martedì 6 agosto 2024

Alessandro contro l’ozio. Condanne e assoluzioni. Punizione di Besso. Il determinismo geografico.


 

Alessandro Magno sapeva bene che i vizi dell’ozio vengono scacciati dall’ attività “satisque prudens otii vitia negotio discŭti” (Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, VII, 1, 4).

Identica sentenza in Seneca :nihilque tam certum est otii vitia negotio discǔtiEp. 56, 9.

 

 

Anche adulterio è spesso figlio dell’ozio. Egisto e Madame Bovary.

 

 

L’ attività seduttiva di Egisto, l’imboscato, nei confronti della donna sposata Clitennestra è descritta e biasimata da Omero nel III canto dell'Odissea : Nestore racconta che mentre gli eroi della guerra troiana erano laggiù a compiere molte imprese, quello se ne stava tranquillo nella parte più sicura (eu[khlo" mucw'/ , v. 263)  di Argo che nutre cavalli e molto cercava di  sedurre con le parole (qevlgesken e[pessin, v. 264 )[1] la moglie di Agamennone la quale dapprima rifiutava l'indegno misfatto poiché aveva un'anima nobile ed era sorvegliata da un aedo di fiducia del suo sposo Agamennone, ma alla fine cedette (vv. 265-272).

 

 

Sentiamo  Ovidio:"Quaeritis Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat " ( Remedia amoris, vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.

Gli altri Greci infatti facevano la guerra, e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque fece:"Quod potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167),  quello che poté per non stare là senza far niente: fece l'amore.

 

 Anche Emma Bovary divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (Flaubert, Madame Bovary, p. 36).

 

 

 

 Un consiglio ai lettori

Se vogliamo applicare questi esempi alle nostre vite, faremo bene a sceglierci amanti molto impegnate-impegnati nel lavoro che fanno con interesse  e su questo canalizzano buona parte della loro libido. Sono meno inclini all’adulterio, meno parassitari, noiosi e viziosi di chi non ha nulla da fare.

 

 

Al. dunque procedette con i processi: fece uccidere Alessandro Linceste che si trovava in prigione da due anni. Suo fratello Pausania aveva ucciso Filippo. Antipatro, suocero di Linceste, aveva interceduto per lui. Ma recruduit suppuratus dolor [2](7, 1, 7) il risentimento incancrenito riprese a sanguinare. Il Linceste non fu capace di difendersi: “non memoria solum sed etiam mens eum destituit” (8).

 

Poi furono fatti venire altri due sospetti: Aminta e Simia amici di Filota, raccomandati da lui e invisi a Olimpiade (10). Aminta aveva dato una risposta minacciosa a un ufficiale, Antifane. Volle parlare libero dalle catene (18). In battaglia possono sfuggire parole mordaci: “militantium nec indignatio nec laetitia moderata est. Ad omnes affectus impetu rapimur; vituperamus, laudamus, miseremur, irascimur, utcumque praesens movit affectio” (7, 1, 24), a tutte le passioni siamo trascinati con foga…secondo come ci spinge il sentimento momentaneo.

 

E’il topos dello qumov" prevalente sui bouleuvmata. (cfr. Medea, :" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1079-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali",  dirà la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.

 

Aminta non nega l’amicizia e le raccomandazioni di Filota.

La madre di Al.  lo accusava e Aminta si difende divcendo che Olimpiade lo faceva: “quod utilitatem tuam muliebri praeposuimus gratiae (7, 1, 39) poiché abbiamo anteposto la tua utilità al suo fascino femminile.

Ho dovuto usare durezza per portarti i fanti e i cavalieri macedoni imboscati in casa di Olimpiade

 

Un colpo al cerchio uno alla botte: Aminta venne perdonato con il fratello Polemone che, fuggito, era stato catturato.

Al. impiega la terminologia medica per una metafora efficace : “Nisi, quae delata essent, excussissem, alte dissimulatio mea suppurare potuisset” (7, 2, 9), se non avessi passato in rassegna le accuse, la mia finzione avrebbe potuto incancrenirsi in profondo. I dubbi si devono manifestare.

 Diede però l’ordine di uccidere il settantenne Parmenione. Mandò il suo amico Polidamante.

Curzio  elogia la vittima: “Multa sine rege prospere, rex sine illo nihil magnae rei gesserat” (7, 2, 33), molte imprese aveva portato a termine senza il re, mentre il re senza di lui nulla di grande aveva compiuto.

 C’è il chiasmo dello stile oratorio. Al. riunì in un unico reparto tutti i simpatizzanti di Parmenione e ne fece controllare le lettere litterae exceptae sunt (7, 2, 37). Ma quelli combatterono ancora più valorosamente data la felicitas regis, la fortuna di Al.

 

Arriano III

Al. non condannò Aminta accusato con i fratelli di solidarietà verso Filota. Quindi lasciò liberi gli Ariaspi  jAriavspa" soprannominati Eujergevta~  (3, 27, 4) Evergeti, Benefattori,  poiché avevano sostenuto Ciro nella spedizione contro gli Sciti.

