NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 4 novembre 2024

La congiura pisoniana. Nerone e Lucano. La domus aurea.


 

Veniamo alla congiura pisoniana del 65 (aprile).

Dopo questa congiura Nerone, più isolato che mai, sprofonda nei suoi sogni, si perde dietro il volo delle sue Chimere, o piuttosto delle sue Erinni.

Cassio Dione nomina tra i congiurati: Seneca il prefetto Rufo e altri tw'n ejpifanw'n (62, 24) di alto rango. Non nomina invece Pisone della gente Calpurnia, nemica dei Giulio Claudi. Era stato esiliato da Caligola e richiamato a Roma da Claudio. Questi illustri personaggi non potevano sopportare la fuoriuscita dell’imperatore dagli schemi, la sua dissolutezza e la sua crudeltà.

 

Tacito (15, 48) racconta che nella coniuratio entrarono certatim, a gara, senatori, cavalieri e perfino donne, sia per odio verso Nerone, sia per simpatia nei confronti di Pisone.

 

Pisone.

Calpurnio genere ortus” era molto rinomato:  claro apud vulgum rumore erat per virtutem aut species virtutibus similis (Tacito Annales,  XV, 48) di chiara fama presso il volgo per virtù o apparenza di virtù.

Vulgus qui non è neutro come fatus nel Satyricon.

Aveva doni casuali di natura: “aderant fortuīta: corpus procērum, decōra facies”, alta statura e bell’aspetto; gli mancavano gravitas morum aut voluptatum parsimonia;  la serietà dei costumi e la temperanza nei piaceri ma anche per questo era simpatico  ai più i quali “in tanta vitiorum dulcedine summum imperium non restrictum nec persevērum volunt ”, in tanta piacevolezza dei vizi non amavano l’austerità nel supremo potere.

Pisone aveva gusti in comune con Nerone: suonava la lira e amava interpretare parti nelle tragedie. “Et aliquando luxu indulgebat” (3), talvolta era incline anche alla dissipazione. Passerà alla cospirazione davanti alla crescente ostilità del principe contro gli aristocratici. Praticava una vita amena-  

Nel 66 verà scoperta un’altra congiura, quella di Viniciano, a Benevento (Svetonio, 36). Volevano mettere Corbulone a capo dell’impero. Tacito lo giudica capax imperii. Corbulone era il suocero di Viniciano.

Corbulone viene invitato in Grecia da Nerone, ma quando arriva riceve l’ordine di suicidarsi.

   La seconda figlia di Corbulone, Domizia Longina, nel 70 sposerà Domiziano.

Ma torniamo alla congiura pisoniana del 65.

I più risoluti tra i congiurati (promptissimi) erano Subrio Flavio un tribuno della coorte pretoria tribunus praetoriae cohortis ( Annales, XV, 49) un cilivarco~ ( Cassio Dione, 62, 24), e Sulpicio Aspro eJkatovntarco~, un centurione, entrambi ejk tw'n swmatofulavkwn facevano parte delle guardie del corpo. Si pensi a Gige con Candule re di Lidia.    

Sulpicio Aspro, il centurione, quando l’imperatore gli chiese perché avesse partecipato alla congiura, rispose: “a[llw~ soi bohqh'sai oujk ejdunavmhn” (62, 24), non potevo aiutarti in altro modo; e in Tacito: non aliter tot flagitiis eius subveniri potuisset ( Annales, XV, 68), non si poteva rimediare in altro modo a tanti abomini.

Subrio Flavio, il tribuno, invece gli disse che lo aveva amato e odiato più di tutti, ma non poteva essere schiavo di un citaredo e conduttore di carri (Cassio Dione, 62, 24).

 

 

Poi c’era Lucano che lo odiava quod famam carminum eius premebat Nero prohibueratque ostentare, vanus adsimulatione (15, 49), Nerone soffocava quanto si diceva dei suoi versi, e gli proibiva di recitarli, frustrato nel tentativo di stargli alla pari.

