Nerone che discendeva da Antonio e da Ottaviano, spinto dalla madre ottenne il potere. Nel 55 fu avvelenato Britannico, nel 62 eliminata Ottavia la quale non poté salvarsi nonostante la prudenza: “quamvis rudibus annis, dolorem caritatem, omnis adfectus abscondere didicerat” ( Annales, XIII, 16).
Agrippina era così assatanata dal demonio del potere che quando i Caldei le profetizzarono di Nerone fore ut imperaret matremque occideret, rispose “occīdat, dum impĕret ” (XIV, 9).
E in Cassio Dione: “ajpokteinavto me, movnon basileusavtw ” (61, 2, 2).
Successivamente però si sarebbe pentita.
Comunque i Romani capirono a chi dovevano obbedire: “pa'~ ga;r oJ dunavmei prou[cwn dikaiovtera ajei; kai; levgein kai; pravttein dokei' ” (61, 1, 2), chiunque prevale nella forza sembra parlare e agire nel modo più giusto.
Cfr. Tucidide, V, 105, 2 Gli Ateniesi a Meli: umanità e pure divinità-ou| a]n krath'/, a[rcein, dove ha la forza, comanda.
Il giusto non è altro che l’utile del più forte: nel primo libro della Repubblica di Platone, il sofista Trasimaco, un rappresentante della filosofia di potenza, sostiene che la giustizia coincide con la convenienza di chi comanda. Egli, raggomitolatosi come una fiera, si dirige contro Socrate come se volesse sbranarlo (336b). Quindi afferma che il giusto non è altro che l'utile del più forte:"fhmi; ga;r ejgw; ei\\\nai to; divkaion oujk a[llo ti h] to; tou' kreivttono" suvmferon" (338c).
Cfr. Leopardi, Zibaldone, 1641: “Ma la morale non è altro che convenienza”.
Bologna 3 dicembre 2024 ore 16, 58 giovanni ghiselli
p. s.
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