Al. per la sua automitopoiesi si assimila a  grandi personaggi non solo del mito ma anche della storia.

  Inoltre gli Ariaspi praticavano la giustizia come i migliori tra i Greci.

 Poi Al. vanzò verso Battra e Besso (3, 28) . Quindi arrivò al Caucaso (Hindukush) dove fondò un’Alessandria (3, 28, 4). Besso varcò il fiume Oxo (Amu Daria) e fuggì in Sogdiana (Maracanda-Samarcanda, attuale Uzbekistan). A. lasciò Artabazo come satrapo della Battriana.

Tolomeo catturò Besso oramai rimasto senza esercito. Alessandro  gli domandò perché avesse tradito il suo re parente e benefattore oijkei'on kai; eujergevthn (3, 30, 4) ed egli rispose che tutta la corte aveva deciso così per impetrare la loro salvezza presso Al. 

Besso venne fatto frustare nudo e legato con un cappio. Poi Al. lo mandò a Battra perché lo giustiziassero (3, 30, 5). Quindi Al.  arrivò a Maracanda residenza reale della Sogdiana (3, 30, 6) poi procedette verso il Tanai- Iassarte- Syr-darya. Ci fu uno scontro con i barbari e Al. fu ferito a una gamba (3, 30, 11).

 

Curzio Rufo VII, 3. Anche Curzio ricorda gli Arimaspi-Evergeti i quali nel 530 avevano aiutato Ciro contro i Massageti. Arimaspi riferisce Erodoto significherebbe uomini da un solo occhio (III, 116), ma lui non crede che fossero tali.

Cfr. Erodoto IV, 27: Arimaspi (  jArimaspoiv) significherebbe monocoli in scitico: “a[rima ga;r e{n kalevousi Skuvqai, spou' de; ofqalmovn”.

 Al.  premiò gli Arimaspi ob egregiam in Cyrum fidem (7, 3, 3).

Quindi sottomise gli Aracosii (Afganistan) e si addentrò tra i Parapamĭsădae (Hindukush): agreste hominum genus et inter barbaros maxime inconditos. Locorum asperitas hominum quoque ingenia duraverat” (7, 3, 6).  L’asperità dei luoghi aveva indurito anche i caratteri degli uomini.

Mia zia Rina diceva che i mosconi di Moena erano tonti come tutti i Moenesi.

 

Excursus

Determinismo geografico. Seneca. Euripide. Erodoto. Ippocrate. Tito Livio. Leopardi. Nietzsche. H. Hesse. Curzio Rufo.

La Medea di Seneca pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis nefas[3],/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus " (Medea, vv. 40-48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere smarrito tra le  membra.

Il Caucaso situato tra il Mar Caspio e il Mar Nero significa un luogo selvaggio[4]  che, indossato psicologicamente, rende la persona selvaggia :" un ambiente fisico reale-sorgente, primavera, albero, crocicchio- è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime…La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[5].

Già Euripide suggerisce un'associazione tra l'inospitalità del paesaggio e il  carattere di Medea, la madre furente, leonessa non donna (v. 1342), quando il coro nel quinto stasimo le dice:"tu che hai lasciato il varco/assolutamente inospitale delle cupe Simplegadi" (vv. 1263- 1264).

C'è una corrispondenze fra la terra, il clima e gli uomini. La teoria trova una formulazione medica nello scritto del Corpus Hippocraticum:  Sulle arie, le acque e i luoghi.

 

  Il capitolo finale delle Storie di Erodoto contiene un monito per i Persiani attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero. Alcuni sudditi gli avevano proposto di trasferire il popolo persiano dalla sua terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai", IX, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani si allontanavano desistendo, vinti dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili". Così si chiudono le Storie di Erodoto.

 

Questo passo finale trova una qualche analogia nello scritto Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn  ippocratico, in quanto esso afferma che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana", afferma S. Mazzarino il quale aggiunge:"Si potrà forse osservare che il concetto della connessione fra la terra e l'uomo non è portato, qui[6], alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus  ippocrateo) Sui climi sulle acque sui luoghi , in cui le differenze tra Asiatici ed Europei sono ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e le caratteristiche degli abitanti del Fasi-gialli di colorito, alti e grassi, inadatti alle fatiche[7]-sono riportate alle condizioni della loro regione paludosa e malsana. In Erodoto la connessione terra-uomo c'è tuttavia"[8].

 

 

Pure Tito Livio stabilisce questa connessione quando racconta lo scavalcamento delle Alpi da parte di Annibale:"Triduo inde ad planum descensum, iam et locis mollioribus et accolarum ingeniis "(XXI, 37), in tre giorni di lì si scese alla pianura dove oramai erano più miti sia i luoghi sia i caratteri degli abitanti. Più avanti Tito Livio trattando di alcune regioni della Macedonia fa una considerazione analoga: “Frigida haec omnis duraque cultu et aspera plaga est; cultorum quoque ingenia terrae similia habet” (45, 30, 6), è fredda tutta questa zona e dura e difficile  a  coltivarsi: ha simili alla terra anche le indoli degli abitanti.  