 

Cfr. Sofocle: “O ricchezza e potere e arte che prevale/sull'arte nella vita piena di emulazione/quanta invidia si serba accanto a voi!” (Sofocle, Edipo re, 380-382).

 

Eppure Lucano inizia la Pharsalia celebrando Nerone come il nuovo Fetonte, un Fetonte però che non fallisce (I, 45-58).

C’è un elogio sperticato di Nerone: Roma deve molto alle guerre civili nonostante tutto: “multum Roma tamen debet civilibus armis ” (v. 44), quod tibi res acta est, perché sono state fatte per te, per farti arrivare al potere.

Nerone avrebbe impersonato un nuovo sole.

La moda dell’ambra (sucĭnum) tra le donne dell’alta società è collegabile al mito di Fetonte: l’ambra deriverebbe dalle lacrime delle Eliadi piangenti la caduta di Fetonte. Poppea teneva i capelli sucinos, color d’ambra.

Cassio  Dione “oJ de; Loukano;~ ejkwluvqh poiei'n, ejpeidh; ijscurw'~ ejpi; th'/ poihvsei ejph/nei'to” (62, 29, 4), venne ostacolato nel creare poiché veniva molto elogiato per la sua attività di poeta.

Tuttavia, si è detto, il  poema Pharsalia si apre con un elogio dell’imperatore (I, 1-66). Lucano non ha bisogno di Apollo o di Dioniso che lo ispirino: tu satis (v. 66) in quanto Nerone è già un dio.

 Comunque  chiede all’imperatore di non rinunciare alle tradizioni romane (I, 53-55).

Nei libri IV-X Lucano accentuerà l’anticesarismo. Criticherà anche Alessandro, l’ispiratore della monarchia ellenistica e maestro della tirannide cesariana (X e ultimo libro, 21-36).

 

Lucano[1]presenta Alessandro come un re pazzo e un bandito che ha avuto successo: proles vesāna Philippi,/ felix praedo " (Pharsalia, X, 20-219). Generato quale esempio non utile al mondo di come tante terre si trovino sotto il dominio di uno solo: "non utile mundo-editus exemplum, terras tot posse sub uno-esse viro"[2] (26-27). Venuto dalle spelonche della Macedonia, disprezzò Atene vinta dal padre, e si precipitò tra i popoli d'Asia humana cum strage (31), mescolò fiumi sconosciuti con il sangue: con quello dei Persiani l'Eufrate, degli Indiani il Gange, lui terrarum fatale malum (34), sidus iniquum- gentibus (35-36), stella infausta per i popoli. Infine fu la natura a imporre il termine della morte al re pazzo: vaesano …regi (v. 42).

 

Lucano venerava Catone (Pharsalia, I, 128 victrix causa deis placuit sed victa Catoni ). Egli polemizza con l’immagine trionfalistica della storia romana. I duci hanno combattuto per una tomba. Attacca l’ottimismo virgiliano per sostituirgli una visione cupa della storia di Roma.

Infine, si scaglia contro i costumi greci e la mollezza ellenica: è quasi una dichiarazione di guerra aperta alla riforma assiologica di Nerone Phars., 7, 271-272) Nell’esercito di Pompeo c’erano soldati arruolati nei ginnasi greci: una iuventus studio ignava palestrae et vix arma ferens.

 Nel momento in cui Lucano scrive i suoi versi ci si prepara a rovesciare il principe e a sostituirlo con un imperatore che dovrebbe riconciliare i nuovi e gli antichi costumi, e, in ogni caso, ispirarsi a quello che allora si immagina il modello augusteo. “L’opera di Lucano è insomma la facciata ideologica di questa impresa” (Cizek, p. 223).

Nel 63 si arriva alla rottura tra l’imperatore e il poeta

Del resto Nerone raccoglieva a corte artisti e poeti, come Lucillo, che scriveva epigrammi greci e venne aiutato. I filosofi erano stoici ed epicurei.

La cohors amicorum  di Pisone era costituita prevalentemente da giovani : “La gioventù, la spensieratezza e l’amoralismo sono i loro unici valori” (Cizek, 166).

