Siamo nel 64 e Nerone era sempre più spinto dalla brama di esibirsi in pubblico: “acriore in dies cupidine adigebatur Nero promiscas scaenas frequentandi” ( Tacito, Annales, XV, 33), nelle scene aperte al pubblico, perché prima si era limitato al suo palazzo e ai suoi giardini.
Cominciò a Napoli che era una graeca urbs. A Roma non osava. A Napoli crollò un teatro dopo l’uscita degli spettatori, e Nerone compose un carme di ringraziamento agli dèi.
Ma neppure tra i piaceri Nerone smetteva di meditare delitti: “ne inter volupates quidem a sceleribus cessabatur” (15, 35).
Fece ammazzare Torquato Silano perché costui diceva di discendere da Augusto e aveva dei liberti quos ab epistulis et libellis et rationibus appellet (15, 35) che chiamava addetti alla corrispondenza, alle suppliche, ai conti, come se fosse lui l’imperatore.
Prima dell’incendio, nel 64, annullò un viaggio in Egitto perché disse, per lui il popolo romano contava più di tutti.
Vediamo questo episodio
Il tempio di Vesta
Era entrato nel tempio di Vesta, all’estremità sud orientale del Foro, vicino alla Via Sacra, ai piedi del mons Palatinus. Il tempio, in forma di antica capanna italica, era il focolare di Roma (cfr. eJstiva) e ospitava il fuoco sacro, custodito dalle vestali. Il complesso chiamato Atrium Vestae comprendeva la dimora delle vestali e la residenza dei sacerdoti più importanti, pontifex maximus e rex sacrorum, o rex sacrifĭcus, re dei sacrifici.
Conservava i sacra della città, gli oggetti sacri, il Palladio, immagine di Atena che Enea portò da Troia, fatale pignus imperii Romani conditum in penetrali lo chiama Livio (26, 27, 14), pegno fatale dell’impero conservato nel santuario. Del Palladio, trovato da Ilo, fondatore di Troia, semiseplto nel suolo, Cicerone scrive. “id signum de caelo delapsum…quo salvo, salvi sumus futuri” (Filippica, 11, 249.
Quindi i Penati, gli dèi domestici di Roma, e il fascĭnum, il membro virile che proteggeva la città. Nerone fece restaurare il tempio di Vesta e lo fece riprodurre nella sua monetazione.
Gli aeterni ignes simboleggiavano l’eternità della città e gli oggetti sacri garantivano la sicurezza di Roma.
Repente cunctos per artus tremens, seu numine exterrente, seu facinŏrum recordatione numquam timore vacuus, deseruit inceptum (abbandonò il progetto del viaggio), cunctas sibi curas amore patriae leviores dictĭtans. Vidisse maestos civium vultus, audire secretas querimonias…Ergo ut in privatis necessitudinibus proxima pignora praevalerent, ita populum Romanum vim plurimam habere parendumque retinenti (Annales, XV, 36), dunque come nelle relazioni private devono prevalere gli affetti più vicini, così il popolo romano aveva la forza più grande e lui doveva obbedire a chi voleva trattenerlo. Dunque non partì per l’Egitto.
Una retorica populistica.
Parole grate alla plebe che era avida di piaceri e temeva di rimanere senza approvvigionamento di grano res frumentaria si Nero abesset (15, 36).
A Roma vivevano un milione di persone. La liberazione di schiavi ne aveva fatto un mosaico etnico: Italici, Greci, Asiatici, Egiziani, Illiri, Galli.
Molti erano i vagabondi e i grassatori.
La plebe amava Nerone che era il patrono di tutta la plebs urbana
Nerone distribuiva non solo il grano ma anche congiaria, doni in denaro, alla plebe di cui cercava l’appoggio.
Il plebeismo di Nerone del resto è limitato dall’ideologia dell’epoca. Nerone non si oppose quando il senato stabilì che se un padrone veniva ucciso da uno dei suoi schiavi, tutti i servi abitanti sotto lo stesso tetto venissero puniti (A. 13, 32). Ma in questo caso si era ancora nel 55.
Nel 64 l’imperatore diede un banchetto lussuosissimo e famosissimo, preparato da Tigellino.
L’infame banchetto del secolo.
Le tavole erano collocate su una zattera rimorchiata da navi i cui rematori exolēti, per aetates et scientiam libidinum componebantur, (Annales, XV, 37) erano dei dissoluti disposti secondo l’età e l’esperienza delle libidini.
Tigellino (eJstiavtwr, Cassio Dione, 62, 15), supervisore del banchetto, aveva procurato uccelli strani e anche pesci dell’Oceano.
Crepidinibus stagni, sulle rive del laghetto, lupanaria adstabant inlustribus feminis completa, gremiti di donne nobili et contra (sull’altra sponda dello stagnum) scorta visebantur nudis corporibus.
Centro dei festeggiamenti era lo Stagnum Agrippae, il lago artificiale costruito nel Campo Marzio da Agrippa, braccio destro, poi genero di Augusto.
Nerone e Tigellino entravano nei lupanari (e[~ te pornei'a) e si univano senza ritegno ( janevdhn, da ajnivhmi, “lascio”) direttamente (aJplw'~, da aJplou'~, “semplice”) con tutte le donne che vi si trovavano, ce n’erano di bellissime e illustri; c’erano dou'laiv te kai; ejleuvqerai, liberte, eJtai'rai, parqevnoi, gametaiv, vergini e sposate, appartenenti sia al ceto popolare sia alla razza padrona dei nobili. Tutti bevevano e gozzovigliavano: lo schiavo amoreggiava con la padrona parovnto~ tou' despovtou, e il gladiatore con la ragazza di buona famiglia mentre il padre li osservava ( Cassio Dione, 62, 15).
C’era tanta confusione che molti morivano. Nerone confonde ceti, ruoli, razze e sessi. Viene in mente il Satyricon e pure la Napoli di Sorrentino nel film Parthenope.
Sembrava che Nerone avesse toccato il fondo, invece si ammogliò con Pitagora uno di quel branco di pervertiti: uni ex illo contaminatorum grege. Indĭtum imperatori flammeum, il velo nuziale color fiamma fu messo sul capo dell’imperatore, c’erano i paraninfi, dos et genialis torus il talamo nuziale et faces nuptiales (Annales, XV, 37).
Nel 59 c’era già stato un banchetto del genere. Del resto questi pubblici banchetti erano ricorrenti. La capitale d’Italia del piacere era Baia, un luogo riservato alle vacanze di lusso. Faceva parte del territorio di Cuma. Il litorale era costellato di ville sul mare. Baia, aureo lido della sacra Venere (Marziale, 11, 80). Seneca la chiama deversorium vitiorum (Ep. 51, 1-4), albergo di vizi. Clodia, secondo Cicerone, puttaneggiava a Baia (Pro Caelio, 35).
Nerone amava il golfo di Napoli. Nel 59 fece avvelenare la zia Domizia per impadronirsi, tra l’altro della villa di Baia.
Cardano nega questo delitto (p. 83).
Bologna 3 novembre 2024 ore 17, 02 giovanni ghiselli
p. s.
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