 

Seneca nel De ira afferma che per governare è necessaria una natura equilibrata, non intrattabile e questa ha bisogno di un clima mite:"nemo autem regere potest nisi qui et regi. Fere itaque imperia penes eos fuere populos qui mitiore caelo utuntur. In frigora septentrionemque vergentibus immansueta ingenia sunt, ut ait poeta "suoque simillima caelo" (II, 15), nessuno del resto può governare se non può anche essere governato. Perciò gli imperi in generale si sono trovati presso quei popoli che fruiscono di un clima più mite. Sono feroci le indoli esposte al freddo e al settentrione, e, come dice il poeta, "molto somiglianti al loro cielo".

 

Leopardi nello Zibaldone  assume la teoria ippocratica della connessione fra la terra e l'uomo in lode degli Italiani e dei Marchigiani in particolare:"Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni sogliono esser maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente più acuti e più portati e disposti alla furberia. I più furbi p. abito e i più ingegnosi p. natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha relazione colla sottigliezza ec. della loro aria. Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de' convicini, né de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di un gran capitale"(p. 3891).

 

L'alta considerazione dei marchigiani sembra risentire di questo passo di Cicerone:"Athenis tenue caelum, ex quo etiam acutiores putantur Attici " (Cicerone, De fato, 7), ad Atene l'aria è limpida, e anche per questo  gli Attici sono ritenuti più perspicaci.

 

Quindi Nietzsche:" Vediamo un po' in quali luoghi si trovano o si sono trovati uomini di grande spirito, dove l'arguzia, la raffinatezza, la cattiveria facevano parte della felicità, dove il genio si trovava quasi necessariamente a casa: tutti sono contraddistinti da un'aria particolarmente asciutta. Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene-questi nomi stanno a provare qualcosa: che il genio è condizionato dall'aria asciutta, dal cielo puro-e questo vuol dire metabolismo rapido, possibilità di attirarsi continuamente grandi, e anche enormi, quantità di forza"[9].

 

Il paesaggio può assumere anche il ruolo di Mentore: H. Hesse in Peter Camezind  scrive:"Le montagne, il lago, le tempeste e il sole erano i miei educatori ed amici che per molto tempo mi furono più cari degli uomini e del loro destino"[10].

 

Il determinismo geografico torna nella descrizione dell’India di Curzio Rufo: “Ingenia hominum, sicut ubīque, apud illos locorum quoque situs format ” (8, 9, 19), da loro, come dappertutto anche la situazione ambientale determina il carattere delle persone.

Il cielo sopra questi barbari del Parapamiso è buio e fa freddo. “Tanta caligo erat , ut aedificia nulla alia res quam fumus ostenderet” (7, 3, 15). L’esercito di Al tra grandi sofferenze valicò il Caucaso (Parapamiso-Hindu Kush), una catena che taglia tutta l’Asia e si congiunge al Tauro. Nel Caucaso c’è una rupe dalla circonferenza di 10 stadi e alta più di quattro in qua vinctum Promethea fuisse traditur (7, 3, 22). Sotto questa rupe venne fondata un’altra Alessandria.

 

Cfr. Prometeo il falso benefattore tecnologico.

 

 Nel film Alexander  (2004) Tolomeo I che da vecchio racconta la grande impresa assimila Al. a Prometeo: entrambi hanno cambiato il mondo. Al. stesso più avanti dice: liberare i popoli del mondo è un’impresa da Prometeo che è sempre stato un amico degli uomini. Cfr. Settembrini in La montagna incantata

Nella letteratura antica di fatto Prometeo è presentato come amico dubbio degli uomini. Settembrini di T. Mann lo interpreta favorevolmente.

 

Fine excursus

 

Pesaro 6 agosto 2024 ore 18, 56 giovanni ghiselli

p. s,

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[1]Per un commento a questi versi vedi il mio Ulisse, il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , con la scheda "Il seduttore intellettuale. Egisto" (p.105) .

[2] Cfr. Seneca ep. 80, 6: suppurata tristitia, una malinconia purulenta. E’ l’interno della hilaritas ficta dei ricchi.

[3] Secondo Tito Livio questo attecchire del nefas a Roma dove poi dilagherà avviene nel 186 a. C. con l’introduzione dei Baccanali dall’Etruria. La schiava Ispala costretta dal console Postumio a denunciare questi riti osceni  rivela che la perfetta iniziazione era non considerare nulla come illecito: “ nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse” (39, 13)

[4] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre  2004.

[5]K. Kerényj- J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.

[6]Sta commentando le Storie  di Erodoto dove" Ellèni e barbari sono studiati...in rapporto al nesso causale fra la terra in cui vivono e la forma della loro esperienza umana", Il pensiero storico classico , I, p. 160.

[7]Precisamente:"prov" te to; talaipwrei'n to; sw'ma ajrgovteroi pefuvkasin (15, 6).

[8]Il pensiero storico classico , I, p. 161.

[9] Ecce homo, p. 25.

[10] H. Hesse, Peter Camezind. p. 12.

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