Poi altri personaggi meno interessanti.

Sed summum robur in Faenio Rufo praefecto videbatur, il coprefetto del pretorio era il sostegno principale della congiura, ma  Tigellino lo superava nell’animo del principe per saevitiam impudicitiamque in animo principis antibat (15, 50). Subrio Flavo doveva assalire Neronem in scaena canentem o mentre correva qua e là nella notte incustoditus .

Era stimolato dall’avere o l’ occasio solitudinis nell’uccidere il principe oppure la frequentia del teatro: tanti decŏris- testis pulcherrima (15, 50), testimone di un fatto così onorevole.

Quindi c’era una donna Epichăris che attese del tempo, poi lentitudinis eorum pertaesa, disgustata dalla loro indecisione, volle rendere complici della congiura gli ufficiali di capo Miseno.

Disse al comandante Volusio Procŭlo, uno dei sicari di Agrippina, scontento di Nerone, che il tiranno doveva pagare il fio di avere distrutto lo Stato: provīsum quonam modo poenas eversae reipublicae daret (15, 51), ci si era organizzati.

Ma Proculo denunciò Epicari a Nerone.

Questa, imprigionata, non parlò.

I congiurati volevano uccidere Nerone nella villa di Pisone a Baia dove l’imperatore andava spesso come ospite, cuius amoenitate captus (15, 52), ma Pisone voleva evitare l’odiosità (invidiam) dell’uccisione in casa propria dell’ospite e imperatore, sebbene pessimo. Era meglio ammazzarlo a Roma in illa invisā et spoliis civium extructā domo (15, 52).

Svetonio descrive la domus aurea come un luogo faraonico costruito a danno della città: dice che Nerone fu “ non in alia re tamen damnosior quam in aedificando (Vita, 31).

 

Ovidio nelle Metamorfosi (II, 1-2) descrive la reggia del sole che si levava su eccelse colonne e rifulgeva per lo splendore dell’oro regia Solis erat sublimibus alta columnis,/clara micante auro.

Nerone potrebbe averne tenuto conto.

Seneca (Ep. 115, 12-13  cita questi versi e sembra non apprezzare tutta questa abbondanza di oro. Accedunt deinde carmina poetarum quae adfectibs nostris facem subdant, quibus divitiae velut unicum vitae decus ornamentumque laudantur, si aggiungono poi i canti dei poeti che attizzano le nostre passioni, da costoro vengono lodate le ricchezze come unico vero ornamento della vita.   

Marziale esecra la domus aurea: nuove costruzioni sorgono dove una volta splendevano le odiose sale di un re crudele: invidiosa feri radiabant atria regis.

 Andava dal Palatino all’Esquilino congiungendo i due colli: prima Nerone la chiamò transitoriam, “ di passaggio”, poi, dopo l’incendio, la fece riedificare  e auream nominavit .

Domum… primo transitoriam mox incendio absumptam restitutamque auream nominavit. (Svetonio, 31).

 

La Domus aurea è ricordata da Dorian Gray che si identifica con gli imperatori: “si era seduto, come Tiberio, in un giardino di Capri, a leggere l’infame libro di Elephantis mentre nani e pavoni si aggiravano intorno…aveva guardato attraverso un limpido smeraldo il disordine sanguinoso del Circo, e poi, in una lettiga di perla e di porpora, tirata da mule ferrate d’argento, aveva attraversato la strada delle melagrane, diretto alla Domus aurea e aveva udito gli uomini chiamarlo Nerone Cesare[3].

 

 Nel vestibolo c’era un colossus che rappresentava Nerone e misurava 120 piedi (1 piede 30 cm.; 36 metri). Marziale scrive che La mole coronata di raggi del meraviglioso Colosso, gode a superare l’opera di Rodi (I, 70): “miri radiata colossi/quae Rhodium moles vincere gaudet opus”.

La domus aurea Comprendeva uno stagno simile al mare, lo Stagnum Neronis,  ville, giardini.

Era una grande villa suburbana inserita nel cuore della città: rus in urbe.

