassero male perché venivo a Pesaro con te senza che fossi tua moglie e senza avere alle spalle una famiglia facoltosa con tanto di dote cospicua da attribuire alla figliola? Dopo l’estate, quando io non avevo ancora compiuto ventisei anni  e non volevo più insegnare né sapevo cosa fare della mia vita, e avevo ancora bisogno di te, e tu, spaventato da queste mie difficoltà, ti sei innamorato della supplente venuta al mio posto, e hai smesso di prenderti cura di me, dopo che ti eri cavata la voglia di me, ebbene dove avevi messo allora la tua onestà, la tua integrità di uomo probo, i tuoi doveri morali? Ma fammi il piacere!

Oltretutto mentivi. Dicevi di amarmi mentre eri innamorato di quella zitellina perché era vergine e di famiglia borghese. E perché con l’aspetto ti ricordava tua sorella, tua madre, le tue zie e il tuo torbido attaccamento alle tue consanguinèe. Dicevi addirittura che assomigliava a te. Certo, una similitudine essenziale per il tuo narcisismo. Venivi ancora a letto con me senza il desiderio di prima perché progettavi di sposare quella bigotta che nemmeno ti contraccambiava ma si lasciava corteggiare mirando solo al proprio tornaconto.

Le ultime parole sono state dette con pathos dolente, quasi piangendo.

 

Gianni  con aria afflitta  

Non stai esagerando Ifigenia? Non ho mai fatto orge dionisiache con lei come con te quando anche i sacerdoti santi benedicevano la nostra lussuria che faceva onore agli dèi. Con quella collega  non ho mai fatto festini mostruosi né pii.

Ifigenia  no, non sto esagerando. Durante tutto il secondo anno tu mi evitavi pensando che passare il tempo con me fosse sciuparlo perché significava sottrarlo alla preparazione delle lezioni con cui volevi acquistare onoratissima rinomanza nel liceo classico della città e in tutta Bologna. Allora, mentre io soffrivo, tu non capivi che facevi una serie di errori: perdevi più di quanto volevi acquistare. Te ne sei accorto più tardi, troppo tardi: quando io, non potendone più di soffrire, ho smesso di amati e ho provato interesse per altri uomini; allora hai cominciato a patire tu e a capire qualche cosa attraverso la sofferenza tua. Della mia non ti eri mai curato, nemmeno accorto. Il dolore che ho dovuto infliggerti per difendere ne stessa, soltanto il dolore ti ha reso meno immorale e più razionale, non la tua intelligenza né la tua probità.

Gianni (sempre triste e calmo)

Sì c’è molto di vero in quello che dici. Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il dolore. Per questo ti amo. E’ anche vero però che quando ho cercato stimoli in altre colleghe o negli scolari, l’ho fatto perché tu non me ne davi più: mi annoiavi, mi disturbavi con parole insipide e atti insignificanti. Tra noi  non poteva continuare in quella maniera: tu anzi mostravi quel vuoto  perché io ti dessi una lezione. Non potevo approvarti: ti avrei nuociuto davvero.

Comunque ora scusami Ifigenia, ma poprio non c’è più tempo di parlarne. Sono già le otto e venti ed è buio. Andiamo subito a cercare le dracme, poi a mangiare. Io muoio di fame, tu anche, suppongo, e credo che parte del nostro nervosismo derivi dalla denutrizione.

Ifigenia. Va bene. Tanto più che non abbiamo altro da aggiungere.

 

Bologna primo novembre 2024 ore 10, 45 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 5, 29-31.

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