Lo Stagnum Neronis era un enorme rettangolo lacustre circondato da elaborati porticati e assomigliava al precedente Stagnum Agrippae del campo Marzio. Al di là del Tevere c’era la Naumachĭa Augusti.

Nerone “intendeva introdurre il popolo romano agli svaghi marittimi di Baia…il complesso richiama per molti aspetti le villae maritimae campane, le ville al mare rese familiari dalle pitture parietali e dagli scavi archeologici, con le loro terrazze, giardini, lunghi e freschi porticati e grandiose viste panoramiche sul mare. Come il suo corrispettivo nel Campo Marzio (Stagnum Agrippae), era intesa a riprodurre le delizie di Baia nel cuore di Roma. C’è qualche ragione per non pensare che anch’essa accogliesse il popolo di Roma per fargli dimenticare i suoi affanni mentre la sua città risorgeva dalle ceneri?  ” (Champlin, Nerone,  p. 267).

I  detrattori poi distorsero  parole e azioni di Nerone e un atto popolare diventava tirannico. Secondo Plinio e Marziale, la casa inghiottiva la città. Nerone non voleva escludere il popolo ma includerlo. Nerone voleva sconvolgere le gerarchie condividendo i piaceri con il suo popolo: è difficile immaginare che il palazzo del dio Sole con il quale Nerone si identificava, non fosse aperto al pubblico.

Era coperta d’oro e d’avorio; la sala da pranzo era rotonda e girava vice mundi ( Svetonio 31) secondo il moto della terra. Inaugurandola Nerone disse che finalmente abitava una casa da uomini.

Dopo la caduta del Nostro “hanno perfino sostituito la sua testa su quella statua colossale a Roma con quella da contadino del vecchio Vespasiano…Per qualche anno sono davvero riusciti a bandire dal mondo ogni entusiasmo e stravaganza, tutto quanto rende la vita degna di essere vissuta”[4].

Nella domus di Nerone furono portati i capolavori di Prassitele.

“All’armonia classica si sostituì la linea curva e angolosa…un lusso tutto urbano e una natura campestre vi si sposavano armoniosamente…la rotunda, la famosa sala da pranzo principale, costituiva una sorta di planetario che illustrava il tema di Nerone kosmokravtwr[5], signore del mondo.

Nella Villa Hadriana c’è una sala a cupola che si può apparentare alla rotunda. Segna il passaggio dalla civitas all’anticivitas: dalla città all’impero a vocazione universale.

I valori fondanti della civiltà e della Virtus romana sono la gravitas, la serietà, la parsimonia, la pudicitia, il lucidus ordo, l’ordine netto e chiaro, la pietas, pietà, rispetto, devozione, la fides; erano valori vincolanti. Ebbene Nerone pensava in termini di imperatore mondiale e sostituì quei valori arcaici con la gioia di vivere, la bellezza, la stravaganza, l’originalità e l’arbitrio del princeps: “negavit quemquam principum scisse quid sibi licēret” (Svetonio, 37), disse che nessun principe aveva saputo quanto fosse permesso a lui.

L’anticivitas è un modo di pensare e uno stile di vita sulla scala dell’impero. Doveva oltrepassare i limiti angusti della civitas appunto.

Ma l’opposizione senatoriale detestò questo palazzo odioso e costruito con il sangue dei cittadini: Tacito racconta che Pisone avrebbe voluto uccidere Nerone “in illa invisa et spoliis civium extructa domo” (Annales, XV, 52).

 

Bologna 4 novembre 2024 ore 17, 26 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] 39-65 d. C. 

[2] "I versi di Lucano esprimono un giudizio forse esasperato e unilaterale, che però, riferito alla reputazione postuma di Al., è fin troppo vero" (Bosworth,  Alessandro Magno, p. 199).

[3] O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, in Opere, p. 131.

[4] Lion Feuchtwanger, Der falsche Nero (1936), libro 3, cap. 54 (trad. it. Il falso Nerone, Torino, 1955).

[5] Cizek, p. 115.

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